Quando Berlusconi beffò Agnelli

29 Settembre 2016 di Stefano Olivari

Gli ottant’anni di Silvio Berlusconi sono stati celebrati in vario modo, da simpatizzanti e antipatizzanti. Una lettura consigliabile è secondo noi Quando Berlusconi era Berlusconi, libro di Gigi Moncalvo uscito un paio di anni fa e basato sull’osservazione diretta (Moncalvo, all’epoca era alla Fininvest ed aveva con Berlusconi rapporti quotidiani) dell’imprenditore in azione nei contesti più diversi: più interessanti degli aneddoti sono le sue tecniche di seduzione del pubblico, in parte studiate ma in parte anche naturali perché nessuno al suo livello riesce a ricordare cosa gli ha detto per 30 secondi una persona incontrata a una convention dieci anni prima.

Fra le altre, è molto ben raccontata è la storia del rapporto fra Berlusconi e Gianni Agnelli, che ha avuto alti e bassi ma che verso la fine degli anni Ottanta era di media cordialità, con una delle telefonate quotidiane dell’Avvocato dedicate a Berlusconi, che fra i suoi interlocutori abituali era l’unico ad essere già in piedi alle sei. Erano telefonate fra due furbi, dove al di là della cortesia ognuno cercava di intuire e condizionare le strategie dell’altro. Avveniva in vari campi, fra cui ovviamente il calcio. Un episodio significativo accadde nel giugno del 1989, con la Coppa dei Campioni appena vinta dal Milan a Barcellona. Agnelli voleva colmare le distanze con i rossoneri ma i calciatori italiani (da ricordare che c’era il limite di tre stranieri per squadra) forti sul mercato erano pochi e quei pochi avevano prezzi pazzeschi. Molti li aveva la Sampdoria di Paolo Mantovani, che i bene informati davo sul punto di mollare: al presidente del Milan risultava la sua intenzione di trasferirsi a Phoenix con la nuova compagna e della cosa aveva parlato anche con Agnelli. Poi ognuno aveva le sue preferenze: Berlusconi era innamorato di Vialli, Agnelli di Mancini, anche se ufficialmente nessuno dei due era sul mercato.

A questo punto Florio Fiorini, ex direttore finanziario dell’ENI e stella della finanza di quegli anni, iniziò a trattare l’acquisto della Sampdoria, sollecitato (secondo la ricostruzione di Moncalvo) da Franzo Grande Stevens, l’avvocato dell’Avvocato, che gli spiegò che Mantovani non avrebbe mai venduto singolarmente i giocatori, per non fare la parte del cattivo con la piazza: piuttosto avrebbe venduto la Sampdoria, lasciando Genova. Formalmente il club sarebbe stato acquistato da Garrone (che qualche anno dopo l’avrebbe acquistato davvero), ma con Florini a tirare i fili e a vendere, in sintesi, i gioielli alla Juventus inventandosi qualche ‘progetto’ di quelli che vengono usati per infinocchiare i tifosi. Tutto era pronto in gran segreto, quando Berlusconi ricevette la telefonata di un informatore e si rese all’improvviso conto di quanto stesse accadendo: con Vialli, Mancini e Vierchowod la Juventus sarebbe stata quasi al livello del Milan stellare di quei tempi, un’avversaria temibile in più oltre al Napoli di Maradona e all’Inter dei tedeschi.

Scomparve per mezz’ora alla vista anche dei più stretti collaboratori, fece qualche telefonata e il giorno dopo sulla Gazzetta dello Sport (di Agnelli!) comparve il famoso scoop di Candido Cannavò sulla Juventus che si stava comprando la Sampdoria. Non è passato alla storia come scoop perché poi non si materializzò, ma così accadde proprio a causa della Gazzetta e per la conseguente rivolta di mezza Genova contro Mantovani, che alla fine decise di rimandare il suo addio. Da quell’episodio sarebbero nati una Coppa delle Coppe, uno scudetto, una quasi Coppa dei Campioni e un anno (nel 1990 sarebbe arrivato Baggio) di ritardo nella ricostruzione della Juventus. Episodio indicativo in ogni caso dell’assenza di sudditanza psicologica di Berlusconi nei confronti del potere vero, che non era (e non è) soltanto denaro.

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