Ripassando Clerici

13 Settembre 2013 di Stefano Olivari

Siamo riusciti nell’impresa di annoiarci leggendo un libro di Gianni Clerici. Ecco, l’abbiamo detto. Il suo Wimbledon – Sessant’anni di storia del più importante torneo del mondo, uscito qualche mese fa per Mondadori, è come dimensioni (700 pagine) un librone di quelli che ci si trascina con affetto per tutta l’estate ma sconta tutti i difetti delle raccolte di articoli. Primo fra tutti che questi pezzi sono già stati letti, se si segue (come nel nostro caso Clerici) l’autore praticamente da quando si è nati. Ma non sarebbe nemmeno questo il punto, perché parte degli articoli pubblicati (quelli del Giorno diretto da Italo Pietra, con la storica redazione sportiva dei Brera, dei Signori e dei Fossati), quasi tutti riguardanti il torneo di tennis più prestigioso del mondo, non li avevamo per motivi di età mai letti, pur avendo letto degli stessi temi dalla stessa penna in anni più recenti. Il punto è che il giornalismo, anche il grande giornalismo come quello di Clerici, vive di presente e nel presente. Nel caso dello sport, che divora i suoi protagonisti a ritmi superiori a quelli di qualsiasi altro settore, il discorso va poi elevato al cubo.

Per questo è stata intelligente la scelta di inserire qua e là alcuni testi di collegamento, per inquadrare il momento storico o sintetizzare le vite e il senso di molti campioni. In altre parole, il ‘vero’ Clerici è quello della parti di collegamento che scrive per i lettori di adesso, non quello storicizzato e da lasciare magari agli allievi delle inutili scuole di giornalismo (‘Vuoi diventare teleradiocronista sportivo?’… da qualche settimana il nostro parrucchiere ha però sostituito il manifesto di questa ‘scuola’ con la pubblicità delle sigarette elettroniche con Emanuele Filiberto di Savoia testimonial). Riesce lo stesso a emozionare con il racconto della sua prima volta a Wimbledon, da bambino al seguito del padre e dell’amico Lord Hambury (chiari echi dei suoi romanzi…) e con particolari fulminanti che rivelano la personalità dei tennisti: sinceramente appassionato di australiani, Ken Rosewall su tutti, la devozione dello Scriba va ovviamente a figure femminili: dalla Divina Suzanne Lenglen a Venus Williams, passando per le grandi e nella grandezza sfortunate Maureen Connolly e Monica Seles. 

E’ comunque interessante osservare tre distinte epoche del giornalismo sportivo italiano attraverso l’evoluzione degli articoli di Clerici. La prima, doverosamente cronachistica (niente televisione né web) e con qualche considerazione tecnica, durata fino all’inizio degli anni Sessanta. La seconda più critica: centrata sulla politica sportiva e sull’aspetto tecnico del gioco, permette al giornalista (quando è capace) di far capire al lettore il senso di un evento. Si arriva alla fine degli anni Settanta, quando la svolta palumbiana alla Gazzetta sortisce i suoi effetti anche sugli altri giornali: focalizzazione sui personaggi, con interviste o ritratti, storie a margine degli eventi e con il dovere di essere curiose. Trattandosi di fenomeno, Clerici eccelle in tutte e tre le fasi ma è ovviamente nella seconda (la più… giornalistica) che riesce ad essere interessante anche nei confronti di chi segue superficialmente il tennis ma è interessato invece al mondo. E si capisce perché nel corso degli anni sia diventato uno dei pochi giornalisti sportivi capaci di spostare copie, come gli disse una volta Eugenio Scalfari notando che durante i grandi tornei di tennis Repubblica registrava sempre un aumento di vendite significativo. E quindi? Chi segue il tennis da pochi anni deve assolutamente leggere questo libro, che spiega le trasformazioni di uno sport diventato davvero credibile solo a partire dall’era Open e cioé dal 1968. Chi è più anziano, in ogni senso, può entrare nella logica del ripasso. Di sicuro a 83 anni Clerici ha il fuoco che ancora arde. La sua poesia, intitolata ‘Pallina’ e pubblicata in testa a Wimbledon, spiega tutto di lui e anche un po’ di noi.

Ho passato una vita

a guardare una palla

divenuta nel tempo

da bianchissima

gialla

Rimbalzava leggera

lungo i prati di Wimbledon

risaliva dorata

sopra i tigli di Auteuil

nei tramonti vermigli

di stadi affascinati

che credevano che

fosse il campione il re

Ma cosa resterebbe

della Divina e Tilden

di McEnroe e Martina

senza quella pallina

Mi dicono persone

affacendate e colte

come hai fatto a sciupare

le tue doti native

per una vita vana

Sarà avranno ragione

forse a ciascuno tocca

una sua religione

Conclusione? Da clericiani di mezza età ci saremo anche annoiati a rileggere i suoi vecchi articoli. Ma cazzo, che bravo.

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