Lo scudetto di Craxi

7 Novembre 2014 di Stefano Olivari

L’ultimo scudetto dell’Olimpia Milano anni Ottanta, quello del 1989, è spesso ricordato per quell’ultimo canestro della garacinque di finale, a Livorno, che Andrea Forti segnò di poco oltre la fine del tempo e per la rissa che ne seguì in campo e fuori: in realtà quel canestro fu segnato davvero a tempo scaduto, come dimostrato anche in tempi recenti da analisi frame per frame televisivo, ma all’epoca non c’era instant replay e un eventuale errore arbitrale nel convalidarlo non sarebbe stato scandaloso. Di sicuro in 25 anni quell’episodio ha alimentato a Livorno un vittimismo davvero degno di miglior causa, anche volendo ridurre tutta la serie all’episodio. Però non è su Philips-Enichem che è incentrato LGM, Lessico Giudiziario Minore, il libro che Pierfrancesco Casula ha scritto su quei playoff. La tesi di Casula, magistrato in pensione, è che quello scudetto dovesse essere vinto da Milano perché questo scenario sarebbe stato gradito ai socialisti di Craxi. Chi all’epoca era su questa terra ben ricorda l’episodio della monetina in semifinale, garauno (le semifinali erano al meglio delle tre partite) a Pesaro: Meneghin fu colpito e per una volta nella vita decise, come ha raccontato lui stesso pochi anni fa (il problema è che l’ha fatto da presidente federale, non proprio un bel messaggio), che avrebbe fatto come tutti i suoi colleghi in analoghe circostanze. Referto dell’ospedale e vittoria a tavolino per Milano. Casula intervista Guido Carlo Gatti, amico di Indiscreto e all’epoca dirigente di Pesaro, il quale sostiene che la decisione degli organi giudicanti della FIP sarebbe stata influenzata da Tognoli e Pillitteri, all’epoca ex sindaco e sindaco in carica di Milano. La stravagante spiegazione di Gatti è che il PSI volesse favorire un’Olimpia sull’orlo del fallimento, ma pur lavorando di fantasia manca il movente. La tiepida passione di Craxi per la pallacanestro? De Michelis presidente della Lega? Ma è ormai storia che Berlusconi proprio in quel 1989 volesse comprare l’Olimpia. Quindi avrebbe avuto tutto l’interesse nel portare (o far portare dall’amico Craxi) l’Olimpia sull’orlo del fallimento, ricordando lo schema che tre anni prima gli aveva servito il Milan su un piatto d’argento. Di più: Berlusconi poi avrebbe effettivamente comprato l’Olimpia, ma il contratto fu stracciato per un ripensamento dei Gabetti (che evidentemente volevano fallire…). Di più ancora: in estate sarebbe arrivato Antonello Riva da Cantù, per una valutazione totale (l’ha ricordata Luca Chiabotti sulla Gazzetta dello Sport) di 7,5 miliardi di lire: all’epoca cifra pazzesca, anche se inferiore a quelle che di lì a poco sarebbero state tirate fuori dai Ferruzzi e dai Benetton. E quindi? Napoli non c’entra, ma per questo libro bisognerebbe usare la frase-manifesto dei Trettré. Su tutto c’è poi che Craxi, cioè l’unico grande leader politico laico mai avuto dall’Italia, anche a distanza di decenni sia considerato l’emblema e la spiegazione di tutti mali del paese.

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