La fame di Belinelli

15 Febbraio 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni fra cardamomo e cannella, succo d’arancia e di limone, sapore di zenzero, tristezza dell’anima aspettando che passi il feretro di Gianni Asti, maestro di basket, voce nella notte del nostro basket che riconosce tutti i cialtroni, ma fa una grande fatica ad inchinarsi davanti a chi ha dato davvero tanto a  questo gioco, all’educazione del gioco, della vita in comune, alla cura dei fondamentali. Benedetti siano i re magi guiudata da Ossola, Meneghin e Rusconi che solo pochi giorni fa hanno portato a Niguarda il “premio” alla carriera di chi era  entrato nella casa della gloria 4 anni fa. Certo che c’erano quasi tutti i suoi “ ragazzi”,  gli volevano bene, anche quando lo prendevano in giro, ma fuori, dentro il campo si lavorava. Per lui siamo andati a Spoon River.

Mi prese la forza minuto per minuto

Mi prese la vita ora per ora

Mi risucchiò come una luna febbricitante.

Questa era la sua Robur et Fides.

A lui brindiamo con sakè, miele, pompelmo e rum bianco, risparmiandoci il purè di barbabietole.

Appuntamento nel guado dell’Europa che ha tormentato quasi tutte le nostre squadre italiane, soprattutto l’Emporio Armani che a Barcellona ha iniziato la vera fase cesariana di assalto agli imperi deboli dopo il bagno nel sale di Sassari quando più del digiuno poteè la fame di gloria personale. La difesa. E’ caduta quando sono venute meno energie fisiche per guardare Oleson. Chi doveva occuparsi del giocatore nato in Alaska? I cattivi dicono Langford per nascondere che è stato l’attaccante migliore. Ci è piaciuta l’Armani catalana. Se il Barcellona è imbattuto anche se cinguetta intorno a pastina Tomic, se si illude con gli occhi di Nachbar e la golosità del Navarro che ci piace già meno del ragazzo Abrines, un ’93 che non se la tira come i coetanei italiani, se dobbiamo credere a certe vittorie risicate del CSKA, dello stesso Real degli ultimi tempi, delle greche più che delle turche, be’ allora caro popolo Olimpia faresti male a non sostenere il progetto Banchi, anche a Desio (cara Milano europea, ma vedi come sei conciata?). Lasciamo perdere tutto il resto, certa gente la riconosci al primo brindisi fasullo, perché non vediamo avversari invincibili oltre questa danza fra chiodi  di garofano andati di traverso in coppa Italia e le ciliegie marinate nel cognac che sono state portate nella secondaria di quello che è il rudere del Palalido.

Siamo con gli indignados alla Peterson? Siamo con chi non ha bisogno dell’etichetta ultras per andarsi a godere lo sport, siamo per chi fa il tifo a favore e mai contro, siamo per chi non si fa prendere in giro da giocatori allevati a latte e miele, quelli che alla guerra vorrebbero stare in fureria fino al giorno delle premiazioni. Non accettiamo il “senti chi parla” per vincere la battaglia che la pallavolo ha già celebrato tante volte. Ironia, non c’era pace fra Modena, Parma e poi Ravenna, Treviso, nelle isole vecchie  e nuove da Roma a Milano, ma chi porta un ragazzo al volley non lo trova mai insoddisfatto per quello che c’è fuori dal rettangolo di gioco. Il basket, accidenti, è bellissimo anche dentro quel rettangolo se lo giochi con passione, se mandi al diavolo i perforatori di legno capaci di sfinire in un palleggio interminabile qualsiasi paziente  sostenitore della bellezza degli sport di squadra sublimato dal sostegno, dal gregariato. Chi scrive e commenta  si bagna alla prima circolazione di palla un po’ logica. Poi strabuzza gli occhi per le invasioni barbariche dei “cattivi” allo zucchero filato che  sfruttano lo scontro col più basso o il più alto. Ridere per non farvi gettare nella gora profonda.

Arturo Kenney ci manda delle foto trovate nell’archivio di Jim McGregor, uno dei padri fondatori della scuola tecnica italiana, trovate nelle cantine del grande rosso. E c’è quella del relaxing romano con Riminucci, Gambini, Sardagna che ci fa capire come eravamo belli quando credevamo di essere soltanto piccoli. Dove trovate le foto? Chiedere ad Arturo in New York, ve le manda  via Internet.

Ci è piaciuto il Brugnaro da combattimento contro chi pensa davvero che passione sia libertà d’insulto. Lui ha fatto quello che Milano e  tutte le altre società si sono guardate bene dal fare. Ha chiesto di poter discutere, pronto a combattere, magari a lasciare. Ora è lui il portavoce verso il mondo mediatico dove girano da troppo tempo i fenomeni da baraccone che dalle origini della nostra professione ti mandano via dicendo “che non sappiamo cosa vuole il pubblico”.

Sarebbe normale avere il basket nei notiziari televisivi, sulle pagine dei giornali. E’ uno sport che ha un discreto seguito di pubblico pagante, non ce ne sono poi così tanti, ma per ripicca, per incapacità, per noia, non lo trovi. Chi non ha le dirette dice che lo fa per  scelta aziendale. Giornalismo da processi nella contea di Gotham sport. Chi ha basket americano spiega che basta ed avanza. Sono gli stessi del canestro sputato. Chi ha redattori cannibali su tanti sport finge di non essere stato informato. Noi pensiamo che il bombardamento deve arrivare dalla Lega e Minucci questo lo sa bene, perché il suo staff  che lavora o lavorava per la stampa dal Cappelli all’Ylenia e al Riccardo, adesso team manager, ha sempre cercato di far capire, amare una società che  vincendo così tanto era diventata più che odiosa. Ai tempi del lavoro in Gazzetta  come responsabili della rubrica di atletica abbiamo goduto e sofferto il pressing di Augusto Frasca nell’epopea nebioliana. Era un marcamento anche più feroce di quello che vuole Banchi sul campo. Ma tutti reagivano,  capivano, non ti congedavano dicendo “ uffa che barba”.

Per tornare all’eurolega chiedeteci perché Justin Dentmon, 3 partite a Milano,  è diventato per la seconda volta giocatore della settimana pur dovendo soffrire le miserie tecniche di Kaunas. Perché qui si fa in fretta a far fuori giocatori che meriterebbero almeno qualche controprova come avveniva quando le società non erano alberghi a ore.

Siamo nemici delle partite al lunedì e di quelle in diretta TV alle 20.30 della domenica.  Ma continuano. Peccato.

Da quando Forbes ha scritto che Bargnani è il giocatore NBA più pagato in proporzione ai minuti giocati ci siamo bevuti vino rosso di Syrah perché eravamo quasi convinti che non tutto l’oro del paradiso tranquillo ha lo stesso peso e valore, perché non tutto quello che luccica conta davvero.

Siamo contenti di aver sbagliato quasi tutto su Marco Belinelli che per noi era un grande talento in mano a Repesa e avrebbe avuto bisogno di un paio di stagioni ancora prima di cercare fortuna americana. Felici che riconosca in San Francisco l’unico posto che un vero europeo può frequentare negli Stati Uniti, perplessi per questa smania dell’acquisto che prende quasi tutti e poi questa idea delle magliette comperate, mai messe  ci fa tristezza. Per diventare quello che è oggi è stato guidato dall’orgoglio e dalla fame del gioco ad alto livello. Se la tenga quella fame. Migliorerà ancora.

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