L’età di Gary Shaw

4 Febbraio 2013 di Paolo Sacchi

Le repliche delle maglie indossate da Gary Shaw e Tony Morley nelle straordinarie stagioni dei trionfi nel campionato inglese e in Coppa dei Campioni sono allineate tra i saldi nei negozi di souvenir in città. Per quanto non originali, appaiono splendide come i ricordi di un’epoca che, per l’Aston Villa, ogni giorno sembra allontanarsi più di quanto certifichino le date impresse sulle divise.

Tutto è cambiato da quel trionfale biennio tra il 1980 e il 1982 in cui il club colmò un vuoto di settant’anni dall’ultima vittoria della Football League, suggellando in Europa la propria gloriosa storia di membro fondatore della lega calcio inglese. A partire da Birmingham, città in perenne evoluzione. Il ‘centro storico’, il Bullring, talvolta vittima e altre volte beneficiario del lavoro degli architetti, ha un nuovo volto. Modernissimi edifici in gran parte destinati allo shopping hanno spazzato via molta di quell’edilizia oscena che tanto successo riscuoteva negli anni sessanta. Nella tradizione locale dell’accoglienza e delle opportunità è anche cambiato il tessuto sociale. Il milione di abitanti del territorio urbano oggi è composto per un abbondante terzo da immigrati da Paesi del Commonweath. Tra centri culturali sikh, ristoranti tandoori, moschee, macellerie halal e parrucchieri afro-giamaicani, interi quartieri ora sono popolati da persone originarie della regione indiana, dei Caraibi o dall’Africa.

Non poteva non cambiare dunque anche Villa Park. Pur nel rispetto della tradizione, è stato ristrutturato come tutti gli impianti britannici: Di certo meno allegro è il momento attuale del club, il cui proprietario ora è un americano, che fatica a mantenere il proprio posto nella massima divisione. Per carità, quella serata al Kuip di Rotterdam del maggio 1982 a dire il vero non è stata l’ultima a far felici i tifosi claret & blue. Da allora nella bacheca dei trofei esposti nella tribuna di Trinity Road si è dovuto trovare spazio per far posto a un altro paio di Coppe di Lega. Niente a che vedere rispetto ai successi firmati da Dennis Mortimer e compagni, questo è chiaro. Anzi, stagione dopo stagione si allontanavano non solo nel tempo ma soprattutto nelle potenzialità di una società che sta vivendo da un paio di settimane un periodo sportivamente terrificante.

Dal 1982 è anche cambiato il calcio: per vincere la Division One nel 1981 Ron Saunders utilizzò quattordici giocatori in tutto. Quattordici in quarantadue partite. Quest’anno Paul Lambert, con gli ultimi innesti del mercato di gennaio, ne ha schierati il doppio in metà gare. Altri tempi, si dirà. Di certo nell’ultimo bimestre una serie di sconfitte in Premier, tra cui uno 0-8 col Chelsea alla vigilia di Natale, oltre a togliere l’appetito in vista del tacchino arrosto ha fatto scivolare il Villa in una posizione ai margini della zona a rischio. Come si suole dire, talvolta al peggio non c’è limite e quello che è accaduto nell’ultima decade di gennaio l’ha confermato. Prima l’umiliazione nella semifinale di Capital One Cup, ovvero la Coppa di Lega. A un passo dal ritorno a Wembley, non è bastato un sorteggio favorevole (col Bradford, club di League Two, la vecchia ‘quarta divisione’) e il vantaggio nel fattore campo nel match di ritorno. Quattro giorni dopo, a Millwall, contro un’altra avversaria alla portata, il triste ‘double’ in FA Cup. Cinque sere più tardi, a Villa Park in campionato la visita del Newcastle United rappresenta l’occasione del riscatto in uno scontro diretto. In effetti lo sarà, ma per gli avversari. Imbottiti di neoacquisti francofoni, i Magpies passano per due a uno. I tifosi dei Villans però non scaricano la squadra, che s’impegna con ardore fino alla fine ma ha indubbiamente dei limiti. La applaudono dopo ogni gol subito, la sostengono fino all’uscita dal campo. Applausi di partecipazione, di sostegno e affetto. Due giorni fa con a casa dell’Everton finisce 3-3 con un gol beccato al 90’ in casa: nuovo scivolone ancora in classifica fino al penultimo posto. Non un fischio né un ululato. Non sappiamo se l’Aston Villa retrocederà ma dovesse accadere di certo Agbonlahor e compagni non dovranno scappare con la scorta della polizia, come quelli delle altre formazioni che scenderanno tra i cadetti.

Dunque tutto o quasi è cambiato, a Birmingham, in Gran Bretagna e nel calcio inglese da quel 1982. Dalla denominazioni dei campionati alle sponsorizzazioni dei trofei, dalle maglie coi nomi ai posticipi domenicali, dall’invasione giocatori stranieri ai nuovi stadi senza settori in piedi. Sono cresciuti i prezzi dei biglietti e diventati di carta patinata i programmi delle partite. Sono arrivati presidenti sceicchi, portieri yankee e tecnici italiani. Tutto è cambiato ma non l’atmosfera all’interno degli stadi, l’approccio dei tifosi e la loro passione genuina per il calcio, per la propria squadra. Non a caso in inglese i tifosi sono definiti “supporters’, sostenitori, e non è una differenza da poco. Da Villa Park non abbiamo dubbi: sono loro a rendere unico e irripetibile il calcio britannico, che ancora oggi può vivere del suo presente e non di nostalgie.

Paolo Sacchi, da Birmingham

Share this article