Datome e i meccanici dell’Est

16 Maggio 2016 di Oscar Eleni


Oscar Eleni da un’officina di Palmanova, scoprendo per la prima volta che il rumore di un motore rimesso in moto può essere anche felicità. Soprattutto se lo hai sentito spegnersi per un bacio non voluto con il guardrail, sotto choc come i viaggiatori viaggianti che vedevano andare in pezzi il deflettore e non trovavano conforto nell’abbraccio degli air bag mentre tutto scoppiava dentro di noi. Meglio una giacca rovinata, anche se comperata in Spagna e tenuta cara, che una spalla in pezzi, anche se il dolore resta. Colpa nostra. Viaggiatori viaggianti per passione, dall’alba ad una notte che sembrava tragica. Milano-Udine e ritorno. Che ritorno.

Eravamo stati bene al Castello, anche se la salita è stata faticosa, magari non si è capito tutto quello che dicevamo per colpa dei microfoni, ma siamo stati tutti coinvolti dal furore organizzativo di Micalich per far sentire di nuovo la voce del Friuli, nell’interpretazione del professor Flavio Pressacco, sempre geniale anche se ci vede pakistani, in una sala del Parlamento bellissima dove l’avvocato Adani, presidente del comitato regionale, ha lanciato una sfida con un’arringa simile, pensiamo, a quelle che fa in tribunale quando deve difendere i “tifosi” che sbagliano. Siamo fiduciosi. Nel triangolo perduto Gorizia-Trieste-Udine abbiamo trovato il meglio per il nostro basket. È ora che Udine torni in serie A, che Trieste ritrovi uno Stefanel, e un Tanjevic, si capisce, e che Gorizia ci dia altri campioni straordinari. Hanno giurato quasi tutti. Vedremo. Certo la trappola degli affetti gioca brutti scherzi. Pensavamo che il sindaco Honsell, il presidente Petrucci, quelli della Regione, si potessero offendere se avessimo mancato, dopo aver promesso. Almeno siamo arrivati in orario e non abbiamo fatto proprio una toccata e fuga ritardataria come l’amico sportivo di tutti, il nano ghiacciato Peterson che grazie alla memoria di Cappellari si è ricordato di quel tredici al totocalcio che fece schiacciare Meneghin in riscaldamento.

Per fortuna sulla memoria e sui sogni abbiamo rimediato dopo, saltando i grissini con prosciutto, portandosi dietro la promessa non promessa del sindaco per ridare il Carnera al basket almeno nella prossima stagione quando Lino Lardo dovrebbe aver completato la prima parte del lavoro iniziato con Alessandro Pedone. Fu proprio una crepa, per il terremoto nel 1976, che tutto cambiò. Ma quel sisma rubò ben altro. Erano i giorni del preolimpico dell’Italia ad Edimburgo dove la nazionale di Primo, con tanti giocatori legati al Friuli, Meneghin in testa, battè la Jugoslavia e si qualificò per Montreal, la prima olimpiade delle dieci che abbiamo esplorato. Dicevamo della memoria ritrovata mangiando un caciucco, scelta sacrilega fino all’assaggio per poi applaudire il cuoco degli Ex Provinciali che si è guadagnato anche la gratifica del marito di Lidia Gorlin, l’unico autorizzato a dare veri giudizi venendo da feroci dibattiti fra livornesi e viareggini su questo piatto da combattenti pepati. Cuoco re dei blisgoni, ravioli di zucca meglio dei mantovani, dice lui, arrivato in cucina e all’osteria dopo aver mandato a quel paese computer e vita blindata. Ci portavamo dietro gli abbracci con il Bardini che a Gemona sta lavorando con l’entusiasmo di sempre per l’università di scienze motore, Flavio Pressacco reduce della festa del basket trevigiano del giorno prima, Ciccio Della Fiori rimasto legato anche se il suo infortunio fece andare a gambe all’aria lo squadrone con Dalipagic e Nater che persino il professor Nikolic non riusciva a tenere insieme, il Bettarini leonino di sempre, l’Ezio Riva che sconvolgeva Peterson imbacuccato nel freddo di Milano uscendo dal Palalido con maglietta a maniche corte (“coach io sono friulano”), il Nino Cescutti che ha fatto storia fra i grandi realizzatori, vispo come ai bei tempi, ironico come sempre. Inginocchiati davanti a loro ascoltando l’omelia più bella del professor Piccin sapendo di aver deluso. Quando si sbaglia la colpa, lo sapete non è mai degli attori e dei giocatori, si dice sempre che l’allenatore non è stato capace di capire, il regista di far partire davvero l’azione e il motore.

Ma torniamo in via Prefettura dove la grappa ha colpito i centri nervosi, da qui quel bacio a Latisana. Centro tavola per Alberto Cecere, parente del nostro collega Nicola della Gazzetta, tifoso vero dell’Avellino che incrocerà il brigantino di Reggio Emilia per andare alla sua prima finale scudetto nella storia. Dal Cecere che vive invece a Udine la storia del suo Museo itinerante del basket. Scatoloni con cimeli che neppure a Springfield. Va dove lo porta il cuore, dove serve. Fra poco sarà a Torino con Del Piero per capire come si potrebbe allestire davvero un museo dello sport. Dovrebbe andare anche da Petrucci, il presidente che sembra vivere nell’ipeuraneo, nervi tesi, testa sul preolimpico, maledizioni per chi non capisce, fede assoluta nel messia Messina che torna sulla nostra terra dopo aver lasciato San Antonio senza la felicità di una finale NBA. Forse lo sapevano bene lui e Popovich, il tempo non perdona ad ogni livello, come ci ha detto anche il guard rail. Insomma un presidente in viaggio senza scorta, ma con le idee chiare, una voglia di morsicare che se trasmessa a quelli di Azzurra sarà benefica, anche se gli avversari non sono così deboli come ha detto il professor Blasone nel filmato al Castello, facendo saltare sulla sedia Giannino del Circeo.

Petrucci e gli occhi sorridenti pensando al Gigi Datome visto a Berlino. Un bel giocatore, solido, un uomo che sa quello che cerca e che vuole. Bel capitano per Azzurra, peccato che anche lui sia caduto nella rete del CSKA in quello sciagurato secondo quarto che sembrava aver deciso l’eurolega, una manifestazione di lusso, il meglio del basket al di fuori della NBA, dei play off NBA, organizzata bene, nell’arena di Berlino che ci ha fatto diventare viola più della botta nella bufera autostradale: le nostre quattro finaliste giocano in palazzetti dove la media spettatori è di 2253 ad Avellino, che poi si lamenta se a Reggio, dove la media del tutto esaurito è 3382, non possono concedere più di 50 posti alla tifoseria ospite. Non parliamo di Venezia che al Taliercio ha una media di 3306. L’unico palazzo grande, europeo, in Italia, adesso l’avrebbero Torino e la Milano che, però, ha già dovuto andare in esilio nei quarti a Desio e dovrà tornarci per le prime due partite di semifinale contro la Reyer. Espulsa da altri tipi di arte moderna: musica, teatro. Povera Milano, poveri noi che crediamo di essere come il giovane Verstappen e invece finiamo fuori strada come la signora del banco verdure.

Restando sul tema spettatori e incassi, va bene che a Berlino c’erano tanti turchi, ma era bello andarci e le nostre invece hanno guardato col binocolo, da molto, molto lontano anche se fra le finaliste alcuni viaggiatori viaggianti erano pure transitati dalle nostre parti dove i soloni non vedevano ovviamente Kyle Hines, perché c’è chi misura tutto, ma non sa come è fatto il cuore di un campione, che non conoscendo l’essenza dello sport e dei suoi misteri si fa prendere per il naso dai filmati messi fra le viole e le mammole da agenti giustamente interessati a mostrare il meglio della merce. E sì, siamo al concetto di merce non di uomo nella girandola sempre aperta salvo che per i più sfortunati, vedi Boniciolli o Faina che perdono l’americano quando si decide tutto. Berlino ha detto che avevamo giudicato male Perasovic stritolato dalle gnagnere europee di una nazionale croata che ora ci tornerà fra i piedi, più furente che mai, guidata da Aza Petrovic che non è certo tipo da regali. La sua squadra dell’orgoglio basco ci è piaciuta tantissimo e saremmo curiosi di sapere come ha fatto a far tornare Bourousis un bel giocatore. A Milano succede anche per molti altri che altrove sembrano rinascere.
La finale di eurolega ci ha presentato anche la realtà dei cosacchi di Krasnodar che hanno trovato in Grecia un bell’allenatore come Bartzokas.

Sul Fenerbahce di Gheraridini e Obradovic tutto il bene possibile, anche se non tutto è andato bene. C’è stato sempre un tempo per la sofferenza, certo se hai in squadra un asso come Vesely che ti fa 1 su 10 ai liberi allora sei già messo male. A proposito, questo pivot di talento ci ha confermato che i giocatori di cui non bisogna davvero fidarsi sono quelli che sul campo, con tutte le cose che ci sono da fare, cercando di non perdere la concentrazione, pensano sempre di fare matrimoni morganatici con il pubblico. Chi chiede più incitamento dalle tribune denuncia la sua carenza affettiva all’interno del gruppo, fa capire che non riesce a star dentro alla sofferenza di una partita. Certo Obradovic ha mangiato molte facce dei suoi giocatori, ha fatto tutto bene, ma anche lui ha scoperto che certe cose non le puoi insegnare e certi giocatori imparano tutto dopo averle prese cominciando dal Dixon che ha avuto poco dalla vita prima di scoprire che c’erano pianeti dove la vita poteva ricominciare e lui, fortunatamente, è stato capace di farlo. Spesso chi prende giocatori stranieri statunitensi che hanno avuto vite e famiglie complesse non capisce che prima bisogna riazzerare ogni cosa, creare una nuova famiglia, poi pensare al giocatore che se lo tratti male si esaspera e peggiora, diventa intrattabile. Una volta si cercava questa fratellanza, adesso si pensa ai cuoricini per le signore in tribuna, a regali per gli agenti sul trono.

Sul CSKA diciamo che siamo felici per Itoudis, l’uomo che viene dalla Grecia del Nord, il braccio destro di Obradovic nelle meravigliose liti pubbliche davanti alla panchina quando erano insieme per la gloria del Panathinaikos. Lo siamo certamente per roccia Hines, persino per il poeta maledetto De Colo MVP e capocannoniere, ma pure lui come diceva Collet suo allenatore in nazionale non sempre sicuro di esistere per come è, sognando di essere sempre un altro. Dovremmo esserlo anche per quel presidente che da manager portò Messina a Mosca e nella finale di Berlino, avanti 20 punti, aveva la faccia da ultimo miglio verde, di chi sapeva di aver allevato degli scorpioni, quelli che avvelenano chi li sta portando in salvo anche se poi loro stessi affogheranno insieme alla vittima colpita, perché così è la loro natura. Milano ha scoperto di avere la casa madre per questo tipo di giocatori sotto il Cremlino, anche se Repesa sta cercando di affumicare il nido. Non siamo sicuri di esserlo per il più geniale visto in Europa come il pittore Milos Teodosic che sul campo sembra sempre davanti alla tela, pennellate magiche, cose sublimi, e poi, zac, un colpo all’orecchio, una fuga verso campi di grano, ponti che non ci sono.

Abbiamo apprezzato quello che ha fatto FOX per l’eurobasket, ma a DE Rosa e Sconochini commentatori delle finali diciamo che non riusciamo a dare ragione quando vedono soltanto le meraviglie di Teo l’incompreso. Artista, stupendo, ma anche lunatico. Divertente, fantastico nelle intuizioni, ma non riusciamo a credere che si possa andare molto avanti con gente come loro. Certo è campione d’ Europa, ma quante finali si è bevuto con l’assenzio della sua fantasia?

Per chiudere applausi a Gigi Lamonica che ha diretto la sua quarta finale. Ora la stessa FIBA che ci stressa con la meritocrazia come scusa per poter saccheggiare l’ULEB che fa benissimo da 15 anni, nell’interesse dei club, come giustifica l’assenza di una Lamonica dalla “squadra di arbitri” per i Giochi di Rio?Non possiamo dare la colpa a Reggio Emilia, Sassari e Trento. Non erano ancora nel “peccato” di mancato inchino al Baumanesimo.

Torniamo a noi e a Cremona che è uscita con grande dignità non potendo competere con la Reyer rifatta e certo rinforzata dall’arrivo di Pargo che ha gambe ben diverse da quelle stanche di Goss e personalità per farsi capire persino da Green. Pancotto ha chiuso con stile, non poteva farcela senza Luca Vitali, ma ci sono già le basi per una prossima stagione bella come questa. Una società che ha qualcosa di speciale, una squadra che se non ci saranno sirene ed euro altrove potrebbe fare molto. Ci togliamo le bende e il cappello per questa Vanoli che dovrebbe diventare esempio anche se deve vivere con incassi medi di poco superiori ai 27 mila euro. Appena utili per pagare multe e trasferte.

Dino il meccanico dell’Est che ha ridato voce al motore choccato ci vieta di parlare delle semifinali.
Milano e Reggio Emilia favorite per avere due diversi vantaggi dal fattore campo, ma nessun dorma e al giudice che deve spiegare i motivi di certe ammende chiediamo di non essere indulgente. Siamo stanchi delle pantomime in tribuna, ma anche di quelle sul campo di chi non commette mai un fallo, un’infrazione anche se porta la palla a spasso su un vassoio fingendo di palleggiare.

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