Zucchero su Raiuno, il segreto della qualità popolare

16 Settembre 2016 di Paolo Morati

Zucchero

Sabato scorso su Raiuno è andata in onda una serata dedicata a Zucchero Fornaciari, o meglio con Zucchero e la sua musica in procinto di partire in tour mondiale dopo il successo dell’ultimo album Black Cat. Intitolata Partigiano Reggiano, si è innescata con l’omonimo e scatenato singolo per poi svolgersi tra ospiti, aneddoti e Massimo Giletti a fare da cerimoniere. Circa tre ore e mezzo di programma, costruito in modo intelligente tenendo conto sì del target dell’ammiraglia RAI ma anche della natura del cantautore reggiano, certamente più a suo agio nelle vesti di musicista che in quelle di volto televisivo. Ecco perché non avevamo condiviso le critiche a priori di chi aveva storto il naso di fronte al nome di Giletti conduttore (comunque bravo a non essere troppo invadente e celebrativo) e ci piace a posteriori fare alcune riflessioni su perché programmi come questo vanno ideati pensando prima al mezzo per poi veicolare al meglio il messaggio.

È un fatto che la musica sui canali generalisti funzioni poco a meno di non renderla più ‘catodica’. Se proponi un intero concerto non puoi aspettarti che gli affezionati del telecomando di Raiuno stiano appiccicati allo schermo o evitino lo zapping. D’altro canto un personaggio come Zucchero, nell’occasione davvero in forma smagliante, non lo puoi rinchiudere in una gabbia da fiction ma devi comunque lasciarlo libero di esprimersi e proporre la sua storia fatta di musica e radici che partono dalla terra contadina in un percorso faticoso e complesso (consigliabile in tal senso la sua autobiografia uscita qualche anno fa). L’idea di base di Partigiano reggiano, capace di vincere la serata degli ascolti, si è quindi fondata su quella che possiamo definire ‘qualità popolare’, ossia un mix equilibrato tra divertimento e serietà, balera e sala da concerto. Che è un po’ il segreto anche della ricetta di Fornaciari, un insieme di contaminazioni e generi, giochi di parole e concetti profondi, con grande attenzione al dettaglio sonoro.

Punti più alti della serata dal punto di vista narrativo l’intervento di un enorme (non solo in senso fisico) Gerard Depardieu con cui Zucchero ha anche duettato sulle note della meravigliosa Un piccolo aiuto, e la tavolata finale in osteria con Francesco Guccini, fatta di diverse considerazioni sulla società contadina ormai scomparsa, e lo stesso attore francese. Musicalmente difficile invece scegliere il top di una scaletta apprezzabile anche per il fatto di non aver proposto solo dei classici, da Overdose d’amore a Baila passando per Con le mani, Per colpa di chi e Miserere (con Andrea Bocelli), ma aver estratto dal cilindro alcune chicche non scontate, come Il suono della domenica, l’(in)dimenticata Donne, Luce (di e con Elisa) e una poderosa versione di Dio è morto. Fino al gospel finale di Hey Lord, brano di intensità superiore.

Un discorso finale a parte lo merita la straordinaria band di 13 elementi che ha accompagnato Fornaciari nello studio televisivo approntato per l’occasione (ottima la scenografia, colori e luci), la stessa che girerà con lui in questi mesi per tutta Europa. E i cui nomi sono scorsi nei titoli di coda: Polo Jones, Kat Dyson, Brian Auger, Doug Pettibone, Queen Cora Dunham, Nicola Peruch, Adriano Molinari, Mario Schilirò, Andrea Whitt, Tonya Boyd-Cannon, James Thompson, Lazaro Amauri Oviedo Dilout, Carlos Miguel Minoso Amuey. Ecco, agli intenditori basterebbe quello di Brian Auger per capire che cosa vogliamo dire quando parliamo di qualità… se poi per poterne godere e veicolarla a un pubblico esteso bisogna anche contestualizzarla nella migliore accezione di popolare, non c’è nulla di male. Anzi.

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