Eroi per tre stagioni

17 Maggio 2011 di Simone Basso

di Simone Basso
Naturalmente nessuno si sognò di modificare la programmazione del protocollo stabilito dal Dottore dei miracoli, proseguendo la stagione nella stessa maniera nella quale era stata iniziata: stravincendo in tutta Europa, con l’aiutino di livelli di ematocrito tranquillamente (?) sopra i sessanta.Il licenziamento rappresentò per Ferrari la chance golosissima di liberarsi dal vincolo delle società e di approfondire l’attività di libero professionista.
Alla sua corte iniziarono a fare la fila una serie impressionante di campioni o aspiranti tali, tutti ovviamente disposti ad evadere positivamente le laute parcelle che Michele l’intenditore richiedeva a lavoro svolto. Nel tempo, più o meno pubblicamente (già, perchè il solo nome provoca presso i manager delle squadre un travaso di bile) la scuderia privata dell’ex delfino di Conconi ha potuto contare sulla crema del plotone: oltre i fedelissimi Rominger, Berzin e Furlan, pezzi da novanta come Cipollini, Olano, Gotti, Tonkov, Zaina, Bortolami, Escartin, Chiappucci (a fine carriera: non togliamo i meriti a Casoni…), Ugrumov, Savoldelli, Julich, Faresin, Axel Merckx e compagnia cantante. Una combriccola che, a parte l’amico Toni e il Re Leone delle volate, ha avuto curiosamente la stessa parabola nel rendimento atletico: una stagione boom con prestazioni spaventose, un paio di annate buone e poi l’improvviso ed impietoso declino, consolato dall’ammontare dei contratti siglati quando gli interessati parevano novelli Fignon o Kelly.
L’apice della gloria Ferrari lo toccò al Giro 1996 (si, proprio l’edizione della soffiata di Laverda che fece saltare la perquisizione dei NAS): cinque dei suoi protetti occuparono le prime cinque posizioni della classifica finale (!), decretando il trionfo su tutta la linea dei suoi metodi infallibili. In siffatti gloriosi dì, il suo studio pareva la sala d’attesa di un aereoporto alla vigilia delle feste; la leggenda narra che anche pallonari a ventiquattro carati abbiano sborsato discrete cifre per consulenze (parola magica) presso l’ammiratissimo medico dei campioni. Non è dato sapere il nome dei pedattori che lo hanno notevolmente arricchito, purtroppo dalle parti dello stadio con l’erba ben rasata nei prati è in voga un silenzio avvilente, omertoso, caratteristico di un ambiente che ha padroni così importanti: solo Dio, sempre che si occupi di sport e doping, potrebbe chiarirvi le idee (poche e confuse) a riguardo.
Fu l’eroico affaire Festina (in sintesi: decisero di fregare una squadra per salvare le altre) a squarciare i primi veli sulle sofisticazioni virtuose nel gruppo; assolutamente impareggiabile (e consigliata) la lettura del “Blade runner” della generazione di Robosport, “Secret défonce, ma vérité sur le dopage” di Erwann Mentheour; il primo sasso (o macigno) gettato nello stagno da un ex corridore, svela anche i segreti del ‘criterio di lavoro’: un protocollo rigido con allenamenti personalizzati, arricchiti dall’utilizzo della sperimentatissima epo con richiami saltuari all’ormone della crescita e al testosterone (il racconto è di Mentheour, noi dall’esterno possiamo solo osservare successi e sbalzi di rendimento degli atleti)), contemplati dall’Emagel per abbassare temporaneamente il famoso livello d’ematocrito in caso di controlli. Un cocktail supersonico aggiornato magari dall’arrivo di nuove sostanze miracolose (nello specifico del francese la solcinella, un estratto di sangue di tartaruga!) implacabilmente sottoposte ai coraggiosi assistiti: tanto per vedere l’effetto che fa e anticipare le sperimentazioni (pallosissime) del Ministero della Sanità.
Allora non c’è da stupirsi se il Pordoi, allo “scandaloso” Giro 2001, è stato coperto da due camosci di indubbia qualità come Simoni e Perez Cuapio in poco più di trenta minuti; un po’ di tempo prima l’imperatore delle Granfondo di metà anni novanta, Giovanni Anderlini, curato amorevolmente dal “mitico”, aveva fatto fermare i cronometri sui 26 e mezzo…Purtroppo, smentendo il grande Binda, i garùn possono anche non bastare. Comunque, negli ultimi anni, si è iniziato a sentire un fastidioso odore di bruciato; la clientela si è diradata e il Ferrari è stato fatto oggetto, puarìn, di un autentico lincaggio morale: magari da parte delle stesse persone che consigliavano ai propri atleti, qualche anno fa, un giretto di prova da lui. Sempre più spesso è stato avvistato alle corse trafelato o magari con travestimenti posticci: alla sua vista certi massaggiatori, scottati dalle note vicende, avrebbero potuto farsi giustizia senza troppi rimorsi…
Eppure, sbattuto fuori dall’ambiente che lo ha reso ricco e famoso (…), è riuscito a cadere in piedi. Indagato da un sacco di procure è stato beatificato inaspettatamente (?) da Mister Tour de France, niente-popò-di-meno-che Lance Armstrong: il texano ha rivelato al mondo intero la sua ammirazione per il luminare italiano, consulente prezioso nel suo viaggio verso la maglia gialla. La vicenda, che a nostro parere ha i contorni della farsa, non è proprio sorprendente se pensiamo che l’americano, nella fase pre cancro, era uno di quelli seguiti senza rendere pubblico il fatto. Lance è stato per anni quasi vicino di casa di Rominger, in Costa Azzurra, e più di una volta ha dichiarato di aver testato il suo stato di forma affrontando una delle tante salite della zona con il paragone cronometrico dell’elvetico. L’ammirazione per l’uomo che guardato in faccia la morte non deve impedire una riflessione onesta: l’iridato di Oslo ci prende per i fondelli quando ricorda i controlli, tutti negativi, passati in carriera; esprime in maniera meno violenta gli stessi concetti spiegati dal suo preparatore personale in quel fondamentale (per comprendere meglio la cloaca nella quale è immerso il ciclismo e lo sport) 20 Aprile 1994. E’ ahinoi la pura e semplice verità: come fa un campione che guadagna 15 milioni di dollari all’anno a sputare sul sistema che permette a lui (e ad altri) di mettersi in tasca un tale gruzzoletto? Tutta questa passione popolare, invidiatissima in altre parrocchie molto più volgari e fesse, non merita personaggi come il medico dei miracoli e forse nemmeno un paio di (de) generazioni di ciclisti ammaestrati come scimpanzè stupidi a porgere il braccio per un’endovenosa; manco fosse la cosa più normale di questo mondo.  (3-fine)

Simone Basso


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