Una finale da liberazione

29 Giugno 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni inebriato dal titolo europeo della figlia di Maljkovic, allenatrice geniale della Serbia, più spietata del padre che tolse alla Benetton l’eurolega con il Limoges che giocava al limite dei 50 punti, lui che ha vissuto lo splendore spalatino dei meravigliosi, implacabile sulla furiosa allenatrice delle Francia che la voleva graffiare per un minuto a pochi secondi dalla fine, in una partita per l’oro arbitrata da tre donne, un capolavoro, 8 punti avanti, adesso che Milano parla slavo, nel basket e nel calcio, con Repesa e Mihajlovic, come ci chiedeva senza aiutarci a capire ed imparare, da tempo, faccia d’angelo Bodiroga, spalleggiato dal Boscia che fatto molto più di ogni altro allenatore per aprire tunnel sotto il mare oscuro del basket europeo.

Caro direttore in vacanza, scuse non richieste. Nella notte dello scudetto di Sassari seguendo la guida cartacea della Lega, fatta all’inizio e colpevolmente non tenuta aggiornata da noi, mi sono dimenticato di mettere in pagella due giocatori, arrivati a Sassari a metà stagione, che la storia metterà giustamente fra i campioni d’Italia con la maglia di Sassari con più titoli del Cusin che giustamente rersterà a Cremona: Formenti e Kadji. Capisco il dolore di JWF, John Formenti, zio del commando Matteo, ex desiano dove un tempo stava al caposala Tritto che ho amato e ammirato nella sofferenza imposta dal grande Max Barbieri, anche se poi lo hanno mandato via, il vero Formenti che Sacchetti ha utilizzato così bene nella semifinale contro Milano per arginare in parte il matamoro Gentile. Non ha avuto un voto e diciamo che 6 è quello giusto perché nella finale è andato oltre la tangente, tirando e sbagliando, difendendo meno e pensando più a tirare, anche se non ci prendeva . Per Kadji un 6 considerando il dramma famigliare, il lutto in casa in pieno play off. Anche lui ha fatto cose interessanti, ma anche, e molte di più, inquietanti, da presuntuoso. Rimedio così alla notte di scrittura per agevolare il direttore in partenza, sfinito dalla ribattuta per una partita giocata alle 21.15, uno schiaffo mediatico che non si può scusare.

Ci sentiremo presto per commentare, valutare meglio questa finale di liberazione che ci ha tolto dal servo encomio tornato puntuale appena lo scudetto è stato assegnato, come si capisce dall’intervista rosea per il Gentile che ha avuto la testa del povero Banchi, e che ora ha un triennale, dieci allo staff, a Sbezzi, con la famiglia Armani, con Proli, il suo sceriffo tornato da New York per esplorare, alla sua maniera un territorio che non ha ancora esplorato con la giusta umiltà, un grande manager che, come all’inizio della vita nell’Olimpia che esisteva alla grande prima di lui, ci rende inquieti più che sospettosi, ma speriamo che Repesa diventi come Big John per Robin Hood per esplorare questa Sherwood del basket dove la gente pensa che ci siano soltanto allocchi, mentre in realtà gli spettri sono loro, come diceva Kierkegaard: La vita (anche nello sport, soprattutto nello sport, ndr) va vissuta in avanti, ma può essere capita solo all’indietro.

Ci siamo liberati in una finale divertente, che ha coinvolto chi era stanco delle dittature, del risultato che prevedeva il successo dei più ricchi e prepotenti. Porelli, un genio per la Virtus, per la Lega, lo diceva nell’alba del decimo scudetto virtussino preso a San Siro, prima della neve, con Bucci e le Vu Nere: “Non devono vincere sempre gli stessi. Allo sport, mistero agonistico, serve l’incertezza, non delle regole, ma dei risultati”. Non era certo per caso che preferì lasciare libero per Milano Dan Peterson, perché voleva che Milano e la Rometta che ora boccheggia incompresa e incomprensibile, fossero al centro del sistema. Sapete come vanno le guerre di liberazione, basta vedere come ci si scanna sul sangue versato nell’Italietta che ora dimentica la Resistenza, finisce tutto in vacca e non è un caso se adesso si discute persino sulla conferma per Sacchetti e, magari, anche per Max Menetti. Speriamo che non facciano puttanate e vadano avanti con questi generali che rappresentano qualcosa di importante per il nostro basket. Ci sentiremo presto, ma intanto siamo confusi davanti alle società senza tanti quattrini che mandano magari tre o quattro persone in America a cercare il santo Graal. Cara gente, come diceva il Padrino numero due, Rocco e i mercenari ingaggiati, non stanno in una società perché si sono innamorati, soltanto per uno stipendio sempre più alto.

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