La canzone dei ricchi e poveri

14 Febbraio 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla prospettiva Leningrado, campo dell’Armata, fra la neve di Mosca dove si sente l’eco di storie malintese sulla “povera” Olimpia vestita dall’Emporio Armani. Possono trovare tutte le giustificazioni che vogliono ma la verità, come dice Sandro Gamba sulla Repubblica, è scritta sulle facce dei giocatori. Infelici di successo, potenti con i deboli, nell’Italia della povera gente che peggiora fra i dirigenti, i gioccatori, spesso fra i tecnici, deboli con i potenti prendendo la scusa che gli altri hanno più soldi. Una bufala storica che non regge, perché se Roma senza capitale arrivò alla finale scudetto con Calvani avendo un milione di budget, se il Maccabi ha sfrangiato la sicumera moscovita e madrilena, dopo quella milanese, allora certi conti non tornano come scritto da tante belle storie di sport che sfuggono ai Lotito del sistema, ne abbiamo parecchi anche nel basket, cercateli e li troverete.

Via dall’arena dei cavalli dell’Armata dove la squadra di Itoudis cambia umore, Teodosic bello ed impossibile, stile di gioco, proprio come le splendide ragazze del balletto per i “tempi morti”. Prenderne 20 dal CSKA di questo mese, 1 vittoria, 3 sconfitte, 2 in Russia, parlando di gioco organico per la rimonta del terzo quarto vuol dire davvero considerare gli altri con le salamelle sugli occhi. Ne abbiamo visto di basket anche prima dell’impero che sforna dirigenti “geniali”, magari disattenti se vai a prendere il Kleiza che Istanbul voleva impalare o il James che appariva di debole costituzione già prima degli infortuni, sperando di fare gruppo con gente che ama guardarsi allo specchio mentre tira e, difficilmente, torna in difesa con la fame che serve alle squadre “povere” per sfidare i Golia del giorno. Fuggire dai russi ascoltando le nuove parabole della milanesità melensa: nel girone di ritorno per crescere come squadra, i lavori da ripendere per avere ad ottobre quello che ormai è diventato il Palalaido. Promesse di marinai che non viaggiano neppure sulla stessa nave se oltre alle facce dei giocatori Emporio dovessimo decifrare anche quelle di chi fa parte della squadra allargata e conosce pure il sapore acre del fuoco amico.

Meglio girare alla larga. Milano, via California. Hanno aperto un oyster bar. Magari ci fosse stato ai tempi in cui l’avvocato Porelli, chi era costui, direbbero, dicono, molti legaioli, appassionato di ostriche, smaniava e virava sulle aragoste alla catalana, accusando la città da bere di essere rimasta indietro. Era vero. È vero anche se l’EXPO eccita le menti di chi non sa di cosa sta parlando, mentre scattano le tagliole delle lobbies pronte allo sciopero nel momento in cui ci faremo riconoscere, come sempre. Panzanella con riccio di mare, canederli di tonno al profumo dei porcini, pistacchio di Bronte con biscotti al farro. Falanghina per sorridere al freddo europeo che ha messo in quarantena Milano e Sassari, le due protagoniste della supercoppa vinta dai sardi “più poveri”. In un tavolo d’angolo Federico Mangiacotti, general manager di Beko Italia. Pur sapendo che il nostro amore cestistico non conosce più il nostro nome ci alziamo ad applaudire per il rinnovo dell’accordo con la Lega. Lui sorride e glissa anche quando gli chiediamo di rendere almeno decente il premio per l’MVP della coppa Italia. Concorda che la targa è da miseria. Niente di paragonabile con quella che l’Uleb ha dato a Nando De Colo come migliore giocatore dell’euro in gennaio anche per la settima giornata. Di chi la colpa? Non della Beko precisa Mangiacotti. Allora chi? Lega o RCS. Questo il quesito.

La cena con pesce crudo nella vigilia moscovita dopo aver passato un serata piacevole nella vecchia Arena, ripassando storie di sport dove non puoi raccontarla su come fanno adesso nella nobil casa milanese che ha ereditato 25 scudetti dal “nulla” a sentir loro. Pilotati dai messaggi divertenti e crudeli del solito Sisti, amico di san Basilio, velocista della vita che scopre troppe rughe su settantenni come noi, eccoci seduti nella sede provinciale della federatletica per la presentazione di un libro che consigliamo a tutti gli allenatori, non soltanto delle giovanili. Autrice Giuliana Cassani, quattrocentista, ostacolista, maratoneta, allenatrice, giornalista, donna di qualità. Lo sperava, lo sognava, portandola all’Arena quando aveva due anni, è l’unica che ama ancora lo sparo dello starter, sulla Paganella quando ne aveva quattro, il padre Marco che era il capo rubrica del basket in Gazzetta, prima degli orgasmi quotidiani di oggi, quando una telefonata benedetta ci fece lasciare l’assistentato al Geas di Luisito Trevisan, il raduno della nazionale giovanile a Cortina dove Primo e Cerioni, pur sapendo che amavamo il diablo friulano che voleva un pallone più leggero per le donne, il Luisito osteggiato dal potere, facevano di tutto per combattere la febbre che rovinava i sogni, portandoci al delirio. Certo dalle montagne dove ci guarda oggi il carissimo Marco, sottofondo Stellutis Alpini, detto “armadio” dal Felice Palasciano re degli sport “ minori”, farà partire un dibattito. Gli piacevano. Lui, ex atleta, amante ed esperto di atletica, “promosso” alla rubrica basket dal maresciallo Zanetti, per lui un viaggio difficile, ma non infelice, trovò amici, estimatori, si domadava se almeno le figlie non lo avrebbero tradito. Non lo fecero. Soprattutto Giuliana. Ma nelle storie meravigliose c’è sempre un diavoletto. Sapete dove fa sport la figlia della Cassani? Al Geas di Sesto. Basket. Dopo aver lasciato l’atletica.

Nel libro ci sono tante storie come queste, un manuale che tiene per mano allenatori, dirigenti, genitori e, ovvviamente, atleti. Da leggere, meditare. Storie bellissime e testimonianze raccolte in ogni disciplina sportiva. Prefazione del Gianfranco Baraldi, campione di mezzofondo, giovanotto di ottant’anni come lo splendido Sar, erano insieme alle Olimpiadi romane del ’60 e non pensano di esserci, lo dicono ridendo, se Roma avrà quelle del 2024, bergamasco che non riesce a far uscire dalla tana il Mastropasqua, esiliato a Berghem, che fece grandissima la Pro Patria, rispettando sempre chi gli aveva lasciato la grande redità, ex assessore, il Baraldi primatista italiano dagli 800 ai 5000, che portò l’atletica alle elementari, c’è ancora oggi, dopo 25 anni, forse di nascosto ai ministri vari che dello sport nella scuola se ne impippano. Postfazione di Claudia Giordani, campionessa di sci, pure lei per il “dolore” dei genitori, il grande Aldo, l’uomo che ha portato il basket dal sottoscala al prime time televisivo, la Cipriani romana ed azzurra, stregata dalla pallacanestro che gli fece incontrare il triplista bolognese conosciuto al Muro Torto. Il “Manuale di sopravvivenza del giovane atleta “ e dei suoi genitori, come dice il titolo e stato pubblicato dalla Caraba Sportiva. Merita più di una lettura.

CASI DELLA VITA – Mentre i soloni si chiedevano se le feste canturine per la qualificazione alla terza fase dell’eurocup non fossero esagerate, uno spiritello faceva notare che a passare il turno sono stati ben tre allenatori della storia canturina: Dalmonte con la miracolosa Roma, la più povera del reame (con quei soldi a Milano cosa avrebbero fatto?), Trinchieri nel suo nuovo castello tedesco e il Pino Sacripanti protetto nel giorni in cui la squadra della presidentezza Cremascoli batteva in testa. Adesso una testa sembra averla e speriamo continui così anche se si nota che tutto va meglio se manca, a turno, uno degli esterni. Casualità? Sapete come la pensiamo quando all’allenatore si offrono troppe opzioni nei cambi.

POPOVICH E PIANIGIANI – Pellegrinaggio federale alla mensa dei poveri NBA dove il presidente Petrucci e l’allenatore capo, ma capo capo, Pianigiani, hanno voluto incontrare i quattro azzurrabili per l’Europeo. Noi avremmo risparmiato sulle spese, sai Bertea come soffrirà dopo aver contato gli ultimi pennini, ma fa sempre effetto una visita pastorale anche se con fini diabolici: noi siamo venuti da voi, adesso ricambiate. Speriamo lo facciano volentieri tutti loro signori. Intanto sappiamo di avere un credito nella storia NBA col Belinelli che ha dato la millesima vittoria all’agente Gregg, il Popovich che ha sposato le fusioni di culture, mettendo molta Europa nelle sue vittorie, peccato il tradimento contro Miami. Se avesse fatto fallo, non consentendo il tiro da 3, forse, avrebbe un anello in più. Lui si arrabbiò. Accusò l’Orianone di ragionare con mentalità europea che nella NBA è considerata sacrilegio. Un peccato veniale considerando tutto quello che ci propinano loro in stagione regolare passando per i canali televisivi del “Venghino, venghino”.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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