I nostri Mondiali e quelli di Buffa

28 Novembre 2014 di Paolo Morati

Mondiali 1982

Mentre leggevamo Storie Mondiali – Un secolo di calcio in 10 avventure (Sperling&Kupfer, 2014), il libro di Federico Buffa e Carlo Pizzigoni scritto sull’onda della omonima trasmissione di Sky, abbiamo riflettuto su che cosa oggi significhi Calcio. In breve, le dieci avventure raccontate, delle quali molte vissute anche da noi catodici spettatori, in 266 pagine (tabellini esclusi) mettono al centro le partite ma anche gli eventi correlati e a contorno, con diversi balzi e rimbalzi storici a ricollegare episodi e personaggi. Ed è in sostanza questa la chiave più interessante di un libro che fornisce informazioni probabilmente meno note a chi non è propriamente uno storico del pallone, soprattutto nelle bonus track che non necessariamente riguardano vincitori e protagonisti, ma spostano l’attenzione su particolarità meritevoli di attenzione come (o forse più) di chi all’epoca si era guadagnato le prime pagine dei giornali.

La premessa è semplicemente quella che i Mondiali (di calcio) hanno scandito i tempi della nostra vita. E in effetti, proprio scorrendo il libro, le sensazioni dicono che è così, in particolare rivivendo le edizioni viste e riviste, ma immergendosi anche nel bianco e nero di quelle più lontane, tra canzoni (si sostiene che Un’estate italiana sia stato l’ultimo grande 45 giri della musica italiana), calciatori-lavoratori e fughe di arbitri in sidecar dopo una finale. Il piacere è infatti anche quello di trovarvi un mondo diverso, di anni pionieristici o meno fantascientifici, che si fa rimpiangere. Un mondo che non aveva paura delle sue imperfezioni, con nomi che abbiamo sentito di sfuggita da chi c’era, altri che abbiamo visto giocare, tutti entrati nella leggenda. Da quel fenomeno di Garrincha (grazie Franco Rossi per avercene spesso parlato) finito poi in Italia a fare il testimonial del caffè, al sovietico Eduard Streltsov, spedito in Siberia e che non riuscirà mai a calcare i campi di una Coppa del Mondo.

A dimostrazione di una scelta fatta con intelligenza ed equilibrio, i Mondiali raccontati sono quelli del 1950, 1974, 1930, 1966, 1986, 1970, 1990, 1994 1998, 1982. Ecco, il 1982, è proprio quest’ultimo il nostro Mondiale, per tante ragioni, non ultima legata allo spensierato contorno dell’epoca, e davanti a quello del 1990. Tanto che ne parliamo ancora oggi (soprattutto di quel Brasile di cui sappiamo la formazione a memoria, più che del trionfo della squadra guidata da Enzo Bearzot). Conclusa la lettura, rimane molta nostalgia e l’impressione che il Calcio degli uomini ormai abbia dato da tempo il massimo possibile e sia indirizzato verso un lento e inesorabile declino nell’immaginario, se si pensa che il ruolo dei narratori e del tempo delle attese è così ridimensionato.

Tutto in diretta, per tutti, minuto per minuto, secondo per secondo, senza tregua tra un appuntamento e l’altro, in un dibattito continuo per cui il posto per la fantasia scompare e siamo noi stessi che ci raccontiamo le storie e non possiamo più immaginare sulle parole di altri e sulle poche immagini disponibili che creano le leggende. Anzi, tra iper-criticismo e insofferenza, siamo costantemente in tempo reale telecronisti, giocatori e allenatori (e nel libro tra l’altro si dà giustamente molto spazio anche a questi ultimi). Sappiamo tutto – o crediamo di saperlo – e non soffriamo più di quella piacevole ansia, con l’orecchio alla radiolina nell’attesa del fatidico ‘scusa Ameri, sono Ciotti’. Ma i Mondiali alla fine sono un’altra cosa, hanno quattro anni di mezzo (follia sarebbe accorciare le distanze) e le storie di Buffa ci hanno convinto che bisognerebbe essere meno eurocentrici, e studiare quanto accade al pallone anche al di là dei Mari e degli Oceani, instillandoci finanche il dubbio malinconico che i Messi e Cristiano Ronaldo di oggi non abbiano veramente nulla da condividere con i Maradona e gli Eusebio, i Pelé e i Cruijff di ieri. Sarà la mezza età incalzante? Ne riparliamo tra trent’anni.

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