Dalla parte di Mike Agassi

29 Ottobre 2009 di Stefano Olivari

1. Ci sono paesi in cui l’editoria non è assistita e quindi i libri (a maggior ragione i giornali) non sono strumenti di pubbliche relazioni ma prodotti che devono essere venduti. Per questo alle ‘clamorose’ rivelazioni contenute in ogni autobiografia in uscita va sempre fatta la tara del marketing, quella di Andre Agassi non fa eccezione. Dagli stralci letti un po’ ovunque ci sembra però che la parte più interessante non sia quella sulla droga presa in un momento di crisi (1997, l’anfetamina diede qualche buon momento ad un tennista scivolato al numero 141 nel ranking Atp), nemmeno nella chiave dei blandi controlli del tennis: Agassi fece sorvolare sulla positività al test antidoping, dicendo che aveva bevuto nel bicchiere di un amico. Scuse da calciatore, o da Gasquet.

2. La parte che sembra più adatta a far discutere ci sembra essere quella sull’odio di Agassi per il tennis, sublimazione dell’odio per il presunto padre padrone. Emmanuel (poi per tutti Mike) Aghassian (dopo l’emigrazione per tutti Agassi), ex pugile peso piuma partecipante a due Olimpiadi sotto la bandiera del suo Iran: eliminato al primo turno a Londra 1948 e anche nel 1952. A Helsinki fu battuto dal sudafricano Leisching, che poi avrebbe vinto il bronzo, con l’argento che andò all’azzurro Sergio Caprari (da professionista campione d’Europa e brutalizzato nel mondiale superpiuma dal filippino Flash Elorde): non un fenomeno, ma un appassionato di tutti gli sport. Passione che in America, prima a Chicago e poi a Las Vegas trasmise ai figli fissandosi sul tennis.
3. A cinque anni Andre palleggiava con Pancho Gonzales, che in seguito sarebbe diventato marito di sua sorella Rita. Ma non è come sembra: Mike non spinse la figlia nelle braccia dell’anziano ex campione per introdursi nel mondo del tennis, il fatto è che Gonzales era l’allenatore (pagato) di Rita che della famiglia era la campionessa designata ed Andre era solo il fratellino che la ragazza si portava appresso. Di più: Agassi padre voleva ammazzare, e non metaforicamente, Gonzales quando Rita gli comunicò che avrebbe lasciato il tennis e sarebbe andata a vivere con lui diventandone l’ennesima moglie. Curiosità: Mike Agassi era stato giudice di linea ad un torneo con Gonzales in campo, qualche anno prima, e dal campione era stato preso in giro in maniera plateale per una chiamata sbagliata. Come tanti ragazzi di tutto il mondo a 13 anni il ragazzino di talento fu portato alla Academy di Bollettieri, che ne fece un professionista senza che il padre dovesse svenarsi per le lezioni: l’astuto ex marine intuì che Agassi avrebbe potuto fare una pubblicità strepitosa alla sua scuola, al di là del suo valore tennistico comunque enorme.
4. Poi i fatti segreti della famiglia Agassi, ma anche della nostra, non li conosciamo: non ci sembra comunque di essere di fronte ad una triste storia di sfruttamento. C’è solo un padre fanatico di tennis che pensa di fare il bene del figlio facendolo concentrare su un obbiettivo: in generale non più stupido del diventare un medico, un giornalista, un ragioniere, un grafico, un inseguitore del posto fisso a costo di qualsiasi umiliazione. Andre ha avuto l’opportunità di giocarsi la sua vita in campo: può non ringraziare suo padre, per motivi evidentemente privati, ma di sicuro non può dire che farlo giocare a tennis (anche con la forza) sia stato un crimine. Non c’è niente di nobile nell’essere un ragazzo del muretto, senza una ragione per vivere. In assenza di grandi ideali, non vediamo perché si debba sputare sul tennis.
stefano@indiscreto.it
Share this article