La prima volta di Camila Giorgi

15 Giugno 2015 di Stefano Olivari

Il tennis su erba ha sempre, ai nostri tempi, rappresentato la fine della scuola e l’inizio di una stagione di speranze, per questo tendiamo a sopravvalutarlo. A maggior ragione adesso che l’erba viene tagliata e preparata (in particolare a Wimbledon, meno nei tornei di preparazione che adesso finalmente prendono tre settimane e non due) in modo da non sconvolgere i valori delle altre superfici. Questa polverosa premessa per giustificare la nostra esaltazione per la prima vittoria di Camila Giorgi in un torneo WTA, a ‘s-Hertogenbosch. Un’esaltazione, siamo onesti, principalmente estetica perché il tennis della Giorgi pur essendo nei suoi momenti migliori esaltante come un videogame è assolutamente privo di un pensiero tattico. Come quello del novanta per cento di colleghe e colleghi, del resto, che fanno la loro partita a prescindere da avversari e situazioni. La differenza rispetto alla Giorgi di qualche anno fa è che riesce a mantenere la concentrazione più a lungo ed è stata infatti la testa a farla sopravvivere nei quarti contro la Shvedova e a tenere duro in finale contro una Belinda Bencic che ha lo stesso ranking (entrambe di poco oltre la trentesima posizione) ma anche sei anni in meno (classe 1997 contro 1991) e tante prospettive in più: per potenza, struttura atletica e predestinazione. Non a caso nell’unico precedente, l’anno scorso a Madrid, l’aveva vinto la svizzera che in comune con la Giorgi ha l’essere allenata dal padre (e da una serie di consulenti, fra cui la madre della Hingis) e una lettura delle partite discutibile. Ieri la chiave della finale è stata il servizio: la Bencic è stata sui suoi buoni livelli, mentre l’italo-argentina ha tenuto botta molto meglio del solito nei suoi turni, con pochi doppi falli e anche qualche ace. Una questione mentale, ripetiamo, perché nel resto del torneo (almeno nelle altre due partite semi-viste) non aveva servito così. Per il resto è stata la solita Camila alla Agassi adolescente, aggressiva, anticipante, quasi frenetica, con poche palle rallentate o anche soltanto tagliate per respirare (uno dei suoi limiti, insieme al servizio incostante e a un sotto-uso del lungolinea di rovescio). E nonostante questo per tutti e due i set ha sbagliato pochissimo, meritando (ma nel tennis è quasi sempre così) la vittoria. È una giocatrice che dà fastidio alle primissime della pista, al di là della classifica, come lo era la Schiavone ma non lo sono, per citare due mediamente più forti della Giorgi, Pennetta ed Errani, ma non riusciamo a immaginare sue sette partite consecutive con l’intensità mentale della finale in Olanda. È poi chiaro che ogni giudizio maschile sulla Giorgi meriterebbe l’asterisco: diciamo però che se essere belle non è un merito, non lo è nemmeno essere alti, intelligenti, naturalmente veloci e potenti. Non è un merito, in ultima analisi, nemmeno il talento tennistico, a meno che qualcuno dimostri che McEnroe si sia allenato in vita sua più di Seppi o Ferrer. Quindi grande Camila, tutte le copertine te le sarai meritate.

Share this article