Porti aperti o chiusi?

11 Giugno 2018 di Indiscreto

La vicenda dell’Aquarius ha trasformato tutti noi del bar, in grado al massimo di gonfiare un canotto, in esperti di diritto della navigazione e diritto internazionale. Comunque vada a finire (mentre stiamo scrivendo queste righe pare che che la nave possa approdare in Spagna), gli effetti politici sono già evidenti: buone notizie per centrodestra e centrosinistra, che si possono definire meglio intorno alle proprie premesse ideologiche e ai propri valori, cattive per i Cinque Stelle che devono fare i conti con la realtà e cioè che non tutto il mondo può essere normato da un programma o da un contratto, le singole situazioni sono sempre filtrate dalla propria ideologia e il carisma di un leader maschera i problemi solo nel breve. Quale sarebbe la percentuale ‘giusta’ di immigrati in proporzione agli italiani per così dire veri? Non c’è una risposta tecnica, nemmeno trincerandosi dietro alla sostenibilità del welfare. Ma anche i vari ‘È tutta colpa dell’Europa che ci lascia soli’ di destra e sinistra suonano ipocriti, come se avessimo bisogno di qualcuno che ci dica cosa pensare e non avessimo già dentro di noi la risposta. Per questo siamo orgogliosi di proporre un ‘Di qua o di là’ dichiaratamente ideologico e politico, che se fossimo intelligenti baseremmo sulla dicotomia società aperta/società chiusa, come se il problema fossero gli spostamenti di studenti Erasmus e di qualche manager, ma che più concretamente applichiamo all’attualità. Porti aperti, per accogliere chiunque genericamente stia male, o porti chiusi respingendo chiunque senza fare differenze? Porti aperti o chiusi? In altre parole, preferiamo gestire psicologicamente il rischio di essere invasi o quello di vedere persone morire?

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