Quello che McEnroe non può insegnare

30 Maggio 2016 di Stefano Olivari

La carriera da allenatore di John McEnroe è iniziata nel peggiore dei modi, con la sorprendente sconfitta di Milos Raonic contro il discreto ma nulla di più, a livelli Roland Garros, spagnolo Albert Ramos-Viñolas negli ottavi del torneo. Ma la collaborazione fra uno dei più grandi geni della storia del tennis e il canadese è appena iniziata, in ogni caso è centrata sui prossimi Wimbledon e sugli U.S. Open. Di sicuro il cinquantasettenne McEnroe fra le telecronache, una famiglia numerosissima e i mille altri impegni derivanti dal fatto di essere McEnroe, non sarà un allenatore da campo ma una sorta di consigliere-motivatore dell’attuale numero 9 del mondo, che andrà ad integrare il lavoro del team di Raonic, in cui spiccano Riccardo Piatti e un altro ex campione, sia pure di cilindrata diversa rispetto a McEnroe, come Carlos Moya. I tempi sono leggermente cambiati da quando McEnroe, da numero uno del mondo e stra-milionario, viaggiava da solo senza allenatori, manager, psicologi, fisioterapisti, allenandosi con altri giocatori o con il compagno di doppio Peter Fleming. Continua sul Guerin Sportivo.

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