La generazione della Schild

1 Gennaio 2014 di Simone Basso

In un pomeriggio umido in quel di Lienz, poco adatto adatto alle cartoline natalizie, Marlies Schild si riprende tutto o quasi. Strano destino quello della fidanzata di Benny Reich: su un pendio che ricorre spesso nella sua odissea personale, di fronte al suo pubblico e opposta a un’avversaria che è – senza alcun dubbio – l’erede designata. A trentadue anni, correndo verso i trentatre, i primati battuti si sprecano: dieci giorni fa, a Courchevel, era già la slalomista meno giovane (..) a essersi imposta in Coppa. Stavolta, al trentacinquesimo sigillo, sorpassa un’altra grandissima della specialità (Vreni Schneider) nel computo totale delle vittorie.

La seconda manche è un manifesto dell’eccezionalità di Marlies. Difatti è stato il festival del cloruro di sodio, necessario per evitare che la pioggia si divorasse la neve. Il fenomeno che nacque ad Admont è stata l’unica che, nella nebbia e su un manto spaccato dalle temperature alte, abbia interpretato il pendio à bloc. Non l’ha fatto nemmeno la prodigiosa Shiffrin, prima con sessantanove centesimi di vantaggio sull’austriaca al mattino, troppo trattenuta nell’azione, quasi impaurita dalle condizioni estreme del tracciato. Il privilegio, raro, è di assistere a una rivalità generazionale (quattordici anni di divario anagrafico!) tra due campionissime dei pali stretti. L’americana così leggera, performante, scorrevole; l’austriaca un mix impossibile di agilità e potenza, reattività e forza. Schild si prende lo scalpo nel tratto finale, sul muro che butta le atlete al traguardo, scavando un abisso cronometrico (1″10 la separerà da Mikaela nel parziale della seconda prova) che racconta il suo stato di grazia.

Spiegare la bionda Marlies, quella voglia matta di riscatto, significa ritornare indietro almeno di un decennio, alla generazione d’oro del wunderteam rosa. L’era di Goetschl, Meissnitzer, Dorfmeister, Obermoser, Hosp… La sorella della promettente Bernadette cominciò velocista e dovette, dopo svariate operazioni chirurgiche alle ginocchia prima dei vent’anni, convertirsi alle discipline tecniche. Rimase competitiva ovunque, infatti nel Circo Bianco è salita sul podio anche in discesa e in SuperG, ma è diventata fuoriclasse nello speciale. La parabola ascendente, irresistibile, a un passo dal cristallo della generale nel 2007, si interruppe a causa di un incidente: sul Rettenbach, nell’Ottobre 2008, in allenamento, si ruppe tibia, perone e piatto mediale della gamba sinistra. Un anno di assenza, molte incertezze sul futuro agonistico, e un rientro clamoroso, prima a Levi (altra località chiave nel racconto..) con un sesto posto, poi a Lienz, il 29 dicembre 2009, con il primo trionfo della nuova (…) carriera.

La serie in slalom, al netto delle (poche) uscite, ebbe dell’incredibile: fino al Marzo 2012, nelle competizioni portate a termine, venti podi, sedici successi, un oro mondiale e un argento olimpico. Così, nel Dicembre 2012, quando si seppe dell’ennesimo grave infortunio, a Levi nel riscaldamento pre gara, abbiamo tutti pensato all’epilogo di una vicenda sportiva gloriosa. Eppure, malgrado la rottura del legamento interno del ginocchio destro, le stampelle, il tutore, le ricadute, è tornata ancora fortissima… L’obiettivo, dichiarato ma non troppo, è chiudere il cerchio a Sochi 2014 per colmare l’unica lacuna nel palmarès, l’oro olimpico. A Febbraio dunque il rendez vous, un appuntamento che comunque vada non modificherà la percezione storica e tecnica di Marlies. Un fenomeno assoluto, affiancabile – nell’Olimpo dello slalom speciale femminile – solamente dall’indimenticabile Lise-Marie Morerod (chissà quanto avrebbe vinto senza quello schianto automobilistico..) e dal furore – a quattro ruote motrici – di Vreni Schneider. Forse pure dalla classe di Erika Hess.

In attesa che Shiffrin, dopodomani, diventi ingiocabile, ci godiamo (noi e l’Atomic..) lo spettacolo delle duellanti. Sembra ieri, quando la Schild si impose nella sua prima gara internazionale: era invece il Gennaio 2004, al Sestriere, un’enormità temporale se pensiamo ai cambiamenti tecnologici e stilistici avvenuti – nel pianeta dello sci alpino – negli ultimi due lustri. Qualcosa che ci fa comprendere ancora meglio l’unicità della campionessa.

(per gentile concessione dell’autore, fonte: Il Giornale del Popolo di martedì 31 dicembre 2013)

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