Le visioni di Belinelli

20 Giugno 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalle terme giapponesi con vista sul monte Fuji dopo aver litigato con quelli che hanno deciso il numero chiuso per la passerella di Christo sul Lago d’Iseo, che deve essere davvero bella se non piace a certi critici dal veleno spesato, che deve dare una sensazione di biblica libertà se pensi di poter camminare sulle acque, ma anche uno stordimento che prende, soprattutto, chi ha soltanto certezze, chi non pensa con la propria testa e si nasconde dietro le pagine pubblicitarie. Alle nippo terme siamo andati anche per interrogare papà Rudy, il mentore che insegnava l’inchino verso il pubblico al meraviglioso funambolo Philippe Petit, quello che ha camminato sul filo fra le torri gemelle nell’agosto del 1974. Al suo spirito abbiamo chiesto che tipo di inchino si deve fare ai ricchi e potenti che vincono nel gioco dove hanno quasi tutti i soldatini.

Ci ha sorriso, con l’ironia del grande Kinsley nel film The Walk, cercando di consolare chi non capisce tutto questo fervore sull’inginocchiatoio dopo la vittoria di Milano contro la spolpata Reggio Emilia, diciamo Repesa sul fuoco amico, diciamo la squadra dell’Emporio sui resti del forte Alamo che Menetti ha difeso contro tutto e tutti, sì anche lui aveva in casa i cecchini del finto amore, diversi da quelli del divino amore milanese, ma pur sempre pericolosi. Per la Milano che rischiava di deviare a destra figurarsi se non siamo contenti che re Giorgio abbia avuto l’occasione per brindare ancora, per annusare un profumo diverso da quello che propongono gli accigliati modelli, ma qualcosa di speciale fra sudore e salicilato di metile, quello che senti in uno spogliatoio, sul campo. Certo servirebbe un minimo di tolleranza. Uno ha scritto persino che vincere da favorito non è poi così facile. Devi farlo. Bella questa lezione. Ne terremo conto nella prossima vita dove al campionato fra i cerchi di Saturno ammetteremo soltanto giocatori senza guinzaglio, vincoli definitivi. Vorremmo un campionato per gente libera, con i compensi stabiliti all’osteria.

Chiusa la seduta di fanghi nazionali, anche se in giro vediamo nuvoloni grossi grossi, perché sui contratti di immagine c’è confusione, perché non tutti hanno i soldi veri per fare il prossimo campionato, perché Gerasimenko da Cantù ci ha fatto sapere che lo vedremo anche in campo. Quale campo? Be’, aspettiamo che nel Cantuki finiscano di litigare, di non vedere, di negare difendendo persino le lamiere del Pianella da un progetto che renda moderna la vecchia cattedrale eretta ai tempi in cui era difficile predicare essere al centro della Mission.

Voltare pagina, schivare la zanzara di Rio, e invitare il Belinelli mago di Sangio a bere un sakè nella vasca grande sotto il Fuji. Ehi mago ci hai preso: prima delle finali avevi detto che tifavi, giustamente, per il maestro Repesa, e lo hai rivisto in canotta rossa non proprio extralarge, ma forse era colpa sua, podio scudetto con la Milano che, insieme a lui, avevate depredato qualche anno fa. Caro Beli ci hai detto Cleveland e LeBron James, con la mano santa di Irving, ha ribaltato il 3-1 di Golden State, ha pianto sul titolo regalato alla città abbandonata per il sole di Miami, ma poi ritrovata per l’espiazione e il trionfo. Finale da leggenda, ma ci dispiace ancora che la vittima, a metà strada, sia stato Blatt.

Ora ci hai detto che vedremo anche l’Italia alle Olimpiadi di Rio. Non esistono due previsioni giuste senza la terza. Diciamo che se tutti avranno la ghigna di Sangio vista a Trento allora nessuna preoccupazione, anche se sarebbe da stupidi non considerare pericolosi i croati, cara gente ma rivali nella storia, su ogni campo, anche di battaglia come direbbero a Milano pensando ai cruatt che con le loro cravatte stringevano forte il collo dei patrioti che non sapevano ancora come avrebbero coperto e scoperchiato i navigli gli eletti dal popolo. Ancora peggio non sapere che la Grecia con Antetokounmpo è una nemica che ci ha fato piangere spesso, anche se pure loro dovranno guardarsi dal Messico di Ayon proprio adesso che la vergogna della nazionale di calcio in coppa America, 7 pere dal Cile, dovrà essere almeno vendicata dagli aztechi inventori del basket, anche se loro, come palla, usavano teste mozzate dei nemici. Dicono che qualche genio legaiolo ci stia pensando per il futuro nelle città dove si fanno leggi che sembrano flatulenze.

Nella sala dove si raduna la clientela del servo encomio la domanda banale servita a colazione e poi a cena: si vede già la mano di Messina? Come dire che non si vedeva e non si sentiva la mano del povero Pianigiani che ora andrà in esilio a Gerusalemme, casa dell’Hapoel, per prendersi tutte le rivincite. Certo aveva ragione quel genio che scrisse di polvere e di altare. Sembrava che senza il verbo del lupo di Siena non ci fosse più basket e vegetazione in Italia. Appena Petrucci gli ha tagliato le ali e rubato il vestito da super genio che tutto vuole e su tutto vuole comandare, senza mai dare un sorriso al presidente ansioso (eh, ma lui, dicono i difensori del piccolo principe, era abituato al sistema Minucci nella Siena che avrà anche pagato in nero, ma certo non sbagliava tanto nella scelta dei giocatori), in quel momento il caro Simone è diventato soltanto il Pianigiani muso duro.

Deve essere un’epidemia questa che cancella gli ex senesi diventati famosi. Pensate a Luca Banchi. Ha pur vinto con Milano, certo ha anche perduto, ma adesso sembra impossibile che non trovi una birreria con dentro un dirigente che possa offrirgli una nuova strada. Magari andrà nella delusa Strasburgo di Collet che già pensava a Pianigiani.

Dunque Belinelli e Azzurra. Sì, sembrano sposati bene. Lui e Gallinari hanno in mano la situazione, l’avranno anche con l’arrivo dei finalisti scudetto, si faranno un po’ più in là soltanto per Gigi Datome che è il vero capitano, uno da tenere in Italia, ma anche nelle società che vorrebbero essere modello, plagiatrici di storie già scritte, fortunatamente, già viste, dove ci si mostra virtuosi e si risparmia sul grande ingaggio, insomma ci si veste da volpi davanti all’uva imprendibile. Abbiamo una base seria, magari giocherà qualche volta anche Boemia Bargnani, eh sì, il barone Sales lo avrebbe chiamato così un giocatore che deve stare seduto tanto tempo per infortuni più o meno seri. C’è da scegliere fra aspiranti registi: sembra che Poeta abbia in mano il cuore della comitiva e potrebbe essere il prescelto a scapito, magari, del Cianciarini un po’ meno solare, considerando che con Belinelli combo, anche da triregno per i ruoli 1-2-3, dovremmo comunque esserci. Non siamo stupiti per la mancata convocazione, anche fra le riserve, del Polonara involuto di quest’anno. Siamo piacevolmente colpiti dalla scelta del toscano Andrea Zerini nel gruppo dei sedici al lavoro nel regno di Ettorre a Bononia. Non vorremmo che Sacchetti dovesse pentirsi per non aver insistito a tenersi questo giocatore che Bucchi ha fatto progredire al massimo, ma forse era una cosa già decisa mentre Ferdinando Marino, il vero padrone di Brindisi, era impegnato nella dura lotta per diventare sindaco, corsa persa in volata.

Sceglierne dodici non è mai facile, meglio così, un Messina criticato, magari odiato, maledetto dai soliti noti, rende molto di più e a lui piacciono le sfide dove deve indossare la maschera di ferro, anche se il vero personaggio lo conoscono soltanto i commensali, quasi tutti colleghi dell’alma mater cestistica bolognese. Qui di faccine da mangiare ne avrà. Peggio per loro. Certo se dovesse accorgersi subito che qualcosa non va speriamo abbia la voglia e la forza per sistemare tutto prima di Torino.

Dal monte Fuji arrivano farfalle su questo basket che va verso i mesi caldi per voi, soltanto per i vostri occhi le campanule di chi non ha meritato stelle, da chi è guardato in cagnesco dai cortigiani arrivati con la piena.

Milano ha preso Pascolo e deve essere contenta di non trovarlo nel gruppo della Nazionale per il preolimpico perché nella storia Olimpia, quasi sempre, insomma da Paratore a Primo, con Riminucci o Brumatti, lo stesso Gamba con Bariviera, che ogni notte ne brucia l’icona pensando di essere stato ingiustamente escluso dall’Italia poi argento olimpico, perché quando uno in maglia rosso vero restava fuori poi faceva grandi stagioni.

Anche Abass sarà una pedina importante per Repesa che si è tolto il sassolone del turn over, soprattutto con questi stranieri che cercano sempre una scusa per andare a fare notte in qualche privè. Lo ha scoperto anche Gerasimenko, il magnate misterioso, a sua volta scoperto da Oriani per la rosea tricolor in giornate dove tutti lo davano per desaparecido. Ora l’uomo dell’Ottobre Rosso sembra bello carico per la gioia di chi a Cantù spera nel suo superio per portare l’attacco alla Milano che il nostro Rasputin vorrebbe battere per poter finire un prezioso rosso aperto anzitempo, speriamo non sbagli allenatore come ha sbagliato lasciando andar via gente come Roberto Bianchi che sussurrava ai cavalli e creava cose che i soldi non inventano, e, soprattutto, non cerchi giocatori che piacciono soltanto a lui anche se li ha visti una volta.

Siamo tutti impegnati a ricordare alla la FIBA di inserire il professore d’italiano e di canestri Bob Morse l’immenso nella Casa della Gloria. In Italia dovremmo creare una sezione per gli stranieri che hanno lasciato una traccia, indicato una strada. Sabato entra nella nostra casa della gloria il Tanjevic che per il basket italiano ha fatto molto, molto di più dei tanti che gli hanno messo i bastoni fra le ruote. Con lui alla Cappella Farnese tappeto rosso per Achille Canna, una vita per il grande basket con Porelli e anche prima come giocatore Virtus), Ivan Bisson, il totem di una Ignis delle meraviglie, quella stessa che entra come club storico nella casa di foglie che ancora non sappiamo dove edificare come direbbe Bianca Rossi che vi entra come roccia del basket femminile.

A proposito queste scelte sono della commissione precedente a quella dove siamo stati immeritatamente ammessi. Quindi sono altri che hanno scelto così bene sempre sotto la illuminata guida del bastone di Sandro Gamba.

Quanti soldi ha raccolto la federazione per le multe date a spettatori imbecilli che usavano i fischietti? Abbastanza pochi se il fenomeno continua.

Bella cosa il titolo under 18 vinto dalla Reyer Venezia in finale contro la Virtus Bologna, la nostra storia cestistica continua se società gloriose e con destini attualmente così diversi, continuano a cercare e produrre. Ancora più bello trovare come campione d’Italia elite, sempre negli under 18, il Guglielmo Roggiani che ha guidato al titolo la Dinamo Sassari vincitrice contro la Valdicarnia. Roggiani è stato assistente del primo Peterson milanese insieme a Casalini, è stato il pilastro di una storia importante per il vivaio biancorosso, ha vinto e insegnato tanto, regalando agli altri anche la sua salute, allievo di qualità della grande scuola di Mario Borella alla Canottieri Milano. Pensavamo che se ne parlasse più di un allenatore che pure aveva tante qualità. Per fortuna alla Dinamo hanno trovato il filo rosso per tenerlo nella vita che ha sempre desiderato fare, anche dopo aver allenato le donne.

Nella rassegna giovanile intriga trovare Michele Ebeling nel quintetto base con Penna, Massone e i due reyerini Crigonia e Strioni. Nella festa a cui hanno partecipato vecchi campioni cominciando da Pieri e Ferracini, o capitani grandi capitani, il Federico Vecchi virtussino è stato premiato come miglior allenatore anche se ha perso. Forse stiamo migliorando tutti.

 

 

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