Giusto due parole sull’armonica blues

19 Novembre 2014 di Daniele D'Aquila

La bella intervista di Glezos all’armonicista Fabio Treves, in occasione del quarantennale della sua attività, ci ha riportato al fascino di un genere musicale come il Blues e di uno dei suoi strumenti solisti principi: l’armonica sta al Blues come la chitarra elettrica al Rock o il bandoneon al Tango. Del Blues in se magari potremo parlare più compiutamente in un’altra occasione (magari con uno degli incipit più cialtroni della storia, il mitico “a grande richiesta…”), mentre non possiamo far a meno di approfittare della meraviglia dichiarata da Glezos nello scoprire che Treves non abbia mai suonato con l’armonica cromatica per poter chiarire aspetti particolari di questo strumento, un classico aerofono ad ancia libera (come da definizione di catalogazione). Spesso ai profani sfugge infatti che di armoniche ne esistono di tanti tipi, che si dividono principalmente i due categorie: armonica diatonica e armonica cromatica. E questa divisione sfugge a tal punto che la confusione regna sovrana in molti ascoltatori, i quali magari chiedono ad un bluesman “ah, ma quindi tu suoni come Toots Thielemans!” oppure suppongono che un armonicista cromatico suoni in una blues-band.

Partiamo dalla struttura dell’armonica, invitando i lettori a non scappare scoraggiati dall’inevitabile tecnicismo iniziale: tenete duro, dopo l’articolata premessa comincia il bello. Generalmente l’armonica è costituita da una camera di risonanza costituita da un corpo in legno a forma di parallelepipedo (con scavate delle celle) affiancato da due piastre metalliche (solitamente ottone) in cui sono alloggiate delle ance (ossia delle lamelle di metallo che vibrano al passaggio dell’aria lungo il corridoio della cella), il tutto racchiuso in un due gusci (sorta di carene di metallo che proteggono le ance e fungono da cassa armonica). Queste ance sono due per ogni cella ed ognuna posizionata in senso contrario rispetto all’altra (nella piastra metallica superiore sono posizionate le celle in un senso e in quella inferiore quelle nell’altro), dimodochè a seconda che si soffi o si aspiri nel foro corrispondente ad una di queste celle vibri (e quindi suoni) un’ancia o l’altra, il che permette di contenere due note in ogni foro dell’armonica.

Questa è la struttura base dell’armonica, in particolare di quella diatonica, così come è stata originariamente strutturata dai popoli mitteleuropei che (avendo da sempre una tradizione di strumenti ad ance, vedere anche fisarmonica, bandoneon, organetto, accordina, etc…) l’hanno ideata. Per tale struttura l’armonica diatonica è uno strumento semplice e con dei limiti, tra cui uno principale: ogni armonica ha una tonalità e note appartenenti solo a quella scala (in teoria, perché in pratica non è così, come vedremo successivamente), quindi in pratica se cambi tonalità del brano devi cambiare armonica.

L’armonica cromatica invece è uno strumento singolo ma politonale, con cui puoi cioè suonare liberamente in ogni tonalità come una fisarmonica o il sax perchè puoi fare tutte le note. Questo è possibile perché ogni foro contiene un doppio numero di ance, in quanto il corpo presenta due file di celle (ognuna in prossimità di una delle due piastre porta-ance) per ogni foro, con ogni piastra metallica che possiede ance posizionate in senso alternato divise a due a due per ogni cella, cosicchè la differenza di nota suonata tra “soffiate” e “aspirate” non dipende più da piastra superiore e piastra inferiore bensì riguarda la stessa piastra: in pratica l’armonica cromatica è costituita da due armoniche, una in Do (C) costituita dalla fila di ance su una piastra ed una superiore di un semitono (quindi in Do diesis, C#) sviluppata tramite la fila di ance sull’altra piastra. Per gestire questo raddoppio del numero di note interviene un registro, ossia una sorta di mascherina con fori a scacchiera che scorre lungo la parte anteriore del corpo dello strumento (praticamente dove si appoggia la bocca) e che chiude una fila di celle lasciando aperta l’altra o viceversa a seconda che venga o meno azionato un pistone laterale tramite un bottoncino sulla destra dello strumento.

Ci siete ancora o siete già scappati? Ricapitolando, per gli stoici che stanno ancora leggendo: soffiando in un foro si ottiene una nota e aspirando se ne ottiene un’altra, azionando il pistone viene chiusa la cella corrispondente e se ne apre un’altra, ottenendo così altre due note (sempre una soffiata ed una aspirata, ovviamente). In questo modo, con la cromatica è possibile suonare tutti i toni e tutte le note, cosicchè non sia necessario cambiare strumento ad ogni cambio di tonalità.

Ora, questa differenza tecnica nell’ottenimento delle note può apparire cosa di poco conto e la differenza una mera questione di esercizio tecnico, però già qua parliamo di una differenza pari a quella che intercorre tra portiere e attaccante, il che spiega perchè in realtà non sia poi così strano che Fabio Treves non abbia mai suonato l’armonica cromatica: siamo oltre la mera differenza tra suonare blues con chitarra acustica e suonare rock con chitarra elettrica (peraltro la seconda cosa riesce ai bluesman meglio di come ai rocker riesca la prima, chiediamo scusa ma non siamo riusciti a trattenere la trollata…). Poi c’è da considerare tutto il resto, e qui (lo diciamo per i lettori, con notevole spirito di marketing…) viene la parte più interessante ed affascinante della faccenda.

Parliamo di armonica blues, quindi di uno strumento particolare, con una storia particolare che parte principalmente da un contesto popolare intriso di povertà ed ignoranza, a partire dall’uso improprio che ne viene fatto: la stessa scala blues è teoricamente “sbagliata”, visto che si tratta di una scala di 10 note invece delle canoniche sette del sistema tonale a cui vengono aggiunte le cosiddette blue-notes (letteralmente “note tristi”), ma questa è un’altra storia e se ne dovrà parlare un’altra volta (sì, questa l’ho rubata da “La storia infinita”, un omaggio agli anni Ottanta per arruffianarmi il Direttore…).

Ora, l’armonica arrivò negli Stati Uniti portata molto probabilmente da qualche tedesco viste le citate origini. La stessa marca di armoniche più famosa al mondo è tedesca, la famosa Hohner, che fabbrica alcuni dei modelli più popolari in commercio: citiamo solo la Blues Harp (nostro modello preferito in assoluto) e la Marine Band tra le diatoniche e la Chromonica (una settimana fa ad un mercatino di antiquariato abbiamo imbastito un’estenuante trattativa per convincere invano un venditore a lasciarci una Serie 3 anni Trenta a 500€, finendo col desistere visto che alla richiesta cifra di 700€ si può trovare in giro una Serie 2) tra le cromatiche. L’armonica diatonica, per le sue caratteristiche di semplicità, economicità, solidità, dimensioni contenute e facilità di trasporto venne adottata dalle popolazioni nere perché ben si adattava alle condizioni di vita (o meglio di non vita, viste le condizioni di schiavitù…) ed all’imitazione del registro vocale del lamento umano.

Piccola parentesi: prende così corpo uno di quei strani interscambi musicali tra etnie, con uno strumento tipicamente mitteleuropeo che diventa così la voce degli afroamericani, affiancando la chitarra, anch’essa strumento di origini bianche, che viene scambiata col banjo, strumento a corde su tamburo in pelle di chiare origini africane se ce n’è mai stato uno che diventa così lo strumento principe del bluegrass, la musica più bianca e conservatrice (anche più del country) degli Stati Uniti. Non sappiamo se dietro tutto ciò ci sia un complotto legato al Piano Kalergi (ma immaginiamo lo scorno degli indignati puristi di razza ariana…), fatto sta che nasce così la “blues-harp” che è la definizione che lo slang statunitense gli attribuisce da allora.

Altra piccola parentesi: in teoria harp in lingua anglosassone indicherebbe l’arpa, cosa che ha dato adito in passato a curiose gaffe. Una di queste può facilmente essere verificata anche dal pubblico profano (ed è per questo che la citiamo, per quanto il film tratti forse più di Rhythm&Blues e Soul che di Blues) e riguarda l’edizione italiana di “the Blues Brothers”: nella scena in cui i due fratelli incontrano il vecchio Curtis/Cab Calloway Elwood Blues/Dan Aykroyd ricorda “per noi cantavi le canzoni di Elmore James e suonavi l’arpa in cantina…” Ora, non è difficile immaginare l’ignoranza sul tema da parte di chi si occupò della traduzione per il doppiaggio, visto che chi conosce il contesto cultural-musicale lungo cui si muove la vicenda (per quanto nella pellicola si ascolti più Rythm&blues e Soul che Blues…) non può che trovare assolutamente esilarante l’immagine, tramandata dall’errore in questa edizione della pellicola, di un Cab Calloway che suoni… l’arpa!

Tornando al blues l’armonica scelta non può che essere la semplice diatonica a 10 fori, 20 ance (difatti nell’ambiente del blues è spesso confidenzialmente chiamata appunto “20 ance”) che rappresentano appunto 19 note (tra poco vedremo perchè questa discrasia tra numero di ance e numero di note) distribuite su 3 ottave, tonica della scala soffiata nel primo foro, secondo grado aspirato nel primo foro, terzo grado soffiato nel secondo foro e via di questo passo…

Questo teoricamente, però. Perché nel blues l’armonica si suona “incrociata” (la cosiddetta cross-harp), nel senso che si suona “in seconda posizione” (ce ne sono anche una terza e una quarta, sebbene pochissimo utilizzate) considerando tonica della scala la nota nel terzo foro (e ripetuta nel quarto, scelta costruttiva che aiuta non poco i polmoni dei musicisti nell’esigenza di dover alternare soffiato ed aspirato durante gli assoli), suonando quindi in una tonalità afferente alla dominante della tonalità dell’armonica: in pratica, con un armonica in Do (C) si suona in Sol (G), con una in La (A) si suona in Mi (E), etc. Questa scelta dipende un po’ dal contesto di “ignoranza” in cui è nato il Blues e un po’ perché in questo modo (oltre ad avere le tre note di ognuno dei tre accordi principali del blues in fori consecutivi, in modo da dare la possibilità allargando le labbra di suonare a blocchi di accordi) si ottengono le note dell’accordo della scala in “aspirato”, il che ti permette di “piegare” come si suol dire le note caratterizzanti (3°, 5°, e 7° grado) con una tecnica (in pratica, rimpicciolendo il foro d’entrata serrando le labbra ma aumentando la velocità dell’aria si ottiene un suono forzato e distorto che fa appunto calare la nota) che viene notevolmente più facile in aspirato rispetto al soffiato.

Si ottenengono così le cosiddette blue-notes (le note tristi, in pratica fino ad un semitono calante sulla nota teorica) che danno quel particolare sound melanconico che caratterizza il blues: in pratica a livello melodico c’è una linea melodica affine al sistema tonale minore sviluppata su un contesto armonico maggiore, questa “tensione” armonica genera al nostro orecchio il pathos del sound del Blues.  Nell’armonica cromatica invece le blue-notes si ottengono semplicemente soffiando nel foro giusto ed eventualmente azionando il pistone (nel caso della scala di Do, ad esempio, soffiando sul foro precedente ed azionando il pistone che fa salire la nota di un semitono: quindi, per capirci, per ottenere i bemolle di 3°, 5° e 7° grado si suonano i diesis del 2°, 4° e 6° grado).

Mentre quindi nella diatonica attraverso il metodo della cross-harp l’iter è quello di lavorare sui bemolli (meccanismo anche mentale peraltro tipico del blues e del jazz da lui discendente) piegando la nota richiesta, nella cromatica al contrario si lavora sui diesis della nota precedente a quella scelta: qui siamo proprio alla differenza tra due sport diversi, come quella che intercorre tra calcio e rugby! Lo stesso sound è differente, quello della diatonica è più tormentato e caldo (anche per la facilità di chiuderla tra le mani a coppa, modificando il timbro della cassa armonica) e ricorda il timbro straziante di un lamento umano, il sound della cromatica è più pulito ma vibrante e va quasi verso quello della fisarmonica o del bandoneon. Difatti la diatonica è più utilizzata in musiche popolari o musica leggera come il blues, il country e il rock, mentre la cromatica viene più usata in musiche più “colte” e complete come il jazz (vedi Toots Thielemans, maestro storico del genere, o per restare in ambito italiano Bruno De Filippi, che gli amanti di musica leggera ricorderanno come compositore di “Tintarella di luna”: anche stavolta non abbiamo problema ad ammettere la ruffianata, stavolta nei confronti dell’amico Paolo Morati nella speranza di irretirlo sulla strada dell’abolizione di quel sistema del “rispondi” che sta facendo dannare gli utenti del blog…) o il tango (vedi il fisarmonicista francese Richard Galliano, che si esibisce spesso a cavallo tra jazz e tango con l’accordina, uno strumento molto affine come sound all’armonica cromatica).

La possibilità di piegare le note – creando un’intonazione “variabile” (un po’ come negli strumenti ad arco o nella stessa chitarra “slide”, che si avvale di un’accordatura lenta e un bottle-neck – così chiamato perché originariamente venivano utilizzati proprio colli di bottiglia spezzati – infilato in un dito da far scivolare sulle corde lungo il manico, ottenendo così un’intonazione fluttuante e ondeggiante tipica del Delta Blues del Mississippi) a seconda del grado di tensione delle labbra dosato dal musicista – è una caratteristica essenziale del Blues in generale e dell’armonica blues in particolare (la cui “sporcizia” del suono risulta così inversamente proporzionale al calore del sound, rendendo il timbro ancor più simile alla voce umana). Il tutto viene poi acuito dalla particolare impugnatura dello strumento, che tende ad essere chiuso tra le mani a coppa per poi “aprire&chiudere” con varie velocità in modo tale da ottenere particolari effetti quali il wah-wah, il vibrato, etc.

Altra simpatica parentesi: una delle caratteristiche del sound dell’armonica blues è quella di caratterizzare il sound attraverso il materiale del corpo centrale dell’armonica (la cassa di risonanza): generalmente in legno (meglio) o plastica (nelle versioni più economiche e commerciali). Non solo si può facilmente immaginare come il primo materiale comporti un suono più caldo e pieno rispetto al secondo (gergalmente la scala che ironicamente misura ciò si definisce “effetto organetto”: più ci si allontana da esso e si va verso una somiglianza col registro della voce umana più il suono è apprezzato e qualitativo), ma lo stesso legno cambia a seconda della densità delle fibre. La quale, ovviamente, cambia a seconda del tipo di legno e per aumentarla saltò fuori in passato la trovata di bagnare l’armonica affinchè le fibre di legno del corpo centrale assorbissero acqua saturandosi e distribuendo meglio le onde sonore. Da qui in poi nacquero folli trovate personali, leggende metropolitane e grottesche ricette che andavano dalla temperatura esatta richiesta all’acqua (c’era gente che girava sui palchi col termometro da sommellier…) all’immersione dell’armonica in whisky (con un certo grado di invecchiamento richiesto, ovviamente, eh!) con effetti sulle condizioni dell’armonica che possiamo immaginare: parlando di uno strumento in legno e metallo, non ci vuol molto a capire che un’immersione non gli farà certo granchè bene e non gli allungherà di certo la vita…

Per tutti questi motivi e queste differenze tra le due tipologie di armonica, molto diverse non tanto nella struttura quanto nell’approccio mentale del pensiero musicale e nel meccanismo di utilizzo pratico, non sono tanti (eufemismo) i bluesman ad essersi rapportati con tutti e due i tipi di strumenti.

A questo punto poi non possiamo fare a meno di ricordare l’importanza che ha avuto nella storia dell’armonica blues l’elettrificazione. Non esiste ovviamente l’armonica elettrica, ma solo l’armonica elettrificata tramite microfono che oggi giorno è generalmente di due tipi: il normale microfono a stelo (quello che televisivamente quando ha lo spugnone sferico viene chiamato gergalmente “gelato”) e quello apposito da armonica, di forma semiovoidale che ricorda vagamente un tozzo proiettile (il modello più commercializzato oggi giorno, prodotto dalla Shure, si chiama appunto Green Bullet): la curiosa forma di quest’ultimo lo rende particolarmente comodo da impugnare per suonare l’armonica (chiudendo le mani a coppa) o per parlare (nella citata produzione “The Blues Brothers” lo si vede in mano ad Elwood Blues/Dan Aykroyd quando parla dalla macchina con l’altoparlante sulla capote, oltre che quando suona l’armonica, ovviamente, imparata evidentemente negli anni dell’orfanotrofio dall’ “arpista” Cab Calloway, come si evince dalla versione in lingua originale…). Con l’approdo del Blues nelle città e la conseguente amplificazione della strumentazione musicale, l’armonica acustica rischiava di essere coperta e quindi si decise di elettrificarla appoggiandone l’apertura ad un microfono: non più quindi un’amplificazione “ambientale”, ma una vera e propria simbiosi su cui è poi intervenuta la possibilità di modificare il suono attraverso le normali regolazioni del mixer. Ad esempio abbassando tutti gli “alti” ed alzando al massimo “bassi” e “medi” per ottenere un suono più carico, elettrico e pastoso, come si dice facesse uno dei più grandi armonicisti di sempre ad esempio: Walter “Shakey” Horton, vero genio e sregolatezza, uno che poteva essere (se non lo è stato comunque) il più grande di sempre se non avesse avuto una vita dissoluta.

Ennesima parentesi di colore, ad uso e consumo dei profani che volessero inviduare colui che con una metafora calcistica si potrebbe descrivere come il talento di Maradona e la completezza tecnica di Van Basten con la testa di Cassano e il carattere di Balotelli: nel citato film “the Blues Brothers” (che continuiamo a prendere ad esempio per comodità del lettore) Horton è colui che suona l’armonica per John Lee Hooker quando suona sul marciapiede in quella strada in cui si trova il negozio di musica di Ray Charles ove la band si reca per acquistare gli strumenti. Tra le altre cose, come si può vedere in quella scena, Big Walter era anche l’unico al mondo in tutta la storia della musica che riuscisse ad impugnare armonica e microfono tenendo altresì una sigaretta tra le dita senza che il fumo gli entrasse negli occhi, dimostrando un abilità tecnica che ha del sovrannaturale (provare per credere: al terzo riff lacrimerete come un agnello in una macelleria Halal…).

A seguito di tale evoluzione l’armonica cambiò anche ruolo all’interno dei combo musicali: non più strumento “di contesto” (cultura dell’armonica blues è sempre stata ad esempio anche l’imitazione di suoni della vita di tutti i giorni: la voce umana, il rumore del treno, il verso della gallina, etc., in quella che erroneamente appare all’esterno come puro cabaret o mero esibizionismo), al netto delle parti solistiche, come nel Country Blues (il Blues delle zone rurali del Mississippi) di nomi come Sonny Boy Williamson (un nome che sta all’armonica blues come quello di Robert Johnson sta al voce&chitarra) o Sonny Terry (armonicista cieco famoso per il suo connubio musicale con l’amico-nemico Brownie McGee), bensì un ruolo melodico più irreggimentato e strutturato, a metà tra il sassofono e la chitarra elettrica. Motivo per cui da lì in poi passò per essere strumento utilizzato anche nel rock-blues e da lì in poi fino al rock più metallico e alle colonne sonore di film e telefilm di coerente sapore (anche qui ci serviamo di due esempi facili: le colonne sonore del telefilm “Renegade” con Lorenzo Lamas o il più recente “Sons of Anarchy”. Del resto l’armonica elettrificata si sposa molto con le atmosfere da scazzottata in birreria, almeno quanto l’armonica cromatica invece si adatti al classico film d’autore su “coppia nel loft parigino lui operatore di borsa di destra con un passato di sinistra lei insegnante di pittura di sinistra con lo scheletro nell’armadio della partecipazione all’attentato ai danni di un magistrato”. Quelli con 40 persone in sala, per capirci…).

Con l’armonica elettrificata hanno creato una nuova dimensione nomi che vanno da Howlin Wolf (famoso per i gorgheggi ad ululato come per l’abilità di suonare col naso) a James Cotton (un nome, un retaggio culturale…), fino a Charlie Musselwhite (forse il più grande armonicista bianco che ci venga in mente, uno tra l’altro dei pochi ad essersi cimentato anche con l’armonica cromatica…), più gente a cavallo tra i due generi come Rice Miller (autoproclamatosi Sonny Boy Williamson II, che è un po’ come se Messi sulle spalle della maglia da gioco portasse scritto Diego Armando Maradona II o Michael Bublè firmasse i suoi dischi come Frank Sinatra II…).

Tutto ciò ha portato a nuove tecniche ovviamente: molto più difficile realizzare il wah-wah o il vibrato aprendo e chiudendo le mani a coppa come nell’armonica acustica, essendo le mani chiuse per impugnare strumento e microfono assieme, pertanto a tali tecniche dovette provvedere un diverso modo di modulare e far vibrare la lingua per modificare il flusso d’aria. Resta invariata invece la possibilità dello “shakey” (da cui Big Walter Horton prese il soprannome), cioè lo scuotimento dell’armonica (o della testa, con però antipatici effetti collaterali) in senso orizzontale per far sì che la bocca soffi alternativamente in due fori creando quello che in strumenti come pianoforte o flauto viene definito “trillo”.

Tecniche infinite (abbiamo volutamente sorvolato su glissati etc.) ovviamente di sperimentazione e sviluppo assolutamente personali e soggettivi. L’armonica, soprattutto quella diatonica, non ha una scuola (anche proprio in senso fisico) e non viene insegnata nei conservatori (del resto, se lo fosse stata, non sarebbe mai nata la cross-harp e forse il blues come lo conosciamo oggi). Soprattutto non ha metodi, di cui ci vengono in mente giusto due libri: “Blues Harp” di Tony Glover e “Metodo per armonica blues” di Paolo Ganz (bravo armonicista italiano che il grande pubblico ricorda più che altro per alcune sue collaborazioni col regista toscano Francesco Nuti…), che però si limitano a dettare le linee guida per iniziare e ad ipotizzare un metodo di scrittura della musica schematico ed intuitivo (che praticamente sta al pentagramma come la croce sta ad una firma…) per ovviare al fatto che la maggior parte delle persone che si avvicinano all’armonica blues non conosce la musica (e spesso, proprio per questo, si sentono attratti da uno strumento apparentemente così semplice).

Lo stesso Fabio Treves (per non parlare di migliaia di bluesman) dice di non saper nemmeno leggere la musica, e racconta spesso di un aneddoto divertente riguardante i Pooh: chiamato a registrare un pezzo per loro, si vide mettere davanti lo spartito. Fabio imbarazzato svicolò proponendo “mah, magari io comincio buttando lì una cosa mia un po’ improvvisata, poi vediamo…” L’improvvisazione andò ovviamente benissimo e lo spartito venne stracciato, e Treves si trovò solo molti anni dopo a confessare il tutto agli interessati…

Tutto resta affidato alle esperienze personali quindi, basti pensare al fatto che Sonny Terry (l’armonicista sopra citato) da cieco imparò a suonare l’armonica tenendola sottosopra: con le note acute a sinistra e quella gravi viceversa a destra, e quando qualcuno gliene chiedeva (stupidamente) il motivo lui rispondeva “perché altrimenti ad un certo punto a sinistra non avrei più note…”.

Ecco perchè le difficoltà nell’apprendere l’armonica restano differenti da persona a persona e perché il miglior armonicista italiano Fabio Treves dice di aver avuto difficoltà ad imparare mentre per il sottoscritto cominciare a suonare i primi riff, assoli, linee melodiche di senso compiuto etc. è stata una passeggiata incontrando molte più difficoltà ad andare oltre e raggiungere gli inarrivabili Treves e i Charlie Musselwhite. Per quanto, poi, non si possano negare alcune difficoltà endemiche dell’armonica, prima fra tutti il fatto di non poter controllare lo strumento tramite coordinazione oculo-manuale (a differenza di un pianista che ha sempre i tasti davanti agli occhi o un chitarrista le corde) e di dover ragionare progressivamente su quale foro suoni cosa (difficoltà che salta immediatamente all’occhio nel momento in cui ci si trovi a suonare con un certo intervallo: perché finchè per suonare ti sposti a soffiare nel foro affianco va tutto liscio, ma ogni salto di foro è un acrobazia non da poco…).

Ricordiamo tra l’altro che nell’armonica diatonica come detto la tonalità è solo una e si cambia strumento al cambio di tonalità del brano (per questo gli armonicisti salgono sul palco con una valigetta con dentro le varie armoniche o a volte addirittura indossando una cartucciera che li fa assomigliare ai pistoleri messicani dei film di Sergio Leone). Per questo motivo un armonicista blues è aiutato dall’aver sempre le note nella stessa posizione (più ancora di un chitarrista che usa il capotasto per cambiar tonalità) e dal poter sfruttare questo importante punto di riferimento, a differenza degli altri strumenti come il pianoforte dove ad esempio se suoni sulla scala di Do hai solo tasti bianchi da suonare mentre se passi al Fa# devi andare su quelli neri. Questa cosa però può diventare anche un limite, e portare inconsciamente ad adagiarsi sempre sugli stessi movimenti, i soliti riff, i reiterati passaggi, il che rappresenterebbe la morte per un armonicista, visti poi i limiti già endemici dello strumento in sé, e abbattere il muro della ripetitività è l’impresa più difficile.

Ma ciò non dipende dal fatto che uno o l’altro abbia torto o sia più bravo, e nemmeno dalle diverse conoscenze musicali di base di chi magari sa suonare e conosce la musica già prima di saggiare l’armonica, ma semplicemente perché l’armonica blues per il contesto in cui è nata è e resta fondamentalmente una disciplina prettamente da autodidatta senza scuole o metodi di apprendimento univoci. Solo l’ascolto può aiutare l’indole personale: non solo attraverso le orecchie ma anche e soprattutto attraverso il cuore: “quella cosa” la devi sentire, se vuoi che funzioni. Perché “non è arte, non è musica: è blues”.

Daniele D’Aquila, in esclusiva per Indiscreto

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