La mandria dei giornalisti scrocconi

31 Agosto 2016 di Dominique Antognoni

Inviti? No, grazie. Tutte le volte in cui ci troviamo, spesso nostro malgrado, mischiati da qualche parte fra altri giornalisti (essere giornalisti non costituisce titolo di merito, è che veniamo invitati in quanto tali) ad un evento gastronomico, ci viene in mente Ruth Reichl, la più importante critica di tutti i tempi (nel settore). Ci chiediamo: se fosse in Italia, verrebbe invitata anche lei in situazioni del genere? Ovvero, le direbbero “Vieni alle 20, ci sarà una cena in piedi”? O seduti, che tanto l’idea é sempre la stessa? E soprattutto si siederebbe assieme ad altri dieci o venti ‘colleghi’? La risposta è no.

A onor del vero nella nostra miseria anche noi ci andiamo poche volte, anzi pochissime, ad eventi del genere. I motivi sono tanti, a partire da quello più importante: non ci interessano. Per nulla. Lo sappiamo, ci sono orde di altri colleghi che non vedono l’ora di buttarsi in mischia, sera dopo sera, spesso prima ad un aperitivo e poi ad una cena. Tutto lecito, sia chiaro: alla fine vanno solo laddove vengono educatamente invitati. Però la domanda è un’altra: è giornalismo, questo? Ha senso andare ad una inaugurazione, oppure una cena organizzata, con una dozzina di persone se non di più? Si può davvero capire qualcosa di un posto, quando c’è la calca umana attorno? Ovviamente no. Percisazione: non stiamo parlando del ‘gratis’, quello in Italia lo diamo ormai per scontato visto che quasi nessun giornale ti rimborserebbe la cena nel ristorante di cui scrivi e quindi l’unica onestà possibile è quella di non citare i posti tristi o pessimi.

In questa logica degli inviti di massa ogni tanto però ricaschiamo, perché a volte di mezzo ci sono amici insistenti, patron che non vorresti offendere, soprattutto l’ansia di perdersi qualcosa: rimane la questione di fondo, ovvero che il giornalismo ha nulla a che fare con situazioni del genere. Come puoi raccontare un luogo, un piatto, un’atmosfera? Come puoi suggerire, coinvolgere il lettore, informarlo, dargli dei punti di riferimento? Esatto, non si può e, aspetto più grave, agli organizzatori non interessa affatto. Per loro conta fare numero, portare masse di persone, dimostrare appeal e conoscenze. Gli uffici stampa, lo pensiamo sempre più spesso, ci usano per fare bella figura. Più giornalisti portano, meglio è per loro. Esagerato? Assolutamente no.

A loro importa poter dire che hanno invitato 70 giornalisti, così giustificano la “parcella” che mandano al cliente. Nulla da eccepire, dal loro punto di vista. Un noto chef bistellato caricò sui pullman una sessantina di colleghi per fargli assaggiare il suo nuovo menu. Si possono avere due stelle e caricare la gente come bestiame, per poi pretendere articoli minuziosi, pieni di charme e dettagli sul menu? Rispondetevi da soli. Ci immaginiamo sempre una che fatica a salire sul bus e alcuni che la spingono dentro. “Manca qualcuno?”, l’ultima domanda prima di tornare a casa, felici e ‘mangiati’.

Sintetizzando, si pensa e si punta sul fatto che il giornalista venga sempre e comunque, perché per forma mentale non rifiuta mai un aperitivo, una pizzetta, un’oliva, un pezzo di carne e un bicchiere di vino.  “Massì, tanto quelli vengono di corsa”, più o meno è questo il credo degli uffici stampa. Fino ad un certo punto possono avere anche ragione, però c’è un ma: non invitano mai quelli più importanti, non osano mescolare (azzardiamo dei nomi) Enzo Vizzari con questa gente, nemmeno Angela Frenda, oppure Fiammetta Fadda. Forse per questioni di età, sicuramente perché incasserebbero, giustamente, dei no secchi. E allora si punta su quelli che dicono sempre di sì ma che, guarda caso, contano molto meno. Gli stessi pr e uffici stampa potrebbero difendersi portando come argomento le difficoltà nel portare i giornalisti uno ad uno: sarà, ma se vuoi avere articoli ben impostati ne vale la pena di organizzarsi meglio e faticare un po’ di più.

Certo, per il lancio di una pizzeria forse basta far sedere tutti ad un tavolo e far loro assaggiare tre pezzi ad ognuno: due foto pubblicate subito su Instagram, il giorno dopo altre due e tutti a casa, poi c’è chi mette tre righe sul giornale, oppure sul sito. “Ha aperto in via ics, il patron si chiama così, il menu è cosa”. Sorvoliamo. Il ristorante è un’altra cosa, vive di vibrazioni, piccoli dettagli, servizio, accoglienza, ambiente. Per questo devi andarci da solo, per carpire e capire quello che sta succedendo. Al massimo puoi portare una persona, tanto per non cenare oppure pranzare senza scambiare un’opinione: anche se, trattandosi di lavoro, non si va con la moglie, oppure la sorella e l’amico. Quando si va a San Siro in tribuna stampa, nessuno si porta la famiglia (fino a qualche anno fa però era pieno di ‘figli di’). Forse dovrebbero impararlo anche nel settore del food. Il giornalista è per definizione uno scroccone, più o meno giustificato, ma in qualche caso è davvero appassionato alla materia di cui scrive.

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