Mai sottovalutare J.R.

30 Ottobre 2012 di Stefano Olivari

Non c’è più il Berlusconi di una volta, né in assoluto nè riferito a Mediaset, dove quello di adesso si chiama Piersilvio ed è lui il primo a non credere nei programmi delle sue televisioni visto che li cancella dopo poche puntate. E’ successo anche con la nuova serie di Dallas, che negli Stati Uniti ha riscosso un successo strepitoso e ben al di là dell’operazione nostalgia, mentre in Italia le prime due serate su Canale Cinque sono state un flop (comunque è stato venduto in 170 paesi, in pratica quasi tutti i componenti dell’Onu). Nella prima, il 16 ottobre, lo share è stato dell’8,27%. Nella seconda, il martedì dopo, anche peggio: 5,72%. Pur con tutte le giustificazioni del caso (concorrenza della Nazionale nel primo caso e della Champions nel secondo, con le mogli che lasciano ai mariti il loro giochino), un disastro anche se certi numeri con mille canali disponibili sono ormai difficilissimi da raggiungere. E così invece di difendere il prodotto lo si è di fatto cancellato dai posti sul telecomando che contano e da stasera lo vedremo (meglio, registreremo) su La 5. Eppure, avendo visto tutto quanto è stato trasmesso finora (in differita, la ‘diretta’ era per The Apprentice), possiamo dire che questo Dallas fuori tempo massimo non è niente male e che continueremo a guardarlo. I protagonisti sono gli stessi, interpretati dagli stessi attori, di trent’anni fa: J.R. Ewing (intepretato da Larry Hagman), suo fratello Bobby (Patrick Duffy) e la sua ex moglie Sue Ellen (Linda Gray). E lo stesso è anche lo straordinario cinismo di quasi tutti i personaggi, onestamente disonestissimi e con l’unica stella polare del tornaconto personale. Niente di diverso dalla vita di tutti i giorni, ma ai tempi e tutto sommato ancora oggi cinema e televisione mettono in piedi una rappresentazione del bene contro il male che è molto rassicurante (non parliamo delle fiction di Rai Uno: lì sono tutti buoni, anche i cattivi alla fine si pentono) e che ha reso Dallas qualcosa di unico ancora oggi, come gusto e sensibilità. Forse a questi livelli solo la fiction sui Borgia, anche se sul finire Papa Alessandro ci si era un po’ ammorbidito, ha elevato il tornaconto personale a unica filosofia di vita. Nel nuovo Dallas l’eterno derby fra J.R. e Bobby continua per interposti figli: John Ross III, che trova il petrolio a Southfork (che però è diventato di proprietà di Bobby per via ereditaria), e Christopher. In mezzo si mettono fidanzate e mogli intriganti, avvocati corrotti, truffatori assortiti, ombre del passato che sempre ritornano perché i morti non sono mai veramente morti. Di culto la scena in cui J.R. si scuote dal suo finto torpore nella clinica dove è ricoverato da anni. Insomma, al netto della nostalgia uno dei pochi telefilm anni Ottanta che ancora oggi sembra ‘avanti’, al di là del fatto che possa piacere o meno. Incredibile che un prodotto simile, prima di raggiungere il successo sul ‘vero’ Canale Cinque, fosse stato trasmesso per qualche puntata dalla Rai democristiana di inizio anni Ottanta. La summa ideologica del reaganismo, non a caso ideata e scritta durante la presidenza Carter, avrebbe poi trovato il successo italiano in una rete ideologicamente coerente: paradossalmente, ma poi nemmeno tanto, il Berlusconi dell’epoca era molto più politico di quello di oggi, che non sapremmo nemmeno come definire (il Bonera o lo Yepes di se stesso, forse). J .R. giganteggiava e giganteggia ancora oggi, in mezzo a trame spesso folli visto che tutti tradiscono tutti e che non c’è mai un punto di equilibrio. Adesso, almeno su Canale Cinque, è stato sconfitto. Ma per lui non è mai finita.

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