A chi serve Nanchino

12 Agosto 2014 di Stefano Olivari

I Giochi Olimpici giovanili non sono già di per sé una grande idea, ma quelli che sabato inizieranno a Nanchino rischiano anche di creare situazioni da simil-guerra. Non è un caso che il comitato olimpico giapponese abbia raccomandato ai suoi atleti di girare per le strade il meno possibile e, nel caso proprio non ne potessero fare a meno, di non indossare tute o altri segni che possano subito farli identificare come giapponesi. Tutto si può inquadrare nella considerazione che il nazionalismo sia uno dei pochi collanti credibili per un paese come la Cina che viaggia al suo interno a diverse velocità, con aspetti mostruosi di comunismo e capitalismo (ma Romano Prodi e quelli come lui la pensano diversamente, avranno i loro motivi: del resto anche noi, dall’alto dei nostri iPhone lì assemblati, non possiamo impartire lezioni). E il nazionalismo si nutre del passato, meglio se di un passato da vittime. Il riferimento al massacro di Nanchino è scontato: il periodo alla fine del 1937 e all’inizio del 1938 in cui l’esercito giapponese massacrò un numero difficilmente quantificabile di abitanti di quella che all’epoca era la capitale cinese: al bar degli storici, anche di quelli cosiddetti seri, vale ogni cifra, ma anche quelli giapponesi stimano in circa 200mila le persone uccise, torturate e stuprate (spesso tutte e tre le cose) durante i 2 mesi più senza dubbio più vergognosi della storia del Giappone. Con dettagli che risparmiamo (le fonti non mancano, partendo dagli occidentali all’epoca residenti a Nanchino) ma che sono competitivi con il trattamento che i musulmani dell’Isis stanno riservando a yazidi e cristiani (e non solo a loro). Niente che l’Italia, perlomeno quella parte d’Italia che ha visto il peggio della Seconda Guerra Mondiale, non abbia visto con i propri occhi. Però da noi i tedeschi, a maggior ragione gli atleti tedeschi, circolavano senza paura già pochi anni dopo la fine del conflitto. In altre parole, siamo più civili del 99% del resto del mondo e dovremmo ricordarcene più spesso senza sudditanza psicologica nei confronti di culture che possiamo tranquillamente considerare inferiori e che non hanno alcun rispetto nei confronti della nostra.

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