Memo Remigi e la profezia di Bing Crosby

21 Luglio 2015 di Paolo Morati

Memo Remigi Bing Crosby

Memo Remigi, fresco di festeggiamenti per i 50 anni di carriera nel mondo della musica, è un personaggio che abbiamo cominciato a conoscere da bambini grazie alla televisione. Era il 1979 e la trasmissione si chiamava L’inquilino del piano di sotto, co-protagonista Topo Gigio, il personaggio italiano inventato da Maria Perego. Cantante melodico, romantico, autore di brani lontani dal tempo di oggi che mal sopporta lo stile garbato e non strillato, nonché conduttore e intrattenitore, prima di scegliere la strada che lo ha reso celebre Memo Remigi ha avuto un passato da campione di golf e ancor prima di promessa del calcio. In questa intervista rilasciata nei giorni scorsi, in esclusiva per Indiscreto, ci ha raccontato un po’ della sua vita.

Partiamo dalla tua infanzia, quando hai cominciato a fare musica e quanto la tua famiglia ha contribuito a indirizzarti verso questa strada?
Tutto nasce da mio padre che suonava il pianoforte a orecchio: io lo accompagnavo alla fisarmonica mentre eseguiva le canzoni di quell’epoca, da Miniera a Mamma. Crescendo sono passato al pianoforte, sempre da autodidatta, il che mi ha permesso di non rispettare alcune regole osando anche qualcosa in più. Ricordo ad esempio che quando feci ascoltare l’inizio de La notte dell’addio a un maestro di pianoforte lui commentò negativamente quel salto di un’ottava iniziale, sostenendo che nessun cantante avrebbe potuto farlo e che bisognava tenere vicine le note. Avessi seguito quei parametri il brano non avrebbe avuto lo stesso successo, perché la musica è sì matematica ma per scrivere una canzone bisogna anche seguire l’istinto.

Prima di seguire la strada della musica ti sei dedicato allo sport e in particolare a calcio e golf, entrando anche in nazionale. Puoi raccontare qualcosa di più di quel periodo?

Da ragazzino amavo molto il calcio e un giorno un tecnico del Como mi vide giocare chiedendomi di unirsi alla sua squadra. Tra i miei compagni c’era anche Gigi Meroni, io correvo molto e davo tutto me stesso, magro magro finivo le partite con le labbra viola senza bere acqua. A un certo punto sono emersi problemi fisici legati ai globuli rossi, per cui un medico disse a mio padre che avrei dovuto smettere e scegliere qualcosa di più tranquillo. Lui mi portò con sé al golf club di Villa d’Este a Montorfano, di cui era socio. E diventai un ottimo giocatore. In Italia i campi all’epoca erano una decina e i giocatori facevano parte di una elìte benestante, tra cui c’era anche mio padre che aveva una industria di torcitura e filati a Como. Vinsi parecchi campionati e trofei, entrando in nazionale, ma il professionismo ancora non esisteva, si partiva come caddie e il punto di arrivo era sostanzialmente quello di diventare maestri. Il periodo era la fine degli anni Cinquanta e tra i nostri maestri c’erano campioni come Ugo Grappasonni e Alfonso Angelini. Poi le cose sono cambiate, c’è stata anche una evoluzione del gioco e dei materiali, e sono nati i primi tornei dove si guadagnava parecchio. A un certo punto decisi di non diventare maestro di golf, non mi sembrava giusto impartire lezioni ai miei compagni.

Memo Remigi Bing Crosby Un giovanissimo Memo Remigi con Bing Crosby sui campi da golf

Proprio sui campi da golf avvenne però un incontro importante e per certi versi profetico…
Mentre si trovava in Italia per registrare un disco per il nostro mercato Bing Crosby si recò al campo di Villa d’Este chiedendo chi fosse il miglior giocatore sociale con cui confrontarsi. Gli fu fatto il mio nome e alla fine della nostra sfida mi regalò un acetato sul quale, quando gli dissi che mi sarebbe piaciuto fare il musicista, scrisse una dedica esprimendo la speranza che un giorno io potessi diventar famoso come lui. Un ricordo immortalato da una foto scattata insieme.

Quando prendesti la decisione di diventare definitivamente un musicista?
Accadde tutto a Santa Margherita Ligure, per caso. Io stavo suonando una canzone che usavo come ‘esca’ per le ragazze alle quali la dedicavo di volta in volta nella sala del bar dei Bagni Helios. Il maestro Giovanni D’Anzi (autore tra le altre cose di Oh mia bela Madunina) la sentì mentre sorseggiava un caffè, ne fu attirato e mi chiese se avevo altre melodie… io dissi che ne avevo ma non le ricordavo, perché per me era qualcosa di istintivo scriverle. Fatto sta che pur contro il parere di mio padre, che mi voleva operativo nella sua industria, decisi di accettare la proposta di lavorare con lui, spinto anche da mia madre. Ogni giorno la mattina prendevo il treno da Como per Milano, mi recavo alle Edizioni Curci in Galleria del Corso dove c’era il suo studio e durante la giornata suonavo al pianoforte quello che mi veniva in mente e quando sentiva qualcosa di gradevole interveniva. Per me è stato come un secondo padre. Era un mondo eccezionale quello della Galleria: si incontravano autori, orchestrali, parolieri, gli esponenti della scuola genovese come Gino Paoli e Luigi Tenco alloggiavano alla Pensione del corso e c’erano tutte le case discografiche ed editrici. Ci si incontrava in piazzetta Pattari e quando bisognava fare una serata si scendeva in Galleria e si ricercavano dei musicisti, si improvvisavano dei gruppi perché era pieno di artisti in cerca di scrittura. Del resto allora la musica era di accompagnamento, il cantante interpretava le canzoni di moda, qualche classico americano e poi si andava in giro a suonare e la gente ballava.

Che approccio segui per scrivere una canzone e oggi a chi ne affideresti una?
Premesso che ho lavorato spesso insieme ad Alberto Testa che era una sorta di guida come paroliere, la mia idea è sempre stata quella di raccontare le piccole storie nelle quali chi ascoltava poteva immedesimarsi ritrovandovi le proprie emozioni. Ed è così che è nata Innamorati a Milano scritta propio nello studio di D’Anzi. Allora si pensava che a Milano, così affollata e indaffarata, si facesse perfino l’amore in piedi perché non c’era nemmeno il tempo di sdraiarsi. Quella che sarebbe poi diventata mia moglie, Lucia, mi dava appuntamento in Galleria. Un problema per chi arrivava da Como in mezzo tutta quella gente, senza telefonini per trovarsi… Era veramente un mondo diverso per chi arrivava dalla provincia. Tornando alle canzoni, anche l’interprete deve essere credibile. Prendiamo Io ti darò di più, pensata proprio per Ornella Vanoni, una donna sensuale. Quando la cantava la gente credeva veramente che potesse dare qualcosa in più. Un caso opposto fu quello di La notte dell’addio in origine destinata a Mina che poi decise di non portarla a Sanremo. Fu quindi chiesta da Iva Zanicchi che ne fece una buona versione ma lei, come personaggio, non era in realtà la più adatta a proporla. Arrivando ai nomi di oggi certamente mi piacerebbe offrire una mia canzone a Giorgia ma anche a Marco Mengoni. Però affidando loro una bella linea melodica sulla quale applicare le proprie voci in modo pieno.

Mengoni è uscito da un talent show, oggi considerati la gavetta o meglio ancora il salto della gavetta. Tu ne hai fatta tanta?
Per più di dieci anni ho girato l’Italia in lungo e in largo. Partivo dalla Sicilia con il mio furgoncino e la band Memo Remigi e il suo complesso facendo una prima quindicina a Palermo, poi Catania, Reggio Calabria, si saliva Napoli e ancora Roma (al Club 84 dove veniva un Gigi Proietti giovanissimo), quindi Firenze Milano, Torino… d’estate poi si andava a Santa Margherita, Portofino… anche i ragazzi erano diversi. Il nostro ideale era avere la Vespa con il plaid dietro e andare a ‘limonare’ in collina. Oggi i ragazzini sono in piazza a fumarsi in faccia fino all’una, prendere una pastiglia e avere lo ‘zum zum zum’ nelle orecchie fino alle quattro del mattino.

Qual è il tuo giudizio oggi sul Festival di Sanremo?
È cambiato molto, non ci sono più canzoni destinate a fare il giro del mondo e a durare nel tempo. Secondo me dovrebbero cambiare la formula, partendo dagli autori, i migliori che abbiamo, chiedendo di scrivere delle cose nuove e poi scegliere i cantanti a cui affidarle. Tornerebbe a essere il Festival della canzone italiana e non uno spettacolo televisivo dove ci sono al centro farfalline e comici.

Veniamo al presente di Memo Remigi. In cosa sei impegnato?

Intanto ho il mio spettacolo nel corso del quale interpreto oltre le mie canzoni anche quelle di Giovanni D’Anzi e Gorni Kramer, ai quali ho dedicato due dischi di cover. Ironicamente posso definirmi il ‘Vasco Rossi della terza età’, considerato il pubblico che mi viene ad ascoltare ed è entusiasta di sentire brani di quando era giovane. Di recente ho ideato anche una trasmissione televisiva intitolata Pagine d’Argento, dedicata agli anziani. Si tratterebbe di proporre una serie di informazioni di servizio e consigli su varie tematiche, dalla salute all’alimentazione al lavoro. L’ho proposta alla TV Svizzera e sto aspettando una risposta.

Consiglieresti oggi a un giovane di fare il musicista?
Assolutamente no, a meno di non andare all’estero. In Italia spesso ti promettono tanto, ti illudono, ci sono scuole molto costose che ti rilasciano alla fine un semplice attestato di frequenza. Poi non c’è gavetta e ai talent spesso partecipano ragazzi che magari hanno voce ma sono ‘imitatori’ e fanno riferimento a personalità ben precise… non sono molti quelli con voci personali che riconosci subito quando le ascolti. E quando arriva il momento di pubblicare un proprio disco di inediti vengono dimenticati. Il tutto in un uno scenario di mercato in cui di dischi non se ne vendono più, presto sparirà anche il CD, e pochissimi ormai investono in nuove produzioni.

Memo Remigi in un recente concerto a Santa Margherita Ligure Memo Remigi in un recente concerto a Santa Margherita Ligure

C’è qualcosa infine di questi 50 anni che non rifaresti?
Io rifarei tutto quanto, non c’è nulla che scarterei. Del resto ho avuto la fortuna di poter spaziare in diversi ambiti dello spettacolo. Ho iniziato come compositore, poi sono diventato cantante, quindi sono passato alla radio con trasmissioni come Via Asiago Tenda e Gocce di Luna, poi tanta televisione nazionale e locale anche come presentatore. Se sono artisticamente sopravvissuto è perché ho veramente toccato vari settori, a differenza di chi ha avuto magari un solo grandissimo successo, con milioni di dischi venduti, ma che oggi è in difficoltà essendo rimasto solo un cantante. Posso dire di aver avuto tante frecce al mio arco che mi hanno permesso di essere spesso chiamato e questa si è rivelata una caratteristica importante che mi permette di lavorare ancora.

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