La lotta fibrillante di Eugenio Finardi

14 Febbraio 2014 di Paolo Morati

Fibrillante

Quindici anni tra un disco di inediti e un altro sono parecchi. Se però servono a produrre un buon lavoro allora vale la pena attenderli. È quanto ci sentiamo di dire dopo aver ascoltato Fibrillante, il nuovo disco di Eugenio Finardi che riprende in mano la sua vena lirica più politica (nel senso di osservazione e critica sociale) affiancandola a un sound che mette insieme antico e moderno grazie all’aiuto di Max Casacci dei Susbonica e di un gruppetto di altri compagni d’avventura come Manuel Agnelli degli Afterhours, Giovanni Maggiore, Vittorio Cosma, Patrizio Fariselli. Il tutto dando vita a un concentrato di per sé poco radiofonico (proprio lui che cantava La radio, ma era un’altra epoca in tutti i sensi) dove il contenuto non cede alla forma, per un lavoro compatto, ben cesellato, che si apre in modo spiazzante, quasi a riportaci indietro di 40 anni, l’epoca in cui Finardi metteva sul piatto album come Sugo o Diesel.

“Ho bisogno di rispetto, di pace e tranquillità… di avere un ruolo e un posto nella società… sicurezza nel futuro” afferma Finardi nel brano di apertura, Aspettando, facendo già capire quelli che saranno i temi dominanti delle dieci tracce di Fibrillante. C’è infatti molta denuncia sociale, “hanno vinto i culi stanchi, gli arrivisti, gli arroganti che più falsi non ce n’è” (Come Savonarola), invettiva contro qualunquismo e arrivismo, dove il cantautore italoamericano non si arrende a una visione del mondo che non ha mai digerito. Non mancano i momenti più dolci e personali (Lei s’illumina, Fortefragile, Le donne piangono in macchina), ma è ancora denuncia in Cadere Sognare (tra posto fisso, muto, delocalizzazione e licenziamenti) o La storia di Franco (il racconto di un nuovo povero, padre separato che osserva di nascosto la figlia uscire da scuola).

E ancora “Ogni idea di cambiamento tu la spegnerai… una causa nobile è una poesia, tu resti immobile, io volo via… non rischi mai”. Questa l’accusa che Finardi fa al Moderato della omonima canzone, precedendo il finale di Me ne vado dove l’invettiva si fa ancora più decisa e sonoramente acida, parlando dell’incremento esponenziale delle diseguaglianze sociali, l’impoverimento delle classi medie, e la figura dei super ricchi. Una situazione la cui miccia sarebbe (questa la posizione dell’autore) stata innescata negli anni ’80 (epoca in cui lui produsse anche lo splendido Dal blu) con l’avvento di Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Insomma, Fibrillante si delinea come un album certamente poco accomodante (e scomodo), faticoso nelle storie che racconta, prendendo una posizione netta rispetto alla situazione attuale, non concedendo spazio alle giustificazioni e agli appelli. Per confrontarsi e discutere.

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