Viltà della caccia alla lepre

19 Settembre 2012 di Stefano Olivari

Voleva ammazzare volontariamente qualche decina di lepri, invece ha ammazzato per sbaglio suo figlio. Stiamo parlando dell’incidente capitato al cacciatore fiorentino che inciampando sul suo fucile ha fatto partire un colpo mortale per un umano. Condoglianze alla famiglia, quelle che non avrebbero ricevuto le famiglie delle lepri di Fiesole, più registrazione burocratica di una morte che se fosse avvenuta in uno stadio di calcio farebbe chiedere l’abolizione del calcio e come minimo portebbe alla sospensione del campionato. Invece no, la caccia è cultura (come del resto l’infibulazione) e l’attività venatoria va avanti: così almeno ci spiegano produttori di armi, giornalisti che si credono Hemingway ma sono meno letti degli annunci dei centri massaggi e ovviamente gli stessi cacciatori, con argomentazioni che vanno dall’equilibrio faunistico ad una fantomatica ‘caccia consapevole’ (per questo i cacciatori toscani sono prevalentemente di sinistra, mentre in altre regioni prevale la destra machista) passando per gli istinti naturali dell’uomo. A parte il fatto che fa gli ‘istinti naturali’ avremmo quelli di sparare, se avessimo un’arma, a chi ci paga dopo nove mesi, e che quindi questi istinti non giustificano nulla, rimane un mistero il piacere che si provi nel combattere una guerra contro un nemico (la lepre) che non la vuole e non la può combattere. Parlando in generale il cacciatore, così come il torero, è fondamentalmente un vile perchè non combatte ad armi pari. E quando accadono questi incidenti la colpa è sempre del fuoco amico, mai della preda.

Twitter @StefanoOlivari

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