Lontani da Astro Samantha

8 Giugno 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni seduto in via Vigevano a Milano dove ti offrono buon vino mentre riparano una bicicletta. Al Ciclosfuso aspettiamo anche Astro Samantha che  rientra dallo spazio dopo aver battuto ogni tipo di record, anche quello di sopportare la petulanza dei suoi connazionali più o meno fazisti. Vorremmo raccontarle di questa ansia, nel tentativo di far sapere che almeno esistiamo. Qualcuno ha avuto dei dubbi. Il direttore? I canaglia? Il silenzio di chi vuol restare innocente in questi play off ‘selvaggi’ senza aria condizionata, salvo che a Milano, in mezzo alla barbarie dei palloni scivolosi, dei fischietti usati a sproposito, non soltanto dagli arbitri, il peggiorativo per una competizione sportiva che andrebbe sospesa subito in attesa  che i marrani del trillo dalle tribune, un fischio che spezza idee e ritmo, vengano buttati fuori da quelli seduti vicino. Figurarsi. Al Forum di Milano è arrivato persino il pesticida del laser sparato negli occhi ai tiratori. Chi era di fianco a questa bestia è ugualmente colpevole, come la madre degli stupidi sempre incinta, come chi finge di vedere figli soltanto sdraiati e non bulli.

Per stare sul play off, mentre ad Oakland si cazzeggia, cercando scuse per LeBron James, anche quando perde palloni banali come nel finale della seconda poi vinta al supplementare in casa di Golden State, mai per Blatt, il vero capro espiatorio. Un tempo anche a Tel Aviv la pensavano così. Se ne andò. Ha vinto con Treviso, ha stravinto con la Russia e il CSKA, lo hanno richiamato e ha vinto per il popolo del Maccabi. Comunque sia ogni mondo è davvero paese. Le stesse minchiate che rendono strano, irrespirabile, ma certo unico, il calcio italiano, le troviamo ovunque ci sia appeso un cartello: Vincere non è tutto, è l’unica cosa. Per fortuna a Berlino, per un bellissimo Barcellona-Juventus, non è stato così. Notte gloriosa. Ma temiamo  difficilmente ripetibile qui dove sugli allenatori e i manager si fa grande confusione, soprattutto adesso che arivano gli orientali con i loro consigliori inaciditi e desiderosi di vendette. Un po’ come a Varese dove non avrebbero mai dovuto lasciar andare via Cecco Vescovi per non trovarsi in questo strano ballo di San Vito dove l’impressione è che ci siano pochi soldi per pochissime idee. Un paciugo in mezzo a gente che ancora pontifica dopo aver sbagliato mille giudizi. Pazienza.

Non eravamo lontani dalla verità quando dicevamo che Sacripanti e Cantù non potevano più andare d’accordo.  Troppi compromessi e quando abbiamo scritto di squadra sbagliata non intendevamo dire che tutte le scelte per rinnovarla erano andate male, ma soltanto che non c’era sintonia fra il modo di vedere  e sentire basket di un figlio della cantera cantuchiana e certi giocatori. Colpa del Pino, che doveva sapere come era  assortito il settore dei menatori di pallone e di torrone, a metà strada fra tori scatenati e temporeggiatori da palla sempre accompagnata. Equivoci ingigantiti dal pettegolezzo uscito da spogliatoi dove i giocatori non si parlano più, succede dappertutto, ma per non venire messi sotto accusa fanno circolare fuori le voci sulle carenze, le debolezze, le incongruenze degli altri, dal compagno all’allenatore. Ci veniva in mente tutto questo mentre guardavamo certi “bocciati” da Cantù che spopolano nelle semifinali dei play off. Una lunga linea grigia dove hanno ballato anche quelli che non meritavano attenzione.

Certo succede ovunque. Pensate all’ultimo Messina del CSKA, provate ad immaginare la faccia del  rimpianto totem Gherardini dopo quello che è successo al mago Obradovic nei play off turchi dove il loro Fenerbahce, che era a Madrid nella fiesta dell’eurolega fra le grandi d’Europa, se ne è andato fuori prima della finale perdendo con chi è bene lontano dagli splendori dei grandi di Istanbul. Come qualità di giocatori, come bilancio di base. Insomma come se la Virtus avesse fatto fuori Milano. Succede. Il Real che le prende in gara due, a casa sua, contro Valencia.

Stranezze? No. Risposta concreta a chi nega che lo sport agonistico è un mistero che non si risolve quasi mai con la tattica, le lavagne, la frase ben costruita ad uso microfoni, persino gli arbitri della Gold sono andati dagli Strasberg per sapere cosa dovevano dire (inciso: abbiamo sentito un terna dire all’inizio che volevano divertirsi, purtroppo non si è divertito nessuno cercando di capire cosa era un fallo ed un sospiro, la vera via di mezzo fra arbitri che fingono equità) ma con una esplorazione vera dell’animo umano. Del giocatore inteso nel complesso, cioè considerando i nuovi clan, famiglie allargate e pericolosissime. Chiamate i Borgia per le prossime stagioni.

Comunque sia e comunque vada fra qualche giorno  a Torino, nella finale Golden dove pensavamo di trovare Verona, vi diciamo subito che Franco Ciani è il nostro allenatore dell’anno per ogni categoria, ha battuto i presunti grandi, i suoi Sarmati hanno fatto anche meglio di quelli che aveva Crespi a Siena. Quello che ha  costruito con Agrigento è un capolavoro perché dimostra che puoi tutto se scegli gente affamata che non pensa mai di essere superiore al compagno, inattaccabile da chi le insegna. Certo Agrigento, la città dove l’acqua costa carissima, sarebbe un bel problema per la seria A della visibilità ossessiva che non ha i suoi Lotito in seno: campo da 2.500 posti. Comunque sia almeno nella diretta SKY-FIP hanno una bordocampista per interviste e non obbligano i poveri telecronisti, tipo quelli della RAI, a sbracciarsi come all’ortomercato per fragole e carciofi chiedendo umilmente che almeno un protagonista, mai chi ha perso, per carità, vada ai loro microfoni. Possibile che i superlegaioli  dall’informazione confusa, colorata, notturna, balbettante, sempre lenta e confusa, non abbiano i quattrini per mandare un aiutante di campo ad affiancare la coppia RAI che, lo sapevamo, risparmia sulle cazzate per spendere il massimo quando ci sono le partite del cuore dove se le danno di santa ragione, odiandosi dal primo tocco, facendo pagare agli altri la beneficenzia che loro potrebbero dare perché il rapporto fra gli “agnelli” in campo e il tapino in tribuna è proprio di uno a mille.

Comunque sia questo sfogo per non lasciare dubbi nei pochi conoscenti rimasti, non si parla più di amici o nemici, quelli spettano ai “grandi” vasi comunicanti del sistema, evitando di commentare il fiume di porpora dei falli tecnici alle finali under 19 di Moncalieri e Torino, con cerbero Facchini che agitava felice la sferza e diceva ai penitenti “voi non sapete proprio chi sono io” e, quindi, chi sono i suoi diavoletti col fischio, comunque sia, dicevamo, siamo ancora  in trincea, fra gli indignados che  sui campi sentono puzza di fanatismo da Ego. Il Pedrazzi parlava di ultima legione, noi ci accontentiamo di essere l’ultimo avamposto sul deserto dei tartari che giocano soltanto il pick and roll e si godono gli show sbagliati e certi sei in pagella pretesi dall’agente.

Questa puntata la dedichiamo all’angelo biondo Sandro Riminucci che il 26 giugno compirà 80 anni. È nato a Tavoleto nel 1935. Tre anni dopo Gamba, uno dopo Giorgio Armani che se vuole ritirare una bella maglia dovrebbe pensare a questo numero dieci, ma dovrebbero suggerirglielo quelli che si sono fatti fare una camicia di gesso per non girarsi mai indietro, due prima del suo dioscuro Gianfranco Pieri, loro erano Castore e Polluce per il regno di Rubini e Bogoncelli. Avremmo voluto tanto essere a Pesaro davanti alla palla di Pomodoro dove Franco Bertini, un genio creativo sul campo, nella vita, uno speciale, sempre, radunerà i fratelli rimasti dell’angelo di Tavoleto sgrezzato da Aido Fava, per un anticipo sulla tavolata del compleanno. Aspettavamo Riminucci alla festa bolognese dei Maturi Baskettari, un ginocchio lo ha tradito, forse lo ha tenuto lontano il sentore di venire trattato soltanto come monumento. Lui che amava essere visto, venerato, ma sul campo, dove non risparmiava nulla, né se stesso, né gli avversari, forse non sente più sintonia con un mondo dove, il passare del tempo, ha messo insieme quasi tutti i grandi di un’epoca, dove dell’angelo sono rimaste le stimmate, ma dove il tempo combatte con qualsiasi bisturi.

Comunque sia non saremo alla festa per Riminucci di mercoledì anche per par condicio dopo aver vigliaccamente evitato di telefonare a Sandro Gamba il 3 giugno, nello stesso giorno in cui compiva gli anni il Lorenzo Sani scrittore che ora smania per la 24 ore cestistica nei giorni di Willy. Non sai cosa dire ad uno come Spartaco. Lui è tradizionalista e, magari, non  ti manda al diavolo, come faceva Rubini, se fai gli auguri, però abbiamo dato ascolto alla nostra cervicale che, obbligandoci a stare sdraiati, evitava anche uscite dal letto per telefonare o scrivere. Grazie comunque a Dembinski, Michelini, alla Rai per i filmati del 3 giugno, quello sull’oro di Nantes perché nella festa per gli 83 anni (ehi gente era l’83 quello del tripudio franzoso dopo rissa con gli slavi a Limoges) di un maestro ci hanno fatto vedere anche i suoi grandi cavalieri dell’oro europeo, e i suoi compagni di viaggio, cominciando dal mai troppo compianto Riccardo Sales, forse il primo e l’unico a capire che Treviso, quando prese Blatt, non puntò casualmente su quel pitbull cresciuto nella culla della cultura americana.

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Come appendice a questo viaggio vicino all’oblò da dove ci spiava Astro Samantha vi parlerò anche del libro scritto con amore da Gaetano Gebbia, quello dedicato alla pallacanestro di Vittorio Tracuzzi il nostro Modigliani dei canestri. Prefazione sublime di Valerio Bianchini. Il libro costa 16 euro, ne vale 1.600 perché servirà ai giovani allenatori più dei costosissimi corsi di aggornamento, perfezionamento, messi in piedi da una Federazione che sgrida le nuore della Lega per i pochi italiani utilizzati, ma poi, come suocera non capisce che se per fare l’allenatore nelle giovanili devi essere, come minimo, in possesso di buoni del tesoro che non tutte le famiglie italiano hanno, soprattutto adesso, allora tutto diventa difficile se poi al vertice hanno ricreato lo stato nello stato come ai tempi di Primo e Coccia. Il libro è prodotto da basketcoach.net. Va letto, va tenuto in borsa. Forse servirebbe anche a qualche mostriciattolo della serie A visto come tirano i liberi, vera linea che separa il modo di essere di autentici giocatori da barlafusi con barbette e tatuaggi, certi giocatori che fanno una fatica enorme a tenere la testa nelle partite, sul campo, presi come sono dalla smania di protagonismo: visto come mi segue la curva? Visto come sono bravo ad eccitare la gente ? Come sto a statistiche, be’ allora è meglio se fingo un assist in più, tanto sul tiro sono andato bene, ehi senti come cinguittano i cronisti, doppia doppia. Ciao gente. Ci si sente a bocce ferme dopo le semifinali.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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