Alla ricerca del pene di ferro, di Oscar Eleni

20 Aprile 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla prefettura giapponese di Kanagawa dove un maestro scintoista ci permette di assistere alla festa annuale del pene di ferro, Kanamara Matsuri. Per loro un cerimoniale legato alla fertilità, per noi viandanti basketdipendenti, la possibilità di capire se le poche partite mancanti per accedere ai playoff, salvarsi, stanno imponendo a molti allenatori, soprattutto quelli lasciati soli dalle società di comodo, mai di fatto, di mostrare questo pene di ferro che sarebbe all’origine del potere, del comando e della procreazione di giocatori giusti. Siamo in un periodo di grande confusione dove si rubano le api, dove all’ufficio tesseramento imbecilli, un po’ come il ministero delle facce che Beppe Viola aveva voluto al bar Gatullo per distinguere un certo tipo di tifoso, hanno arruolato persino imbrattatori dall’Inghilterra per rendere ancora più brutte certe zone della metropolitana, graffitari da condannare alla parete nuda perché scrivano mille, centomila volte: siamo degli asini che amano lo sporco. Fase di riflessione per quasi tutti quelli che sbagliano approccio. Siamo a fine stagione e questi sbagliano l’approccio. All’inizio dicevano che ci voleva tempo. Lo hanno avuto e ancora si svegliano quando la stalla è vuota.

Perché tanto malumore? Ce lo chiede il monaco scintoista, forse per questo finale dove la Milano senza rivali ha deciso che è meglio non avere né arte né parte, vestendosi in maniera sbagliata, non ascoltando re Giorgio Armani che a tutti chiede di abbigliarsi adeguatamente: non c’è bisogno di mettersi addosso roba che ti faccia sembrare un omosessuale, non è necessario fare i bulli da strada, picchiare la gente invece di proteggerla come è capitato davanti ad una discoteca famosa dove chi era pagato per tenere ordine, proteggere, ha malmenato un povero autista di autobus bloccato dalla  movida senza limiti di  democrazia e decenza. Certo Armani, nella intervista al Sunday Times, non pensava alla sua squadra di basket che  in queste ultime settimane non si è fatta mancare nulla: record nel fumo degli arrosti perduti in eurolega e nella stessa coppa Italia, sconfitte andando oltre la resa senza condizioni. Eh sì, quando l’Emporio fa cadere gli scaffali lo fa alla grande. Prende ventelli dai ricchi del pianeta, per la verità il meno 20 casalingo col Novgorod da 7 milioni di euro come bilancio, la metà, se non un terzo di quello che costa la Milano che serve colazioni in camera da oltre un milione a tantissimi, fra cui fantasmino Kleiza, l’uomo dal braccio d’oro e dai piedi dolci. Ma anche da quelli che come Capo d’Orlando hanno fatto fatica a mettere insieme un bilancio per poter correre con le altre, hanno sofferto l’intera stagione, fra americani che andavano e venivano, per resistere e poi per togliersi questa soddisfazione aurea, pur senza il veterano de auro Basile, contro la squadra costruita per andare  verso lune lontane.

Adesso, invece, deve stare dietro alle lune dei suoi soldatini di ventura, quasi tutti musoni che si passano la palla per fare un favore a quegli ossessi degli allenatori, ma nella sostanza vorrebbero portarsela a casa dopo averla studiata a fondo. Tirano alla pene di segugio, altro che pene di ferro. Non avendo gioco corale, voglia di correre, saltare, di fare, insomma quello per cui erano stati ingaggiati, se manca la precisione, se entrano nel giro della nuova televisione raccontata, quella del tiro che non entra per sfortuna, per lo sgarbo evidente del ferro sputazzante, allora diventano uno squadrone che segna 57 punti a Capo d’Orlando, 64 sul “neutro” di Desio contro una Cantù che in stagione ha fatto davvero tanto per sentirsi fuori posto. Certo l’Emporio quando cade fa davvero tanto rumore, ma poi trova avversari compiacenti che le stendono una mano e vedrete che alla fine sarà una carovana biancorossa quella che raggiungerà Kawasaki per una ripetizione della festa dedicata al pene di ferro.

Certo che non è cambiato niente dietro a Milano. Recalcati sta portando la Reyer sotto bordo alla barca del Supremo che dirige da lontano la nuova Olimpia, con una manovra da capitano Hornblower, ma il suo ordinare fuoco appena in punteria potrà sorprendere, ma non affondare questa Natividad del Luca Banchi che si tiene tutto dentro, che  capisce bene quanto siano complesse certe menti dorate dove, in mancanza di vera fame, si recita la parte dei bravi ragazzi in officina, sotto il pallone fra le macerie del Lido, nella risacca del Forum, ma poi via alle danze sfrenate sui tavoli, alle sedute spiritiche per capire se il braccio di ferro con la società andrà a buon fine o sarà necessario trovarsi una una nuova sistemazione. Che problema c’è, chiamo il mio agente e sistemo tutto.

Questo l’atroce scenario che lo sport mondiale si è scelto quando era giustamente stanco delle società padrone del destino dal primo autografo su un foglio di carta da mandare in federazione. Siamo nel marasma completo e adesso vorrebbero addirittura liberare  tutti, senza più vincoli, insomma inaridendo l’unica fonte di guadagno per le società minori che vivono di volontariato, ma devono pur comperare maglie e a palloni, pagare affitti di palestre. Siamo in mezzo alle alghe e questi, in lega, in federazione, ti fanno sapere che  stanno facendo un lavoro stupendo (stupendo?) per rendere visibile il basket, per le “loro” (ma non dovevano essere di tutti?) televisioni, oche giulive che hanno preteso di fare uno sforzo esagerato quando c’era gente che era pronta a dare una mano. Certo SKY ti affitta lo spazio, ma poi devi metterci dentro cose che abbiano un senso. E la stessa cosa vale per gli sbuffi legaioli delle domeniche in streaming. Insomma, pur benedicendo Trigari, le dirette sulle serie minori, la femminile, ci domandiamo come avrebbe potuto svilupparsi il progetto se avessero accettato il pontile di Sportitalia dove questo Gandini è davvero un mago calamita perché i suoi ospiti, tanti, quasi sempre diversi, non prendono neppure il rimboroso benzina, non parliamo del gettone presenza. Lasciamo perdere. Noi Sportialia non la frequentiamo per vecchiaia, per disagio logistico, ma la guardiamo quasi sempre volentieri, così come ci piace il fervore di Crespi per le partite della Gold, però siamo confusi come davanti ai cigni scorpioni dell’Emporio Armani.

Insomma troveremmo più credibile una federazione  o una Lega capaci di far eseguire l’ordine più semplice ai suoi giudici: mancano tre giornate alla fine, la lotta per la retrocessione è legata al punto di penalizzazione per Caserta che la società campana ha contestato. Esiste un reclamo. Quello della Virtus Bologna, non deve essere un caso, discusso quasi subito e respinto, anche questo non deve essere casuale conoscendoli. Non è neppure colpa dell’instant replay che faceva fluttuare le piume legaiole. Qui si tratta proprio di tirare in lungo per capire se la conferma o meno del provvedimento sarà davvero dolorosa e potrà alienare o meno le simpatie di una regione, di un votante.

Certo che stanno attenti a tutto in via Vitorchiano e alla Fiera bolognese, come capirebbe anche un bambino dopo aver visto che contro Cappellari, forse lui c’è nella storia del basket moderno di questo paese, candidato alla presidenza regionale del CONI Lombardia, è subito partito il fuoco amico  della FIP regionale del Mattioli che non è nuovo a certi balli del quaquà, come quando ha fatto diventare un tormento l’Olimpiade di Tanjevic a Sydney, per non parlare dell’europeo in Turchia che portò alla separazione con Boscia, un tipo che aveva avuto maestri grandissimi e non aveva certo bisogno delle visioni da Treviglio, come nei giorni in cui coi suoi congiurati di regione ha fatto le scarpette al presidente federale Maifredi che, magari sbagliando voleva cambiare il settore tecnico dove Recalcati aveva finito pazienza e, forse, energie per far capire che eravamo sulla strada del deserto,e, sicuramente sbagliando, lo considerava grande amico. La verità è che questa gente ha ben altro da pensare e allora ecco perché nasce il sospetto se Petrucci, giustamente, dice che gli arbitri vanno designati in base alle loro qualità e non per sorteggio.

Tutto diventa da festa del pene di ferro. L’unico a salvarsi, alla fine, sarà Banchi che arriverà al secondo scudetto consecutivo con Milano, terzo nella carriera, perché i suoi avversari sono su brigantini affondabili con una sola palla incatenata, di Gentile, se ricorderà che prima del suo interesse viene quello della società che lo ha scelto come capitano, di MarShon Brooks che avrà certo saputo da Langford come si vive da top player nell’Emporio delle top model, del Daniel Hackett che potrà regolare i conti azzurri fra  un mese e mezzo, ma adesso deve soltanto riallargare il campo per la squadra che con lui l’anno scorso aveva fatto molto più di questa che al momento ha perso quasi tutto, persino il trofeo Lombardia, forse perché alla premiazione non c’era Mattioli e quindi mancava l’ufficialità.

Al diavolo tutto, mentre è difficile davvero votare il miglior allenatore perché Buscaglia è attaccato da Moretti e se nelle sue nuove visioni Casalini di Gazza on line vorrebbe addirittura premiare Sacchetti perché, nella sostanza, ha portato  a casa già due trofei, cosa che al momento non sembra far capire il senso delle cose al Sardara che guarda perplesso oltre il mare, allora noi gli proponiamo il Griccioli che ha fatto cose immense e, perché no, il Dalmonte che in Europa è uscito applaudito e con una squadra settimina potrebbe ancora trovare un posto nei play off.

Pagelle e vino tinto, anzi, meglio, grappa di riso e tonno scottato cari monaci di Kawasaki.

10 Al GRICCIOLI che ha la faccia del gufo con smeraldi che una volta ci donò l’avvocato Porelli. Conoscevamo il Giustarini del Nicchio, la grande Ylenia, ma questo  allenatore stuzzica davvero, perché se riesci a tenere viva la fiamma della passione in veterani come Basile, Nicevic, Pecile, Soragna, allora devi essere bravo sul serio, se poi ti salvi e non soffri le burrasche della passione Sindoni allora devi avere imparato l’arte davvero  sulla terra in piazza, la sua, quella del Campo.

9 A BUCCI E PETERSON che ancora ci deliziano con i loro commenti, libri, telecronache, ma soprattutto sembrano divertirsi con queste squadre di veterani che girano per contrade diverse, vincono premi, medaglie, sembrano abbonate al viaggio nell’isola che non c’è dove ogni sogno diventa realtà, magari anche amareggiando chi lasciano ingiustamente a casa.

8 Al MANCINI che certo si è divertito più vedendo Cantù-Milano a Desio che nella sera del derby.  Avrà capito che con gli arbitri è una faticaccia ovunque ti metti a lavorare, avrà riscoperto, lui che a Bologna andava a vedere spesso la Fortitudo, che i colleghi del basket non sempre riescono a farsi sentire nel minuti di sospensione, proprio come capita a lui se deve urlare qualcosa a chi finge di ascoltare sul verde del Meazza.

7 Al viandante ARADORI che forse non farà i play off in Spagna con l’Estudiantes, così come non ha ha potuto completare l’esplorazione della mente di Ataman al Galatasaray, perché è un testimone attendibile della diversità fra l’invidiata ACB iberica e questa leguccia di legaioli: non sputano,  valorizzano ogni aspetto del gioco e dell’associazionismo, insomma lui potrebbe garantire che da noi sono soltanto palabras, da loro peni di ferro.

6 A SIENA, FORTITUDO e TREVISO che almeno nella prima parte della stagione hanno mantenuto fede al patto con il basket quando furono costrette ad andarsene. Tutte e tre potrebbero salire di categoria, fare un passo verso le terre dorate che fecero diventare speciali, seppure per strade diverse. Ora non ci deludano e lo diciamo nel rispetto delle avversarie cle dovranno affrontare.

5 Ai tifosi della DE LONGHI Treviso perché hanno fatto dare duemila euro di multa alla loro società. Certo questo voto cambia e diventa molto positivo dopo aver saputo che gl stessi hanno raccolto la cifra per pagare la penale e poi hanno utlizzato i 1000 euro in più per opere di bene. Ora dovrebbe  entrare nel codice questa regola. L’avvocato Porelli aiutato dai fratelli Pepoli, aveva già inventato questo tipo di regime del “mutuo soccorso” per chi scambiava uno spettacolo sportivo per la portineria o la cucina di casa.

4 Al micione Charlie RECALCATI che a Sportitalia ci ha davvero fatto sentire dei tapini per aver osato pensare che fosse stanco di stare sulle navi da battaglia. Abbiamo preso un abbaglio e non lo diciamo per questa Reyer che fa cose stupende e poi, come direbbero i giapponesi, spesso si colpisce le parti basse nel suo tormentato viaggio verso il piacere, ma per le considerazioni sulla realtà delle cose nel basket italiano. Vero che lo disse anche il giorno in cui i bulgari ci fecero fuori dall’Europa a Torino, che lo aveva detto chiaro non tanto tempo dopo l’argento di Atene, ma adesso sembra l’unico a raccontare come stanno le cose in un campionato che soltanto Milano può perdere e una federazione da pene di ferro potrebbe bonificare.

3 Alla DINAMO spenta di una Sassari che sta davvero abusando della pazienza di chi ha sempre voluto bene alla società, all’ambiente, al progetto Sardara. Sacchetti deve capire subito dove sta il cortocircuito ed è ancora in tempo a cambare certe cose, mandando su altre barche chi non ha capito come si vive in famiglie dove tutti sono belli, persino gli scarrafoni.

2 Al sindaco di TRIESTE e ai ricchi che ancora devono vivere in quella città benedetta per il nostro sport se non capiranno quello che ha fatto con poco e niente la squadra di Ghiacci, arzan di qualità controllata all’origine, allenata da Dalmasson, del talento Tonut. Un progetto che meriterebbe almeno l’attenzione dello Stefanel di un tempo, dell’ex Illy. Hanno fede, hanno idee, non lasciamoli andare alla deriva come tante altre cose sotto certe torri.

1 Ad Elettrino DALMONTE perché ha resistito davvero anche troppo con certa gente che non si merita davvero quello che ha fatto per la Rometta di tentenna Toti, per una città che soltanto nell’ultima partita ha portato più di tremila spettatori in tribuna. Fortunato Pianigiani ad averlo come assistente, per carità non si ingelosisca, il capo è lui, accipicchia, ma certo è ridicolo dover star qui a difendere allenatori come elettrino, come l’Attilio Caja che anche a Varese ha mostrato con i fatti, a squadra incompleta, cosa vuol dire allenare nella sofferenza, senza badare al trucco, cipria e polvere di stelle, ma nello sport italiano resta valido il detto che chi urla di più la vacca è sua e poi a vincere il giorno dopo sono tutti bravissimi.

0 Ai PADRONCINI del vaporetto basket italiano perché non sapere ancora come è la classifica a tre giornate dalla fine, per un reclamo su una penalizzazione per mancanze amministrative, fa pensare che questi don Rodrigo da mercato delle pulci se ne strabattano dei loro tesserati: li vessano, li blandiscono per un voto, ma poi vanno tutti a mangiare triglie e non si lavano neppure le mani.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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