Meglio adesso che con De Michelis

13 Agosto 2015 di Stefano Olivari

La serie A del basket nella prossima stagione avrà la migliore situazione televisiva dall’era De Michelis presidente di Lega: su Sky due partite di ogni giornata di stagione regolare (una il sabato sera, la domenica a mezzogiorno o alle 18, l’altra sicuramente il lunedì sera), parte dei quarti di finale dei playoff e tutte le semifinali e finali, più frattaglie (Supercoppa, All Star Game), su Raisport una partita la domenica nel tardo pomeriggio o sera, la Coppa Italia e i playoff. Insomma, la qualità della produzione di Sky (sembra che stiamo copiando da una cartella stampa, come i giornali che ambiscono alla pubblicità Sky, ma lo pensiamo davvero: nessun problema invece nel dire che i commenti sono a volte democristiani in senso deteriore, dalla NBA alla femminile passando per gli azzurri di Pianigiani dove tutti sono fenomeni) unita alla visibilità che nazionale e trasversale che soltanto la RAI può dare. I soldi incassati non sono nemmeno un terzo di quelli che l’allora presidente di Lega e ministro socialista impose alla RAI dell’epoca di pagare (5 milioni di euro a stagione, in termini attuali) nel quinquennio 1988-1993 per un tempo di una partita alla settimana e i playoff che comunque venivano trasmessi soltanto in minima parte perché i canali RAI di quell’epoca pre-digitale terrestre erano soltanto tre. Oggi gli sconfitti della vicenda sono la Gazzetta, bisognosa di eventi per riempire il palinsesto della sua neonata tivù, SportItalia che al basket, anche quello parlato, ha sempre dato grandissimo spazio (anche trasmettendo la ACB), forse anche tutti quei soggetti (compresa Discovery, fresca di tasto 9 del telecomando con Deejay Tv) per i quali un 2% di share rappresenterebbe un buon risultato. Contenti noi che vedremo tutto, in parte senza immagini da Bulgaria anni Settanta, ma le cose vanno messe in prospettiva: diviso per 16 l’incasso televisivo sarà molto al di sotto dei 100.000 a testa, al confine del budget per un agitatore di asciugamani. Rimane insoluto il problema principale, che non è certo colpa delle televisioni, cioè la riconoscibilità delle squadre in campo. Un discorso che prescinde dalla solita questione italiani-stranieri (per il bene dei bilanci andrebbe tutto liberalizzato, al di là della simpatia per il quarantenne Marconato appena ingaggiato da Sassari) e che riguarda squadre cambiate quasi totalmente. Al decimo articolo sulla ‘voglia di riscatto’ di Milano verrebbe da chiedere ‘Ma voglia di riscatto di chi?’. Rispetto all’anno scorso sono cambiati presidente, allenatore e dieci giocatori su dodici. Bene quindi per la visibilità, ma non è chiaro visibilità di cosa: qualche veneziano da NBDL, pronto a scappare dalla sera alla mattina per un posto da magazziniere nei Grizzlies? Qualche cesso da 12 squadre europee nelle ultime 4 stagioni? Senza inventarsi chissà che cosa, basterebbe vietare qualsiasi operazione di mercato a stagione iniziata, sarebbe uno stimolo per gli allenatori e un’occasione per i tifosi per imparare a memoria almeno il roster della loro squadra.

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