Le età di Doncic e Kukoc

14 Maggio 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla fortezza della battaglia a Belgrado ascoltando il professor Keating-Tanjevic che ci racconta un’altra volta la storia del basket jugoslavo. La scuola, il carpe diem, il viaggio alla confluenza della Sava col Danubio, quella voglia di rendere tutto straordinario che aveva quella generazione: Nikolic e Zeravica, ma anche Nebojsa Popovic, Ivkovic, Obradovic e compagnia cantante guidata dall’avvocato Novosel e protetta da Cosic. Belgrado sarà la sede della finale di eurolega fra venerdì e domenica. Ci mancava una rivisitazione del basket come era e come vorremmo che fosse adesso che all’Argentario fanno un museo del Caravaggio senza un‘opera del magnifico tenebroso. Saranno i tempi. Uno ci investe urlando che Doncic, meraviglia slovena del Real, non è proprio parente della grandezza di un Kukoc alla stessa età come potrebbe testimoniare il conte Faina dopo il mondiale valtellinese quando Divac sembrava Houdini. Deve essere il periodo nero per il genietto di Pepe Laso che è certo peggiorato molto quest’anno, tiene la palla fino a sfinirsi e sfinirci, se anche in Italia uno che sembra saperne tante come Galanda ci dice che Ale Gentile, in partenza per i campi estivi di Houston, ha fatto anche più di Doncic. Ah, bene a sapersi diceva il cardinale a Pasquino.

Sì, lo sappiamo, vi avevamo promesso di non disturbare fino alle prime eliminazioni nei playoff, ma, cara gente, non potete impedirci di pensare e quindi di credere che sarete interessati a certi ragionamenti e poi il basket non è soltanto playoff. Certo, prima di questo, due cose importanti: avete visto la faccia di Allegri dominator? Sapeva che gli sarebbero saltati sulle spalle appena avviato il carro dei soliti vincitori juventini al settimo sigillo consecutivo. Si è ricordato, con più stile di Chiellini, quello che gli avevano detto e fatto passare dopo la caduta Real e la sconfitta contro il Napoli. Livornese in tutto e per tutto, ci mancherebbe, ha risparmiato ai furbi dell’ultima ora il detto africano che consiglia di non insultare il coccodrillo prima di attraversare il fiume dove aspetta qualcuno da mangiare. Però si capiva che avrebbe voluto mandare tutti al diavolo e godersi la sua cena a lume di candela con Ambra.

La faccia di un vincente di qualità, anche se ci siamo eccitati di più scoprendo che Julio Velasco, genio della pallavolo, dello sport, uno dei personaggi più completi mai conosciuti in una carriera iniziata nel 1965, sarebbe tornato ad allenare in Italia. Modena. E dove, accidenti, perché quella è vera di terra di volley come Bologna lo resta per il basket anche se fa di tutto per sconfessare i padri fondatori. La culla del suo genio negli anni in cui ha cambiato le regole mentali di chi viveva protetto dall’alibi, dalla mamma e da tutti quelli, nello sport italiano e non soltanto nello sport, visto quello che ci capiterà fra poco, che preferirebbero essere rovinati dalle lodi piuttosto che salvati dalle critiche. Volete l’elenco? No, se ci pensate è facile trovare almeno un reggimento di finte vergini dai candidi manti.

Allegri e le sue margherite sul domani, Velasco e questo ritorno per trovare qualcuno della generazione fenomeni addirittura come avversario: Giani con Milano, Bernardi a Perugia. A proposito la pallavolo, da cui il basket e altri sport copiano inutilmente, ha mandato le sue squadre più belle nelle finali delle coppe europee negate al basket, al calcio, a chi compete con i migliori senza esserlo. Siamo sicuri che i so tutto del momento vi spiegheranno che al volley pagano meno tasse non essendo ufficialmente professionisti anche se gli stipendi ricordano almeno il quarto o quinto di ogni squadra italiana nel basket di vertice, trovano affitti per alloggiare atleti a prezzi più bassi, hanno un rapporto fiscale diverso pur avendo adesso maglie schifosamente sponsorizzate.

Ma torniamo al grande argentino che ritrova il suo convento. A 66 anni può ancora dare molto. Ricordatevelo voi presidenti che fingete di essere dalla parte degli allenatori. Ora siamo sicuri che nella ex Panini nessuno metterà don Julio nelle condizioni che hanno costretto Recalcati a lasciare Torino, anche se il bulgaro appena licenziato avrebbe da obiettare, perché il suo dominio con Trento è stato dimenticato nella saliva di Ngapeth.

Belgrado e la passione per un basket che non riesce a fare pace fra FIBA e NBA europea. Un peccato come avrebbe detto Yvan Mainini, l’uomo del Calvados, che è stato arbitro di qualità, alle Olimpiadi, in due finali mondiali, prima di diventare presidente della federazione francese. Purtroppo l’uomo di Bayeux ci ha lasciato e, lo confessiamo, ci pensi di più quando muore un tuo coetaneo, pochi mesi di differenza in quel 1944 che la gente sta già dimenticando e cerca guerra appena possibile. Mancano i tessitori per la grande pace. Belgrado avrà il meglio anche se la Fiba Champions League ha avuto i 20 mila spettatori dell’OAKA per il trionfo dell’AEK. In questo fine settimana solo squadre straniere in campo, ma la festa ci sarà. Sulle presenze si gioca a rimpiattino, vediamo i nostri playoff appena iniziati: Milano, che può permetterselo, vicino ai 10.000, le altre a stento vicino ai 4.000. A proposito di Armani, pensate il tormento se avesse continuato a credere che il Comune gli avrebbe dato il vecchio Palalido. Sono gli stessi che rimandano sempre l’inaugurazione, purtroppo quasi sempre gli stessi che ostacolano la nascita di una seconda squadra milanese per la serie A nell’anno della Lombardia felix, cinque su otto ai play off, una regionalità che non fa benissimo, ma contenti gli altri è giusto che sia così.

Ne avranno certo parlato i maturi baskettari che si sono ritrovati per il raduno organizzato a Vigna di Valle, il giardino di un basket che sapeva di buono, la Versailles del grande Picchiottini e poi del suo colonnello Marinangeli. Ha organizzato tutto, fino al collasso, lo Spinetti mano da cobra che ha fatto concludere il viaggio nella tenuta ad Anguillara di Federico Nizza, la miglior ancora nella zona pressing del professor Guerrieri ai tempi di Vigevano. Una festa comandata e trascurata, dove i grandi hanno accolto tutti a braccia aperte, cominciando da Buzzavo e Bianchini, dove Cappellari era la guida spirituale dei grandi ricordi sui tempi di Primo, Sales. Sarebbe stato bello esserci, ma, labirintite a parte, eravamo stati gelati da una domanda che si fanno spesso quelli che credono di essere stati qualcuno sul campo: tu cosa c’entri?

Ecco, allora meglio farsi raccontare le cose nella settimana dei lividi. Quelli che si sono procurati, investiti mentre andavo in bicicletta, il Romeo Sacchetti che anche tumefatto non ha rinunciato ad andare in panchina, e il Luca Baraldi, uomo di fiducia di Zanetti alla Virtus, che, per fortuna, aveva già trovato in Dalla Salda il direttore generale di cui aveva bisogno la Vu Nera. Con l’uomo dei miracoli reggiani anche il Martelli che ha fatto benissimo come manager a Casale Monferrato, ma far rientrare a Bologna uno che ha vissuto l’epopea dei giorni del vino e delle rose fra Virtus e Fortitudo, avrà un senso soltanto se l’allenatore prescelto accetterà di lavorare con lui. Chi sarà l’uomo del monte non lo sa ancora nessun perché dicono che Trinchieri, anche davanti ad un triennale, può avere offerte migliori altrove, che Djordjevic sarebbe subito disponibile, perché non ha mai fatto il ragionamento di Pozzecco quando lo volevano al centro Porelli: “Mai con quella maglia”, però tenerlo sulla stessa bilancia di altri che hanno vinto certo meno di lui, come giocatori e anche come allenatori, non è molto elegante.

Tornando alla finale di eurolega sul campo di Belgrado, protestiamo a voce alta per Micov, architetto dell’Emporio, escluso dai due quintetti ideali. Se anche lui è uno del partito di Chiellini gli servirà come veleno, quello che stanno cercando di togliere dai dentini delle nostre promesse sportive: il fuori basket ha stritolato la Zandalasini, che ora vola in America, dopo il titolo conquistato con Schio su una Ragusa che giocava molto meglio delle campionesse tornate al titolo, prima di trasferirsi in Turchia. Non vorremmo accadesse la stessa cosa in atletica con Filippo saggezza Tortu che potrebbe chiedere in giro cosa accade se ti mettono al centro di tutto, avendo quasi niente intorno: diventi presto oggetto e finisce che ti mandano a ‘Che tempo che fa’, un bel posto, con gente geniale, non tutti, ma dove lo sportivo è considerato come si faceva al circo Barnum.

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