Arroganza del critico gastronomico

26 Maggio 2015 di Dominique Antognoni

Quello della critica gastronomica è un tema assai spinoso, almeno nei paesi dove questa materia viene presa sul serio, però altrettanto divertente. Come sempre ci si fanno due risate se uno ti racconta l’accaduto, altrimenti stare accanto ai frequentatori di questo mondo genera poca voglia di sorridere. E a noi succede spesso, visto che fra le altre cose scriviamo di ristoranti per il Giornale e Style. Alcuni ‘giornalisti’ del settore ci trasmettono una tale negatività da prendere seriamente in considerazione la possibilità di farla finita o di ritirarci (Sì, ma da cosa? E poi, dove?), poi le bollette da pagare ci inducono a mettere da parte l’orgoglio.

Una nuova categoria inizia quindi a credersi un misto fra Gesù e la Madonna, pur non avendone i requisiti. Si tratta dei critici gastronomici o presunti tali (foodblogger suona meglio?). I quali, forti del peso mediatico che ormai hanno gli chef, pensano di essere diventati anche loro primedonne e pretendono di essere trattati come tali. Come se un giornalista che segue la Roma si credesse Totti o uno che segue la Juventus Buffon: lo prenderemmo tutti per un cretino, nella migliore delle ipotesi (dite che c’è anche qualcuno così?). Se Cracco, Ramsey e Bastianich firmano contratti a sette zeri e vengono considerati le nuove rockstar, ancora però non vale lo stesso anche per chi scrive su riviste di cucina e affini. I critici gastronomici e in generale la stampa di settore hanno in Italia (non possiamo fare confronti con l’estero, magari lì è peggio) pretese assurde, unite a un atteggiamento che nemmeno Miranda Priestley in Il Diavolo veste Prada. Di sicuro alcune delle suddette avranno studiato Meryl Streep (più facile farlo visto che l’originale, ovvero Anna Wintour, è assai più complicato averla nei pressi), arrivando alla (errata) conclusione che se te la tiri e fai la severa passi per competente e hai tutti in ginocchio davanti a te. Non solo che non succede, ma si crea l’effetto opposto: una valanga di improperi da parte degli chef, che iniziano a stufarsi di dover sorridere e far viso buono a cattivo gioco. Certo, pure loro hanno la convinzione di essere delle divinità, ma l’argomento lo tratteremo la prossima volta.

Tornando ai nostri colleghi, molti esigono di essere invitati personalmente dallo chef: se possibile per una cena individuale e non assieme agli altri. Abbiamo sentito in più di una occasione come delle presunte star della stampa (sempre di polpette stiamo parlando) si siano rifiutate di venire perché gli inviti erano stati elargiti anche a testate concorrenti o presunte tali. Si dimenticano sempre che scrivono di pappardelle, branzini e sughi, non per forza di cose ci deve essere una cena segreta con il ristorante chiuso: non è un incontro fra Putin e Obama, o per lo meno così la pensiamo noi. Ridicoli. In più sorridono poco e si prendono tanto, troppo sul serio: non si rendono nemmeno conto della fortuna che hanno, nel senso che non esiste minimamente la possibilità di prendere dei buchi, non hanno alcuna responsabilità, lo stipendio arriva. Non ti svegli la mattina con il terrore che la concorrenza ti abbia bruciato sulla notizia, a meno che veder pubblicare da altri la ricetta della faraona non sia considerata uno scoop. E allora perché sorridono così poco, perché hanno sempre quell’aria severa?

Le donne soprattutto: oltre al classico parlar male una dell’altra (a volte hanno ragione, quando commentano la zozzonaggine di alcune) sembrano irritabili per qualsiasi piccola disattenzione vera o presunta del ristoratore. Mettere la bocca a forma di prugna non significa senso critico, bensì irritare gli altri. Qualche mese addietro fummo invitati in quanto giurati ad un concorso nel settore considerato prestigioso. Dopo la premiazione ci si avvicinò una concorrente, una chef, dicendoci più o meno questo: “Grazie mille, lei è stato l’unico a guardarmi mentre parlavo. Gli altri nemmeno mi hanno considerata”. Dovevamo entrare nel mondo dell’enograstronomia per essere considerati educati, proprio vero che tutto dipende dai confronti.

Poi però questi severi censori e recensori di giovani chef diventano agnellini davanti agli chef bi e tristellati, perché essere invitati dai maestri fa sempre piacere non tanto per il cibo in se quanto per potersi vantare il giorno dopo (o meglio: a cominciare dal giorno dopo, perché non riescono a trattenere l’infantile entusiasmo e dirlo a mille persone). E allora eccoli trasformarsi da severi e cupi custodi dell’etica a dei ridicoli zerbini che si sdraiano per terra, spesso arrotolandosi come un gattino in vena di farti le feste. Sorrisi a trentadue denti, risolini e gridolini, applausi, saltelli di gioia. Perché fingere professionalità ti darà anche un tono, mangiare gratis però è meglio.

Dominique Antognoni, in esclusiva per Indiscreto (immagine tratta dal sito Dissapore.com)

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