L’appendice di Grisham

31 Ottobre 2012 di Stefano Olivari

John Grisham è il secondo più grande divulgatore del baseball nel mondo. Dopo l’immenso Faso, che è riuscito a tenerci incollati allo schermo per World Series a senso unico e senza che ne importasse qualcosa dei Giants o dei Tigers. Aspetteremo l’anno prossimo per chiedergli come mai nella MLB gli stranieri si chiamino ‘foreign’ e nella NBA ‘international’, sono le nostre grandi domande… Scherziamo, negli Stati Uniti ci saranno di sicuro un milione di scrittori o giornalisti capaci di rendere l’essenza di questo sport al di là regole abbastanza facili da spiegare (la moglie media comprende meglio il concetto di fuorigioco passivo del calcio o quello di volata di sacrificio?), ma fuori da lì solo Grisham è riuscito a far leggere un libro sul baseball a nostra madre. Parliamo di Calico Joe, in Italia edito da Mondadori, per cui Grisham usa tecniche del romanzo storico (personaggi di fantasia all’interno di contesti veri, come la MLB del 1973, i Cubs, i Mets, eccetera, che cavalcano la storia reale ma mai la cambiano: la tentazione della storia controfattuale rimane qui una tentazione) e costruisce tutto intorno al grande tema del perdono. Non un perdono cristiano, cioé un perdono in qualche modo dovuto (per un cristiano), ma un perdono che deriva dalla vita stessa e dall’assurdità di trascinarsi pesi nel poco tempo che ci separa dalla sepoltura. A Joe Castle, eroe di Calico Rock, Arkansas, hanno rubato la vita e la carriera (uno schema non originalissimo, va detto) proprio quando sta esplodendo con la maglia dei Chicago Cubs. A farlo è stato Warren Tracey, lanciatore dei Mets e mestierante che osserva rigidamente le leggi non scritte del baseball (un uomo di calcio, se non fosse che il suo sport è il baseball), con una palla che voleva fare male e che invece ha fatto malissimo. In tribuna, allo Shea Stadium, il figlio undicenne Paul che ha Joe Castle come idolo al punto di riempire interi album con i ritagli di giornale che lo riguardano. Una storia familiare come tante, fra alcolismo e botte a chi non si può difendere, che nel corso degli anni diventa indifferenza. Il romanzo ha davvero un ottimo passo nel delineare il rapporto fra padre e figlio, senza nemmeno quei ricordi positivi e protettivi dell’infanzia che ha la maggior parte delle persone. Un rapporto che avrebbe potuto reggersi sulla comune passione per il baseball, come accade (magari con altri argomenti) di solito, ma che proprio il baseball sembra avere spezzato per sempre. Più delle assenze da casa, delle botte alla madre e a lui stesso, delle tante piccole crudeltà. Joe Castle, cioé Calico Joe, non ha dimenticato e del resto nemmeno potrebbe farlo. Appare subito chiaro che il lieto fine del genere glorioso (tipo Il Migliore, con un Robert Redford improbabilissimo, anche se non al livello dello Stallone portiere in Fuga per la vittoria) qui non è possibile, ma che invece è possibile una fine dettata dalla vita stessa. Che è cosa diversa dallo Scurdammoce o’ passato: il male rimane il male anche a distanza di decenni, non è che picchiare un bambino sia la stessa cosa che non picchiarlo. Il Grisham sportivo non è popolare come il Grisham avvocatizio, ma sa tramettere qualcosa ed in fondo ad uno scrittore chiediamo solo questo. Il limite del libro è che molte sue finezze possono essere apprezzate solo conoscendo le regole del baseball ‘prima’. Diciamo ‘prima’ perchè alla fine del romanzo c’è un’appendice che consiglieremmo di leggere a chi non ne abbia mai seguito una partita e che già da sola sarebbe un ottimo manualetto divulgativo: invece di elencare le regole in stile Wikipedia Grisham le applica a una immaginaria partita, omettendo molte cose importanti ma restituendo il senso del gioco. Ecco, l’appendice è da leggere prima del romanzo. Il fatto tecnico non era stato così importante nei suoi libri incentrati sul football, dove le partite erano ridotte al minimo ma soprattutto non avevano il valore metaforico che hanno in Calico Joe. L’ex ragazzo che dopo trent’anni l’ormai quarantenne Paul si mette in testa di far incontrare con l’uomo che ha rovinato la vita di entrambi. Non vince il baseball, non vince l’amore, non vince proprio nessuno. Ma si va avanti.

Share this article