Etica ed estetica di Diego Simeone

24 Maggio 2014 di Stefano Olivari

Tutti i dirigenti, gli allenatori e i giornalisti che spiegano le sconfitte solo attraverso il fatturato dei club stasera tiferanno contro l’Atletico Madrid di Diego Simeone. Che nell’ultimo anno ha avuto entrate che sono un quarto di quelle del Real Madrid, per non parlare delle situazioni di mercato che anche questa estate lo costringeranno a privarsi di uno dei suoi gioielli: uno fra Diego Costa e il portiere Courtois, a seconda dei desideri del Chelsea eliminato in semifinale. Mourinho ha già indicato la sua preferenza per l’attaccante, probabile quindi che il prestito di Courtois venga prolungato di un anno. Scenari che oggi hanno un interesse pari a zero per Simeone, che dopo il pareggio-impresa al Camp Nou di sabato scorso ha festeggiato senza il freno tirato la vittoria in una delle più incredibili edizioni della Liga di tutti i tempi.

Dei giocatori del Real si conosce tutto, così come del gioco di Ancelotti. Il quale usa il contropiede come Mourinho nel triennio 2010-2013, ma rispetto al suo predecessore gode di buona stampa e di un Bale al quale è difficile anche fare fallo. Il terzo posto in campionato è stato vissuto da Florentino Perez come una enorme delusione, lo ha affermato lui stesso nello scorso fine settimana a Milano quando ancora non pensava di perdere da strafavorito la finale dell’Eurolega di pallacanestro contro il Maccabi Tel Aviv. Fare il bis, in tutti i sensi, contro l’Atletico, costerebbe quasi certamente la panchina ad un Ancelotti che qualcuno (Galliani, ma tutto sommato anche Berlusconi) rivedrebbe volentieri sulla panchina del Milan al posto di Seedorf.

Non ha più segreti nemmeno l’Atletico, anche perché i suoi giocatori veri sono così pochi che ormai chiunque conosce le loro caratteristiche a memoria, un po’ come nel mitizzato calcio di una volta. Un grande portiere e due difensori centrali come Miranda e Godin permettono di resistere a qualsiasi assedio e dominare sui calci piazzati, mentre il resto è affidato agli estri di Diego Costa e Villa, al pressing forsennato e sospetto (ma vale per tutto lo sport spagnolo) dei vari Koke, Gabi, Arda Turan e Raul Garcia, ad un uso massiccio del fallo tattico. Non è un caso che contro le piccole l’Atletico abbia sofferto tantissimo, salvando la pelle dopo il periodo di flessione seguìto all’uscita dalla Coppa del Re (con il Real, fra l’altro). E chiudendo ancora in flessione, visto che nelle due partite di Liga prima dell’impresa in Catalogna l’Atletico aveva perso con il Levante decimo in classifica e pareggiato con il Malaga undicesimo.

Tutto sembrerebbe giustificare una sconfitta con onore a Lisbona, tutto tranne la personalità di Simeone. Uno che si è appassionato al calcio a otto anni, seguendo in televisione la vittoria nel Mondiale casalingo dell’Argentina. Quel clima da battaglia, anche senza bisogno della giunta militare allora al potere, lo ha subito affascinato ancora più del gioco. Non a caso un giocatore che ha sempre preso a modello, non come ruolo ma come carattere, è Daniel Passarella. Vive di calcio, Simeone, al punto che a tutti i suoi tre figli è stato predetto un futuro da professionisti. Il primogenito, Giovanni, ce l’ha già fatta: attaccante di riserva nel River Plate guidato da Ramon Diaz, che proprio domenica scorsa ha festeggiato il titolo argentino. Sei anni dopo il ‘Clausura’ vinto con Simeone padre come allenatore…

Probabile che entro un paio di stagioni Giovanni finisca in una squadra europea migliore del Pisa in cui suo padre arrivò nel 1990 dal Velez Sarsfield. Il web era all’epoca cosa solo per università e militari, così Simeone era convinto che nella squadra toscana avrebbe trovato Larsen, nel senso del grande attaccante danese Elkjaer, mentre invece si ritrovò con un altro Larsen, il centrocampista Henrik, anche lui danese ma meno quotato. Uno dei suoi aneddoti preferiti, probabilmente inventato come tutti i migliori aneddoti sono (comunque Henrik Larsen avrebbe vinto l’Europeo 1992 da titolare), insieme a quelli sulle prese in giro che gli italiani riservavano al suo abbigliamento, definito simpaticamente ‘da emigrante’: Simeone le ha prese così male che adesso a 44 anni è diventato quasi un fanatico della moda, forse anche spinto dalla fidanzata in carica, che ha un’età non lontana da quella di Giovanni. I ‘simeonologi’ invitano però a non escludere la millesima riconciliazione con la moglie Carolina, piccola ma energica, che già ai tempi dell’Atletico Madrid del precedente titolo, con Simeone in campo (stagione 1995-96), aveva risposto in maniera adeguata alle infedeltà del ‘Cholo’ (soprannome intraducibile, ma che più o meno significa ‘meticcio’).

Altro aneddoto del Simeone compagnone da cena è quello del suo passaggio dal Siviglia (dove giocò anche con un Maradona agli ultimi fuochi) al Real Madrid, saltato perché lo pseudo-poeta Valdano non amava il suo calcio da battaglia e all’ultimo momento gli preferì il più classico Redondo. E agli amici che gli chiedono perché in panchina si agiti tanto, perché non sta calmo come Guardiola, lui ricorda che i gesti gli servono per farsi intendere da Arda Turan, che non capisce una parola di spagnolo. Molto divertenti anche i racconti privati del suo rapporto con Ronaldo, che fu la causa del suo allontanamento dall’Inter insieme all’arrivo di Marcello Lippi.

Al di fuori delle battute e delle sue passioni meno conosciute (su tutte l’astrologia, di cui è fanatico), Simeone ha un’idea di calcio molto forte e originale. Prima di tutto è contro il possesso palla, non per umiltà ma proprio a livello teorico. Secondo lui solo con centrocampisti fenomenali e forse nemmeno con loro si può trovare un varco in una difesa chiusa, quindi è inutile scimmiottare il Barcellona se non hai Xavi e Iniesta. È anche un’idea fissa di alcuni suoi maestri, primo fra tutti Carlos Bilardo. L’allenatore campione del mondo 1986 e vicecampione 1990 pretendeva che anche Maradona stesse dietro la linea del pallone, pur non essendo così ottuso da farlo pressare come gli altri nove giocatori di movimento. Simeone è poi convinto che le squadre abbiano una loro identità, che prescinde dai giocatori attuali e che viene conservata nella memoria dai tifosi: un fan del Barcellona ama un calcio diverso rispetto a uno del Boca o della Lazio. Il DNA dell’Atletico, secondo lui, è quello della battaglia e del contropiede. Altra idea forte di Simeone è l’organizzazione sui calci piazzati: lui può tollerare una disfatta, contro una squadra superiore, ma non di prendere gol da calcio d’angolo o peggio ancora per una punizione battuta dalla tre quarti. La più fissa delle idee fisse è però l’intensità che pretende da ognuno in ogni fase del gioco, che spesso si traduce in violenza e intimidazione scientifica. Cristiano Ronaldo potrà anche seppellire di gol l’Atletico, ma di sicuro dopo il primo dribbling gli converrà passare il pallone.

(pubblicato sul Giornale del Popolo di sabato 24 maggio 2014)

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