D’Antoni e l’amico Pino

14 Marzo 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni da Zihuatanejo, 200 chilometri da Acapulco, dove l’Oceano non ha memoria e il villaggio non ha telefono. Ritiro mortificato come cercava il protagonista di Le Ali della Libertà dopo tanto carcere ingiusto. Fuggire per non sentire lo starnazzare delle oche giulive che hanno impedito a Dino Meneghin di entrare alla cena del Forum in onore di Mike D’Antoni. Perché non lo hanno fatto passare? Misteri a cui non sai rispondere. Gli hanno chiesto chi fosse, al Forum, accidenti, in un tempio maledetto del basket, lui si è divertito, ancora una volta: sono Pino Meneghin. La guardia, il povero pipistrello, fratellastro di chi, prima dell’evento , non voleva far passare Gianmario Gabetti, allargava le braccia sconsolata: “Vede, lei non è nella lista, qui c’è scritto Dino Meneghin”. Inutile prendersela. Il più forte giocatore italiano di basket, ex presidente federale, ha girato le spalle anche all’amico Mike già sballottato in mezzo al campo. Via verso Varese, nella speranza che al circolo golf di Toto Bulgheroni non mettano altri sprovveduti all’ingresso perché ci sono da festeggiare in 70 anni di Aldo Ossola. Inutile prendersela. Succede nel paniere chiamato basket de’ noantri, anche perché avendo paura di chi potrebbe insegnare strade giuste si punta su persone che proprio non sanno nulla e, nel caso, neppure tanto intelligenti e preparate un po’ più delle blatte che trovi in casa. Tempi, costumi, intelligenze rubate alla pulizia delle strade.

Comunque sia la festa per il ritiro della maglia di Mike D’Antoni è andata abbastanza bene. Certo sarebbe stato bello che oltre agli ex compagni di lotta e vita senza frontiere ci fosse stato il picchetto d’onore dei giocatori di oggi. Non era il caso, avranno pensato, dovevano rimontare Malaga, prendere per la coda l’Efes alla quarta sconfitta consecutiva, anche se contenuta, sul campo del CSKA che, alla fine, potrebbe davvero decidere se mandare Milano, questo Emporio, ai play off contro il Real Madrid. Meglio così, come dicevano anche gli ex compagni di Arsenio. Inutile mischiare anime così differenti. Da cosa lo si capisce? Le ultime interviste dei ragazzi di Armani vanno confrontate bene con le giornate milanesi di Mike D’Antoni. Abissi. Il concetto squadra visto in maniera davvero diversa.

Certo queste parole al vento, così leggere, ma così velenose nella sostanza, fanno anche capire che per Banchi la vita con Milano sarà dura fino in fondo e forse non ci sarà un domani. Perché questa sensazione. Beh se uno dei migliori, diciamo Gentile, dice che la visione sua è diversa da quella dell’allenatore, ohibò, se fa intendere che il signor Pascucci, come lo chiama lui nel questionario casalingo offertogli per far sapere e non sapere, lo ha davvero candidato ad avere una maglia per Houston se, forse, ma, comunque, allora è chiaro che la “fuga” verso i milioni di dollari potrebbe essere fermata in casa Armani rivalutando tante cose e quindi anche la conduzione tecnica che fa venire dolori a tutto il corpo, dalla pancia alla schiena, tutti dolori atroci, certificati, ma sapete come dicevano, o comunque ci hannoi fatto creddere che lo dicessero davvero, alle Termopili: se ci credi vai dentro e dimentichi tutto.

Sembra logico. Lo capisci dai mugugni della gente quando l’uomo di Grosseto deve scegliere fra il priorato di MarShon Brooks e altri Tarcisi che non mollano mai la palla come il povero santo con l’ostia divina. Il vero problema dell’Emporio è che anche quando si pasano la palla più del solito ti sembra sempre che lo facciano malvolentieri. Sensazioni di chi si trova sempre più spesso la porta sbattuta in faccia da questo inesausti uomini nuovi dell’Olimpia che per non pagare nessun dazio ti accolgono col sorrisino, l’ironia, mai avuta, neppure in bagno, del fenomeno che sa bene come trattare il pesce popolo: “C’è qualcosa che non va, ci sono le solite lamentele?”

Ci è venuto in mente anche questo mentre poco dopo le sei di un sabato dedicato a santa Matilde, prima della quarta di Quaresima, abbiamo salutato la famiglia D’Antoni che decollava verso gli Stati Uniti. Tornerà per allenare in Italia, come ha detto? Non sembra possibile, anche se ha voglia di palestra e campo come ha detto nella cena trevigiana con Gilberto Benetton. Milano potrebbe attirarlo più di Barcellona o Madrid? Be’, Milano è stata la sua vita vera. Il resto è stata caccia spericolata fra ristoranti che chiudevano e spiagge che non si riempivano, fra illusioni nel circo a tre piste della NBA dove se incontri certi leoni, certe presunte tigri rischi di lasciare tutto, non soltanto un braccio. Se tornasse sarebbe per amore e non certo per le volontà di bande colorate che comunque fanno meno danni di certi uomini tenebra.

RUBINI NEL CUORE – Tanto per stare nel reparto nostalgia, riconoscendo che il ritiro di una maglia ha senso se si rispettano tutte le regole, allora diciamo che il numero otto di Arsenio è stato anche quello di Spartacus Gamba che, fra l’altro, di scudetti ne vinse 10. Insomma più di Mike e del giovane Gallinari che lo vestì in seguito. A proposito, il Gallo cresce davvero. Pianigiani deve baciarsi col gomito. È l’unico che può spostare e sistemare certe gerarchie azzurro tenebra. Comunque sia, siamo nel giardino dei ricordi e non siamo stupiti che a Roma, Francesco Martini, presidente del comitato regionale del Lazio, uno dei dirigenti più illuminati nel sistema soffocato, pure questo, dalla malvagità votaiola, presenti il torneo delle regioni intitolato al Principe, la fiesta di Pasqua nella capitale per rappresentative di 20 regioni al limite degli under 14 e delle under 15. Ci sarà anche Petrucci. Glielo doveva al Rubini che forse i Bertea neppure conoscono, tipi come quello che ha fatto fuggire Meneghin dal Forum. Ma di gente che non conosce nel sistema ce n’è fin troppa. Gioco delle piccole parti.

ORTICARIA TOMIC – La settimana di eurolega ha fatto eleggere Tomic come numero uno per la gioia del Rapuzzi da Veranda che lo ama alla follia, più delle pallavoliste. Grande ed elegante talento , ma vederlo in certe partite chiave ci ha fatto sempre venire l’orticaria. Non è il solo. Però hanno ragione i sostenitori, benedetta sia la pazienza dei Repesa e dei Pasqual su questo legno.

GIOIA BOLOGNESE – C’eravamo a Firenze quando il giovane Messina, il mago Richardson, dolce e salato come ci ha scritto il Civolani, hanno portato la Virtus Bologna a vincere la coppa delle coppe. Era marzo, il 13 del 1990. Meravigliosa alba della grande epopea bianconera con Gianluigi Porelli duce imperante. Nella commozione dei giorni, succede sui viali del tramonto, ci ha stregato pure il riascoltare la telecronaca di Walter Fuochi quando ancora non doveva chiedersi se i colleghi ed allievi di un tempo, quando Egidio filava davvero a amava tutto del mondo sottosopra alla sua beata cultura, hanno sbagliato porzioni al momento di prendere il comando di una redazione.

IL CESTO DI IRVING – Dopo Curry ecco Irving, dal nome ecclesiastico, un Kyrie che ne ha messi 57. Ci sono piaciuti al Mondiale, ma nella NBA sono davvero magici. Sarà per questi tipi dalla mano caliente che D’Antoni ha dovuto confessare che il basket più tattico si gioca oltre Oceano e non in Europa. Lui ne sa qualcosa. Peccato che i mattatori delle sue squadre fossero tutti finti o in menopausa, insomma rotti dentro, mentre erano gli altri ed avere l’uomo da tanti punti. ”Il brutto -dice Arsenio – è che se limiti il migliore, poi devi temere anche gli altri quattro”. Per questo si chiama gioco di squadra. Faglielo capire a certa gente.

GIOVANI ITALIANI – Sul Washington Post nelle pagine locali un titolone per Livio Caputo, giovane talento cresciuto a Roma ma approdato in un liceo che gli ha permesso di vincere il titolo regionale. Per i suoi 20 punti un cinque colonne non sfuggito, come capita a qualche nostro sporadico intervento sul Giornale, alla rassegna stampa. È un regista, ha la luce negli occhi come giura l’omonimo Livio che ha viaggiato tanto tempo con noi al Giornale, lui in prima classe, noi nella stiva dello sport visto in maniera un po’ diversa dai tenutari di oggi.

OSSOLA PER LORO – Tony Damascelli, un altro compagno di viaggio al Giornale, ai tempi in cui Alfio Caruso, dopo il luminoso ferrarese Carlo Grandini, dirigeva lo sport amandolo davvero, creando storie, personaggi, valorizzando tutto, con magie tipiche di chi sa proporre le cose, ha trovato spazio per i 70 anni di Aldo Ossola, raccontando la Varese dell’impero nel basket, ma bella e vitale pure nel calcio. Ossola e la sua avversione verso Milano, anche se ha giocato per l’altra squadra che nel regno dei canestri tentava di far deragliare l’Orient Express del Simmenthal, cosa che accadde quando un pullover di cachemire non bastava più. Una storia che ha riunito da Bulgheroni la vecchia Ignis del Von Karajan amato dal nostro caro Grigoletti. Puntata dei tristi, ma anche meravigliosi, ricordi. Abbiate pazienza e considerate che ad un certa età si compatisce, non si condanna.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

Share this article