Beccalossi e Ruggeri, gli ultimi fantasisti

3 Marzo 2016 di Paolo Morati

Evaristo Beccalossi

“Io sono quello da guardare, quando ho voglia di giocare sono schiavo dell’artista che c’è in me” scriveva e cantava Enrico Ruggeri nella canzone Il fantasista, dedicata tra gli altri ad Evaristo Beccalossi. Un brano del 1997, quando ancora si poteva usare questo termine e i calciatori non erano anche divi pettinati (confrontare le figurine d’epoca con quelle di oggi: stiamo parlando di soltanto due decenni fa, con Beccalossi già opinionista televisivo da tempo) e avatar da videogiochi ma semplicemente uomini da stadio e campo, declamando: “Gente si stringe ai cancelli per noi, sguardi che arrivano qua”. Sì, perché oggi al di là del talento più o meno presente l’immagine del giocatore è talvolta più da fotomodello, mentre il cosiddetto rigore tattico insieme alla fisicità esasperata ha ucciso l’estro di quando si poteva dire “Calcialo piano, la folla lo spinge; ecco, mi nasce un idea!”. Un calcio più lento e ragionato, dove chi poteva affermare “Credo al difficile tocco che ho: è l’esistenza di Dio. E l’impossibile dimostrerò con un segreto che è mio” non aveva un’immagine da vendere perché a vendere bastava il suo talento e non il taglio dei capelli.

Quello dei fantasisti era nella sostanza il mondo del “Corre la palla più forte di noi, segui la mia geometria”, una regola che andrebbe insegnata a chi ha spostato il baricentro su potenza e muscoli piuttosto che sull’intelligenza e l’istinto, e che ha finito per esiliare chi predicava “Ogni giocata è diversa dall’altra; questa è la vita per me”. Certo, qualcosa ancora rimane del pallone dove “L’impossibile dimostrerò con un segreto che è mio”… o ancora “Datemi quest’ora di attenzione, poi correte a festeggiarmi… Datemi il pallone, non parlate, poi correte ad abbracciarmi”, come cantava ancora bene Ruggeri, spiegando il valore immaginifico del fantasista e che aveva oltre a Beccalossi identificato in personaggi come George Best o Gigi Meroni, e come naturale in Diego Armando Maradona, però oltre tale definizione e ancora inarrivabile rispetto a quelli che sono i nomi oggi identificati come i più grandi al mondo.

Poi ognuno ha il suo riferimento di fantasista in mente, quello che lo ha fatto sognare (per noi, come ben sa chi ci legge da tempo, è stato Alvaro Recoba… ma un nostro caro amico adorava Romario o addirittura  – alla fine non conta dove giochi ma come giochi – Marco Girelli, leggendario attaccante delle serie minori tra Piemonte e Valle d’Aosta), che non è secondo noi un ruolo preciso seppure più indirizzato alla fase di attacco, ma un modo di vivere il calcio in campo e generare se possibile anche sane invidie. Perché nella sostanza, mentre oggi cerchiamo l’ultimo dei fantasisti capace di scatenare appunto la fantasia e farci tifare per qualcuno e non per qualcosa, vale per tutti il finale della canzone di Ruggeri: “Io sono l’ultimo egoista perché sono un fantasista; faccio quello che vorreste fare voi, quello che vorreste fare!”.

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