Un coccodrillo trash per Tommaso Labranca

29 Agosto 2016 di Stefano Olivari

Tommaso Labranca ci ha lasciato all’improvviso e non vogliamo infangarne la memoria definendolo ‘amico’, come si fa con chi non ti può più smentire e come in tanti stanno facendo anche con lui (premessa già trash, per l’ostentazione di finta umiltà). Ci aveva messi in contatto Andrea Ferrari e poi lo avremo incontrato non più di cinque volte, a presentazioni e cose del genere, però abbiamo letto tutti i suoi libri: la produzione alta, dall’imprescindibile Andy Warhol era un coatto all’ultimo Vraghinaroda, ma anche quella per arrivare alla fine del mese, biografie di cantanti scritte (male, se paragonate al resto) turandosi il naso. Per non parlare dei suoi interventi sul web, con le continue apparizioni e sparizioni da Facebook e l’ultimo Labrancatoday, senza contare mille iniziative tipo Ultravoid e Dvook, di cui non riusciamo più a trovare traccia, o riviste di qualità come Tipografia Helvetica. Non esageriamo definendolo una delle menti più brillanti della letteratura italiana e comunque non vogliamo convincere nessuno perché probabilmente queste righe saranno lette da persone già convinte: invitiamo però a (ri)leggere i suoi libri, che potremmo definire di giornalismo-letteratura da tanto che sono calati nella realtà e privi di filtri, in particolare di quelli della convenienza sociale e di appartenenza. Labranca non ha inventato il trash, ma è stato il primo autore italiano a riconoscerlo con precisione crudele (l’imitazione fallita, con vari gradi di fallimento, di un modello alto o comunque di riferimento condiviso) e mai mettendosi, questo il suo segreto, su un piano più alto perché il piano più alto non esiste e se esiste è popolato da cialtroni. La caratteristica primaria di Labranca era infatti quella di essere per scelta fuori dal giro autoreferenziale degli intellettuali e aspiranti tali: non a caso nessuno come lui ha saputo raccontare il mondo neoproletario urbano, così diverso dalla visione ideologica che abbiamo sempre avuto del proletariato. Sinceramente non abbiamo mai capito che cosa avesse da spartire con i cosiddetti Cannibali (Nove, Ammaniti, eccetera) anche se con loro negli anni Novanta ha avuto diversi progetti in comune ed il Labranca narratore, pur meno conosciuto del saggista, aveva comunque un passo notevole (consigliabile Haiducii). Da autore televisivo strapagato (anche di Fabio Fazio, per Anima Mia) era uscito dalla tivù sbattendo la porta, ma detestava anche le pose dell’autore di culto. Non aveva bisogno di atteggiarsi a maledetto, non ambiva ad esserlo e avrebbe volentieri venduto milioni di copie dei suoi libri, soprattutto di quelli che alla fine produceva con la sua casa editrice 20090 (CAP di Pantigliate, dove formalmente risiedeva). Nessuno come lui ha saputo raccontare la deriva iniziata negli anni Novanta, quando caduti muri politici e steccati culturali le persone sono rimaste sole con la propria superficialità. Credendo in niente e quindi in tutto: confessiamo che stamattina abbiamo sperato in un esperimento mediatico ultratrash di Labranca, ma quando al cellulare ci ha risposto la sorella ci siamo vergognati per avere pensato a una trovata così banale, da situazionista de’ noartri. Un minimo della sua lezione era rimasto.

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