Inseguendo quel suono, genio e tecnica di Morricone

25 Maggio 2016 di Paolo Morati

Ennio Morricone

A qualcuno potrà sembrare un azzardo, ma secondo noi Inseguendo quel suono (Mondadori), il libro-intervista ad Ennio Morricone scritto con Alessandro De Rosa, può essere tranquillamente accostato come importanza e valore al celeberrimo Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut. Il maestro italiano, a cui è stato finalmente assegnato quest’anno un vero Oscar, racconta infatti la sua vita, i film e la sua visione della composizione con dovizia di particolari, forse anche fin troppi per chi non ha studiato la musica in modo approfondito. Tre nella sostanza i versanti principali che segnaliamo, emergenti da varie conversazioni: gli scacchi, il cinema, le note. Ciascuno dei quali poi suddiviso, a cadere, in più argomenti, dove intervistato e intervistatore si lasciano andare in un dialogo prolungato, aperto e decisamente senza filtri e remore. Ecco allora che il confronto si apre con “gli scacchi che sono il più bel gioco proprio perché non sono solo un gioco. Tutto si mette in discussione, le regole morali, quelle della vita, l’attenzione e la voglia di combattere senza spargimenti di sangue, ma con la volontà di vincere, e di farlo correttamente. Con il talento e non con la sola fortuna”, afferma Morricone, ottimo giocatore che avrebbe potuto diventare ancora più grande e che negli ultimi tempi si trova sfidare (e spesso a perdere) con una scacchiera elettronica.

Questa, breve, parte della biografia è subito avvincente, immaginando quest’uomo concentrato e così deliziosamente composto nel suo apparire in pubblico, davanti a un computer in attesa della prossima mossa. E che fornisce tutta una serie di argomenti, sfide e considerazioni, arrivando a fare una rivelazione: “Ho constatato negli anni l’esistenza di un’intelligenza prettamente scacchistica che si manifesta lì, durante la partita e che non ha a che fare con la capacità riflessiva della persona nella quotidianità… Se non fossi stato compositore avrei voluto diventare scacchista. Però ad alto livello, un pretendente al titolo mondiale. Allora sì, sarebbe valsa la pena di lasciare la musica e la composizione”.

Ecco, la composizione. Partito al conservatorio con il corso di tromba, Morricone si è poi adeguato ai consigli che gli davano i suoi insegnanti, progredendo e generando passione. Qui racconta la sua storia, il percorso fino agli esordi come arrangiatore e la grande cura e attenzione del particolare, con tanti passaggi, ed esperienze. E valutazioni valide in ogni tempo: “Allora come oggi, vivere con la professione musicale, soprattutto come inizialmente avevo in mente io, cioè scrivendo esclusivamente musica che non provenisse direttamente dalla tradizione popolare, ma perseguisse invece la tradizione dei grandi compositori contemporanei che conoscevo e stimavo, una musica che esprimesse se stessa e che non si legasse alle immagini o alle esigenze contingenti, ma al solo bisogno creativo del compositore… insomma, come la vogliamo chiamare? Musica d’arte, oppure musica «assoluta», come ho iniziato a definirla io negli anni a venire… be’, vivere scrivendo una musica di questo tipo non era e non è cosa semplice”.

E poi è arrivato il cinema, “un’arte che coinvolge udito e vista e che solo nella loro democratica parità di fruizione può vedere esaltati i suoi significati”. Certamente Morricone parla molto del rapporto con Sergio Leone, di come sono nate le celebri colonne sonore per i suoi film che però non ritiene siano le cose migliori da lui realizzate, anzi. Queste pagine per chi ama il cinema sono estremamente gustose, da Il federale di Luciano Salce in poi una strada che il maestro non immaginava di intraprendere. Ma per capire il livello di dettaglio e profondità citiamo questo passaggio relativo alla realizzazione di Per qualche dollaro in più: “L’uso del marranzano non fu semplicissimo: tutto il film è infatti in Re minore, come il precedente, e la parte di marranzano comprendeva cinque note: Re, Fa, Sol, Si bemolle e Do, i bassi fondamentali delle armonie che impiegai. Trattandosi però di uno strumento mono-tono, in grado cioè di produrre una sola altezza, ne dovemmo introdurre cinque diversi e incidere i suoni uno a uno su piste separate”.

De Rosa, anche lui musicista ed entrato in contatto con Morricone in modo inaspettato (all’inizio del libro viene spiegato come), riesce quindi in quasi 500 pagine (comprese note e testimonianze) a stimolare costantemente l’attenzione del suo interlocutore e quindi del lettore ponendo domande approfondite sulle collaborazioni, le attenzioni e le procedure, alle quali il maestro non si sottrae e anzi risponde con vigore e dettaglio, portandoci in casa sua. Non solo quella fisica ma anche quella immaginaria, della creatività. Certamente alcuni passaggi sono molto ostici per profani come noi, dilungandosi in tecnicismi, ma se si vuole avere una visione completa (chi ha sentito parlare ad esempio del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza?) e positivamente complessa su Ennio Morricone ma non solo, Inseguendo quel suono è un libro illuminante con tanti spunti. “Purtroppo oggi si pensa che la musica sia semplicemente «melodia» e tutto quello che ci sta intorno sia di secondaria importanza. È assurdo, perché chi compone la musica lo fa, per conto mio, dall’inizio alla fine”.

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