Cosa ci siamo persi con Howe

5 Agosto 2014 di Stefano Olivari

Il declino di Andrew Howe non è dato tanto dai tempi sui 200 metri o dalle misure nel lungo (che di fatto ha abbandonato, condizionato com’è dalle due operazioni al tendine d’Achille sinistro con tutto ciò che ne è conseguito), ma dal suo aspetto fisico fin troppo curato e dalla serena accettazione della sua condizione attuale. Come a dire: ho fatto tutto il possibile per tornare quello di prima, ma non ce la faccio. Peccato, perché l’atletica italiana un talento così puro non l’ha mai avuto e perché in questo sport non esistono il gol fortunoso o l’aiutino arbitrale. Di più: non esiste la fortuna, ma solo la sfortuna. Il 21”00 di Pergine Valsugana (a questa gara si riferisce il video qui sotto), arrivando secondo dietro a Demonte, colpisce non solo per il tempo quasi uguale a quelli che otteneva da allievo (il suo personale rimane il 20”28 dell’oro ai Mondiali juniores di Grosseto 2004) e di 22 centesimi superiore a quello recente a Rieti, ma anche per l’azione nel rettilineo finale. Più spenta da ‘luce spenta’ (Howe ha usato proprio questa espressione) che imballata da super o sotto-allenamento. Insomma, addio Europei di Zurigo (rimane la speranza per la staffetta) e a 29 anni punto interrogativo sul futuro. Che difficilmente andrà oltre i Giochi di Rio, o almeno il sogno di parteciparvi. Il professor Vittori sostiene da anni che Howe sia un duecentista naturale, che può fare grandi cose anche nei 400, ma è anche vero che da sano al 100% una medaglia importante la più vincere solo nel lungo: in questo senso la scelta con la vituperata mamma Renèe (sua allenatrice anche quando vinceva l’oro europeo 2006 a Goteborg o l’argento mondiale 2007 ad Osaka) era stata la scelta di uno che pensa in grande. Pochi ricordano che l’8,47 di Howe, o anche meno, sarebbe bastato per l’oro sia ai Giochi Olimpici del 2008 (Saladino 8,36) che a quelli del 2012 (Rutheford 8,31), oltre che per quello mondiale del 2011 (Phillips) e gli argenti 2009 e 2013. Ecco che cosa ci siamo persi: il più grande atleta italiano ogni epoca. Non Carl Lewis, ma un campione di livello mondiale del lungo che nella velocità poteva fare bene in Europa. Per questo vivacchiare ai margini dei 200 metri, magari anche avvicinandosi ai livelli di un tempo, o vagheggiare il passaggio ai 400, significa purtroppo ormai poco.

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