Una Vos nella notte

7 Ottobre 2014 di Simone Basso

Il 17 Ottobre – forse siete ancora in tempo a iscrivervi… – Marianne Vos, affiancata da qualche collega fiammingo, organizzerà una gara notturna “segreta” grazie al tam tam di Twitter. In una città dei Paesi Bassi, equipaggiati con tanto di vestiti e specialissime catarifrangenti, pedaleranno per il gusto e il piacere di farlo a notte fonda. L’iniziativa della campionissima olandese, se la conoscete un po’, non sorprende affatto: domenica era a L’Eroica, nel Chianti, con un’impeccabile maglia di lana rossa su un mezzo d’epoca. Marianne da sempre vive per la bicicletta. E, in questi anni, è stata contraccambiata generosamente dal trabiccolo in fibra di carbonio. Vero amore.

Noi un’apologia della regina del Brabante la scriveremmo ogni anno, ma questo 2014 – al solito straordinario – ci pare importantissimo. Perchè ha fatto capire che la Cannibale, malgrado tutto, è entrata nella seconda parte della carriera; un po’ meno strapotente (in declino?), di sicuro più saggia e in pace con la sua voglia matta di vincere. Riassumendo l’annata, per far comprendere lo standard del soggetto, Vos d’inverno – pur saltando molte prove di Coppa – si è spesa nell’amato ciclocross (il passatempo preferito). A Hoogerheide (praticamente a casa…) ha indossato la settima maglia iridata della specialità, nonchè la tredicesima (!) complessiva (da elite e juniores tra strada, cross e pista..) del suo palmares. Dopo un breve periodo di scarico, è rientrata senza chiedere il permesso: un dominio o quasi. Tra i successi, a tappe, il Women’s Tour britannico e il Giro (con quattro frazioni parziali) e, in linea, la vernice storica parigina de La Course e Sparkassen.

Sicchè, a qualche settimana dal Mondiale, quando ha annunciato il ritiro dal Boels Rental, il giorno che si era aggiudicata una tappa, ci ha rivelato finalmente di essere umana. A Ponferrada infatti era stanca, ma il settanta percento della forma non le ha impedito di essere il faro, il centro, della sfida. E di deciderla con la sua personalità. Perchè, quando ha resistito al forcing di Armitstead ed è andata a riprendere prima Johannson e poi Longo Borghini, lo ha fatto di puro orgoglio. La svedese, una fuoriclasse, nonchè la principale vittima generazionale della Cannibale, ha desistito, memore delle scoppole ricevute in passato, non cogliendo l’attimo che le avrebbe dato l’arcobaleno… Appunto, della Vos fa paura anche l’ombra. Quando vanno in fuga con lei conoscono l’ira delle sue tirate e l’esuberanza “verbale”: se qualcuna si risparmia troppo (fa la furba), l’olandese – alla ruota – canticchia a mo’ di sfottò.

La pupa ci regala da almeno un lustro l’ebbrezza di rivivere quello che accadeva, tra i fusti, ai tempi di Coppi e Merckx: la dimensione privilegiata di un corridore talmente superiore da imbastire uno spettacolo a se. A Londra 2012, con mezzo gruppo che la marcava, partì a 45 chilometri dal traguardo. C’erano lei e il diluvio, due forze della natura, che impazzavano sul percorso olimpico. La osservavi, una belva, e il pensiero correva alla definizione – ammirata – della Zabelinskaya: “È una macchina”. Quella volta Vos aveva preparato i Cinque Cerchi alla sua maniera, stravincendo il Tour en Limousin: infilandosi in ogni attacco scavò un abisso in classifica (14 minuti). Quattro anni prima, a Pechino, l’oro fu nell’individuale a punti. Del resto è lo stesso mostriciattolo che, nel 2011 al Giro, in rosa, lasciò sui pedali Emma Pooley a poche centinaia di metri dalla vetta del Mortirolo. Si tuffò a tomba aperta in discesa, mettendo in seria difficoltà la moto ripresa della Rai. Per dirla tutta, non sono molti i maschietti che – tecnicamente – le stanno appresso. Guida il mezzo da crossista sopraffina, con le mani sulle manopole dei freni, e dipinge le curve con una sicurezza disarmante. Trattasi dell’esempio più felice dell’approccio multidisciplinare all’universo bici; la mancia è un patrimonio genetico rarissimo, basterebbe osservare i suoi cambi di ritmo sugli strappi, autentiche rasoiate.

Un ciclismo che relega il movimento donne alle brevi non ha futuro, sportivo e commerciale. Non comprende che le loro imprese atletiche sono ormai essenziali nel comporre l’immaginario di un mondo nuovo. È stata soprattutto Vos a colmare lo scarto, impercettibile, che ha concluso l’evo delle pioniere e iniziato l’era moderna. Se siete pazienti, la più grande ciclista di tutti i tempi è capace di creare, improvvisandolo, uno scenario epico. Corsa rosa 2013, Marianne – al terzo dì, con le insegne del primato addosso – sapeva benissimo – reduce da una bronchite – di non avere le gambe per la generale. Allora, nella frazione attorno al Parco Nazionale d’Abruzzo, decise di tirare il collo a tutte. Scattò sul primo gpm, appena dopo la partenza, e proseguì in picchiata (folle). Tiffany Cromwell, con un numero da circo, riuscì ad unirsi: nemmeno l’arrivo fosse dietro l’angolo, imbastirono un Trofeo Baracchi o una specie di Merckx e Petterson 1972. Il plotone, a pezzi, che rincorreva à bloc e le due, trenta secondi avanti, pancia a terra. L’epilogo fu straordinario, nel pomeriggio che si avvistò pure un orso marsicano osservare le cicliste (sic), l’australiana – sull’ottovolante – cadde seguendo le evoluzioni spericolate di Marianne. Al Castello di Cerro Volturno, cinquecento metri con un tratto al venti percento sul porfido, la Vos giunse solitaria: ottantacinque chilometri di fuga, le velociste a mezz’ora. Due giorni dopo, salendo il Monte Beigua, la Cannibale pagò dazio; però quella tappa rimarrà un capolavoro.

Il prossimo (l’ultimo?) obbiettivo si chiama Rio 2016, con l’accoppiata impossibile strada e mountain bike: citando l’occhialuto Clark Kent, questo è un lavoro per Marianne Vos… Il sogno è di vederla, smesso l’agonismo, presidente Uci. Perchè quando parla dice cose intelligenti, di buon senso, ed è carismatica. Intanto ce la godiamo ancora col numero appiccicato sulla schiena, in una Rabo Liv con la (presunta) erede, Pauline Ferrand-Prévot, al fianco. Vos, nell’illustrare la massima espressione, l’eccezionalità, dello sport femminile, ha raccolto il testimone dalla venusiana Yuna Kim. Non sappiamo quando e a chi lo passerà: qualche mese fa ci siamo imbattuti in un ologramma diciassettenne, Morgan Lake, che spiegava l’eptathlon alle avversarie (e a noi). La stirpe ci sembra la stessa… Tocchiamo ferro.

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