Gli stagisti del Noma

7 Agosto 2015 di Dominique Antognoni

In Italia si parla molto dello sfruttamento degli stagisti, nei settori più diversi (anche il giornalismo), ma non è che nella famosa Europa i diritti più elementari delle persone siano rispettati. Occupandoci da due anni di cucina per il Giornale e altre testate, è stato inevitabile sentir mitizzare il Noma da chef o aspiranti tali. Per chi non lo conoscesse, diciamo che è un ristorante di Copenhagen, con chef René Redzepi, che ha due stelle Michelin e che da molte riviste serie è stato giudicato il miglior ristorante del mondo. Cucina a parte, sul piano lavorativo al Noma c’è una situazione interessante, che merita essere approfondita. Intanto gli stagisti non vengono retribuiti e fin qui non c’è notizia, vista la fila per entrarci (metterlo nel curriculum fa un certo effetto, in questo ambiente). Alcuni di loro magari vengono assunti in seguito, ma nei mesi di stage si devono dannare l’anima in un modo folle. Con un confine fra impegno estremo, comportamento sempre lodevole, e accettazione della schiavitù che è difficile da tracciare. Sentite qui la testimonianza di Anna Lisa Macellaio, sous-chef di Luigi Nastri al Settembrini di Roma. Lei è stata da Noma per due mesi, fra novembre e dicembre dell’anno scorso e ne ha da raccontare. Anzi, la sua testimonianza è un “documento” a dir poco straordinario per chi vuole capire come si svolgono le attività nel ristorante più acclamato degli ultimi anni.

Sentitela: “Due settimane prima dell’inizio dello stage ho ricevuto una mail di conferma e un file che racconta la filosofia del Noma, quello che avrei dovuto portare in dotazione e quello che mi avrebbero dato loro. Mi hanno avvertito che non sarebbe stato possibile fare foto, abbandonare prima della scadenza prevista lo stage o avere comportamenti inappropriati. Se avessi commesso uno di questi errori sarebbe scattata la penalizzazione e sarei stata inserita sul famoso libro nero degli stagisti che condividono tutti i grandi ristoranti. Insomma, tolleranza zero”.

Ed ecco il suo “diario”: “La mia sveglia suona alle 5 del mattino. Devo attaccare a lavorare alle 6 e continuare fino alle 23-24, dal martedì al sabato. Lo staff al Noma è diviso in 5 sezioni. 1. Am, è la sezione di quelli che attaccano alle 5 del mattino e staccano alle 18 del pomeriggio. Si occupano delle centrifughe di frutta e verdura, così come del pranzo e della cena al personale. 2. Snack, è la sezione che si occupa dei 20 assaggini iniziali. 3. Section 1 è la sezione che si occupa dei piatti freddi che escono dopo gli assaggino. 4. Section 2 è la sezione dei secondi caldi. 5. Pasticceria. Tutti siamo divisi come se fossimo in una caserma. Ognuno è in una sezione e se sei fortunato, come me, ti mandano anche a fare il servizio nella cucina del piano di sotto. Solo così puoi portare i piatti ai tavoli e annullare la distanza tra cucina e sala, uno dei miti del Noma”

Il tempo è scandito da un cronoprogramma molto preciso: “Dalle ore 6.00 alle ore 8.00 alla Section 1 prepariamo tutte le guarnizioni e le erbe che vanno nel piatto. Alle 8.00 arriva la spesa e con guanti e cappotto si esce fuori a sistemarla. Anche sotto la neve, se è questo che state pensando, perché il magazzino è esterno. Dalle ore 8.00 alle ore 9.00. Pulizia generale dei piani e del pavimento. Dalle ore 9.15. Mise en place delle preparazioni. Ore 11.30. Di nuovo pulizia generale dei piani, delle pareti e del pavimento. È la seconda. Ore 11.45. Briefing nella sala del ristorante dove il maître di sala racconta chi sono gli ospiti del giorno e se tra loro c’è qualche Vip o Friend (come li definiscono) o qualche tavolo con allergie e richieste particolari. Si discute anche del servizio del giorno prima e lo chef non manca mai di fare giuste annotazioni o di motivare lo staff a dare sempre il meglio. Dalle ore 11.45 alle ore 11.48. Se sei fortunato hai 3 minuti per mangiare in piedi una scodella di minestra: i primi tavoli arrivano alle ore 12.30 e molte preparazioni sono ancora ineludibilmente da completare. Ore 15.00 circa. Finito il servizio (section 1) se lavori nelle cucine al piano inferiore ti tocca passare almeno un’ora per lucidare e pulire tutto. Se invece lavori nelle cucine di preparazione al piano di sopra continui fino alle 16.30. Quindi di nuovo mega pulizie generali sui piani di lavoro, sulle pareti e per terra. Ore 17. Cena dello staff. Ore 17 .30. Di nuovo preparazione. Ore 18.30. Il briefing della sera. Ore 19.00. Inizia il servizio serale. Ore 22.00. Finito il servizio, di nuovo mega pulizie con svuotamento di tutti i frigoriferi e delle celle del piano superiore. Poi si continua a fare preparazione fino le 23 per il giorno successivo. Ore 00.00. Lo staff di cucina si riunisce per organizzare l’attività del giorno seguente. Sempre così, dal martedì al venerdì”.

Un po’ di respiro sul finire della settimana: “Il sabato, poiché la domenica è giorno di chiusura e non c’è bisogno di fare alcune preparazioni c’è più tempo per svolgere le pulizie straordinarie. Si prendono le scale per arrivare al soffitto, si smontano tutti i mobili per disinfettarli e si puliscono anche le prese di corrente per togliere ogni ombra di grasso. La cosa più terribile, almeno sino al disgelo, è la pulizia dei magazzini esterni (sei al freddo). Il giorno della chiusura per le feste natalizie (22 dicembre) siamo rimasti fino alle 3 di notte per completare le pulizie di chiusura attività”.

Ma come si fa a reggere questi ritmi, al di là dell’essere pagati o no? “Tutti coloro che lavorano al Noma in pianta stabile sono ragazzi molto giovani con età di 23-25 anni. Non reggono più di un anno e poi scoppiano. I ritmi sono pazzeschi, ripeto, dalle 6 del mattino fino a mezzanotte e 6 giorni su 7. Perché anche se il lunedì è un giorno di chiusura si va lo stesso al Noma per fare alcune preparazioni. Contate che ci sono solo tre sous-chef che hanno più di 35 anni: controllano tutti questi giovani e talentuosi capopartita. La verità è che non mi riesco ad immaginare come potrebbe fare il Noma a reggere questi ritmi di produzione senza l’aiuto degli stagisti”.

La vita in cucina è dura, quella in una cucina di alta cucina durissima perché non c’è da pensare soltanto a un lavoro ma anche a una carriera. Per questo stagisti e personale regolarmente assunto accettano, finché il fisico regge, di subire logiche di tipo militare senza essere in una caserma. Non solo al Noma, presso molti dei nostri guru la tabella che avete letto non cambierebbe. Questo mestiere non è per tutti, al di là della tecnica e della creatività, va detto a chi ha il mito del ‘cambiare vita’ entrando in una cucina.

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