Wimbledon e il popolo della Somme

4 Luglio 2016 di Stefano Olivari

Grazie alla fortuna, che raramente ci ha abbandonato, e a un caro amico, anche quest’anno siamo riusciti ad effettuare il nostro pellegrinaggio a Wimbledon godendo della vista ravvicinata di Federer, Wawrinka, Del Potro, Serena Williams e tanti altri, con il meglio al solito da cogliere qua e là fra i 14 campi (Centrale, 1 e 2 hanno biglietti dedicati) in cui ci si può infilare liberamente, sempre ovviamente ai cambi campo per non disturbare, seguendo l’ispirazione e la passione per determinati giocatori.

La splendida ospitalità della Jaguar ci impedirà di citare i ristoranti nella rubrica ‘Pagando il conto’, non avendo questa volta pagato il conto, ma ci ha consentito di girare liberamente in situazioni di solito fuori dal tiro del pubblico e anche dei giornalisti, origliando discorsi al di sopra delle nostre possibilità intellettuali e finanziarie. Innanzitutto abbiamo toccato con mano la presenza di grandi sponsor a Wimbledon, dove l’unico marchio che appare è Rolex e soltanto per ‘colpa’ dell’orologio. In sostanza tutte queste grandi aziende pagano non per esporre il proprio marchio, ma per essere in qualche modo legate a un torneo unico nel già unico mondo del tennis e poterlo dire, più che mostrarlo. Una strategia di marketing imposta da Wimbledon stesso, al pari del total white, ma nel lungo periodo di sicuro più produttiva rispetto a quanto si vede in altri grandi sport.

Il giro dei campi minori ci ha permesso anche di apprezzare per la prima volta davvero da pochi centimetri, al punto di capirli anche quando imprecavano sottovoce, due nostri favoriti come Fognini e Feliciano Lopez. Due con una mano straordinaria, soprattutto Fognini, ma anche alcune caratteristiche che li hanno condannati a una carriera da underachiever di alto livello. Le emozioni non sono però date dal ranking, ci emoziona e ci ‘arriva’ di più Fognini rispetto a Raonic, anche se Raonic forse vincerà un torneo dello Slam (speriamo non questo) e Fognini di sicuro no. Questo saltellare da un campo all’altro è forse più interessante nella seconda settimana, quando si possono trovare doppi di culto, i singolari juniores e anche le sfide fra vecchie ma non vecchissime glorie. Chi come noi ha venerdì scorso allungato il collo alla Rolando, incrociando nei vialetti Pat Cash, apprezzerà.

La cosa che più di tutte abbiamo notato è che rispetto alle precedenti esperienze, iniziate con un Lendl-Edberg del 1987, erano praticamente inesistenti i militari in servizio o in congedo fra il pubblico (molti biglietti sono riservati a loro) e fra chi svolge attività di supporto al torneo. Ignorantemente non sapevamo che fosse il centenario esatto della battaglia della Somme, che non durò soltanto il primo luglio 1916 ma che quel giorno iniziò, dal punto di vista delle perdite umane e soprattutto della strategia forse la più atroce della storia britannica. 550mila fra morti e feriti britannici, insieme a 250mila francesi e dall’altra parte più di 500mila tedeschi. Una ricorrenza che anche prima del centenario è stata sempre molto sentita, non perché sia una vittoria da celebrare (fu in realtà un pareggio, con l’esercito del Kaiser che arretrò di pochissimo) ma perché quel massacro riguardò tutti e per certi versi uccise le vecchia Inghilterra imperiale-coloniale. Australiani, neozelandesi, rhodesiani, sudafricani, canadesi, ragazzi provenienti da isolette e che nemmeno sapevano dove fosse l’Europa, morti in trincea in gran parte per ordini demenziali e, leggendo i giornali inglesi, secondo noi non abbastanza sottolineati nella giornata del ricordo (tutto il mondo è paese: siamo del resto quelli che intitolano piazze e vie a Cadorna). Una commemorazione strana, quella avvenuta in Francia alla presenza di William & Kate, ma anche di Cameron e Hollande, nel senso che le cose da ricordare erano molte ed alcune in forte contrasto fra di loro.

Di sicuro il Commonwealth e Wimbledon sono un prodotto della stessa idea di Inghilterra e di mondo, un’idea arrivata almeno formalmente fino ai giorni nostri. Un mondo perduto, un tempo sospeso, la certezza che l’anno prossimo si giocherà un’altra edizione.

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