Testimone del tempo (intervista a Red Canzian)

20 Marzo 2018 di Paolo Morati

Red Canzian

È stato Red Canzian la vera rivelazione dell’ultimo Festival di Sanremo? Paradossale, eppure così è parso almeno a chi non ne conosceva a fondo la storia artistica e la sua formazione. Sì, perché proprio lui, uno dei quattro (più uno) ex Pooh, ha fatto gridare al miracolo per un brano dal tiro poderoso (Ognuno ha il suo racconto) riconosciuto nelle sue qualità anche dalla critica in genere più insofferente alle cose sanremesi. E contenuto nell’album Testimone del tempo. Per Indiscreto, con la curiosità che ci spinge a cercare di raccontare il profondo dei personaggi, abbiamo deciso di intervistarlo in esclusiva. Una conversazione piacevole, libera e ricca di spunti.

Allora Red, cominciamo proprio dalla tua partecipazione a Sanremo… Sei rimasto sorpreso dall’accoglienza ricevuta dalla tua canzone?
È una cosa che mi ha fatto molto piacere. Perché quando è arrivata dalla BMG la proposta di partecipare la mia risposta è stata che farlo con un pezzo romantico, classico, non mi interessava perché era qualcosa che avevo già fatto per 50 anni. Mi volevo invece divertire, voltare pagina, e far capire che sono anche un’altra cosa. Ecco che ho deciso di portare ‘Ognuno ha il suo racconto’, un bel brano, ma non avrei onestamente mai immaginato quanto avrebbero scritto i commentatori, del tipo “L’unico che ci ha fatto battere il piede è uno di 66 anni che suonava con i Pooh fino a ieri…”.

Questo però, se guardiamo alla percezione del pubblico, deriva anche dal fatto che quando sei parte di una band non hai la possibilità di esprimerti a 360 gradi…

Hai perfettamente ragione. C’è però anche da dire che se i Pooh sono durati tanto deriva anche dal fatto che abbiamo rispettato rigorosamente delle regole. Altrimenti saremmo finiti a darci le chitarrate in testa come altri gruppi… Detto questo, se devo guardare ai miei inizi, come tutti ragazzi degli Anni Cinquanta sono rimasto folgorato da Elvis Presley, dagli Shadows, e poi dalla grande rivoluzione dei Beatles e di quelli che poi sono discesi da loro. Quindi desideravo avere una chitarra in mano e provare a fare musica anch’io. Tutti ci credevano, molti poi ne sono venuti fuori perché la musica è difficile, con una mano ti dà e una ti leva, e alla fine restano quelli che hanno qualcosa veramente da dire.

L’album, intitolato ‘Testimone del tempo’, sembra in effetti raccogliere le varie esperienze della tua vita artistica recuperando dei suoni e dei dettagli che fanno parte delle tue origini…
Questo perché nel momento in cui dovevo ripartire ho potuto fare delle scelte. E ho scelto di fare finalmente me stesso, dando pieno sfogo all’imprinting di quegli inizi di cui ti dicevo. Negli primi anni Settanta avevo quindi già appreso quanto mi sarebbe stato utile in futuro, anche se alla scuola dei Pooh certamente ho avuto l’occasione di crescere e imparare tante cose che quando facevo rock, con i miei accordi, non prendevo in considerazione. Parlo delle aperture armoniche, di quelle melodiche. Questo nuovo album posso tuttavia considerarlo il mio primo disco da maggiorenne, perché gli altri da solista che avevo fatto in passato erano solo delle piccole fughe, per poi tornare in famiglia, pur avendoli realizzati con grande passione e attenzione. ‘Testimone del tempo’ apre la strada verso un nuovo capitolo.

In questo lavoro sei autore di tutte le musiche, tranne una ripresa da un brano di Johnny Hallyday (20 ans) diventata ‘Meravigliami’ con testo di Enrico Ruggeri. Con i Pooh, pur avendo scritto diversi brani, non hai invece avuto una grande vetrina se parliamo di singoli… ci viene in mente, tra le eccezioni, ‘Stai con me’.
Ho scritto tanto anche per i Pooh, ma nel contempo c’erano spazi già conquistati da altri, come giusto che fosse, e non mi sono mai fatto grossi problemi, visto che mi interessava che il progetto funzionasse nel suo complesso. Adesso vivo invece un momento di grandissima libertà in cui posso sbagliare ma anche fare qualcosa di buono tutto da solo, con la possibilità di scegliere. E questo significa anche colorare il tutto con suoni di sitar, flauti e mellotron che richiamano il periodo indiano dei Beatles… inserire richiami a Simon & Garfunkel, e naturalmente il progressive… la musica che suonavo nel periodo antecedente all’ingresso nei Pooh, e che poi portammo avanti almeno come influenza negli album Parsifal e ‘Un po’ del nostro tempo migliore’.

Proprio pensando al progressive, l’album si chiude con Cantico. Un viaggio musicale di 8 minuti costruito con la collaborazione di Renato Zero. Roba d’altri tempi…
Si tratta di un pezzo che cambia più volte e solo un visionario come Renato Zero poteva costruirvi sopra un testo adatto, sviluppando la storia insieme a Vincenzo Incenzo, su un andamento così complesso. C’è una una narrazione iniziale, la recita del Cantico delle creature, Madre natura che entra con la voce di mia figlia Chiara, e più parti strumentali tra l’altro arrangiate da mio figlio (il batterista Phil Mer, n.d.r). E sono molto contento che, come tutto l’album, anche questo brano esca dagli standard odierni.

Intendiamo, come standard, quelli delle canzoni che devono durare massimo tre minuti ed essere studiate per l’ascolto in cuffia, tramite smartphone, insomma tutto molto piatto…
Esatto. Non mi interessa produrre la musica in quel modo. Io continuerò a fare quella che secondo me viene ascoltata da chi la ama, voglio il rispetto dei musicisti come io ho il rispetto per loro. E non è detto che bisogna per forza essere spinti dalle radio per piacere, sono convinto che se fai un disco seguendo determinati canoni puoi avere successo ed essere apprezzato anche con il solo passaparola, e restare successivamente nella memoria per anni.

‘Testimone del tempo’ vede il coinvolgimento di diversi autori e musicisti, per i testi ti sei affidato a nomi importanti, la vecchia e la nuova scuola italiana. Come hai lavorato insieme a loro per trovare la giusta quadra rispetto agli obiettivi prefissati?
Mi piace definirlo un disco antico inciso con tecniche moderne. Ma fatto a mano. Volevo il suono dell’organo Hammond e ho chiamato Luca Scarpa. Desideravo determinati dettagli e ho cercato delle vecchie Fender da portare in sala. Ci siamo messi in cerchio, ci siamo guardati negli occhi, io al centro a dirigere e cantare. E le scelte dei parolieri sono state miratissime. Di Cantico ho già detto. Ascoltando la musica di ‘Per cercare di capire le donne’ ho contattato Enrico Ruggeri, solo lui poteva riuscire a scrivere il testo, per un brano che è divertente alla ‘When I’m Sixty-Four’ dei Beatles, e allo stesso tempo serioso. La notte è un alba doveva essere invece una poesia ed era perfetto per Ermal Meta, mentre Tutto si illumina racconta la fine di una storia d’amore, e non potevo che chiederlo a Ivano Fossati. Oltre a coinvolgere Miki Porru, autore tra l’altro proprio di Ognuno ha il suo racconto (noi lo ricordiamo ancora con piacere per la sua Straniero, di Sanremo 1987, n.d.r.). Nella sostanza ho immaginato che cosa raccontavano le musiche che avevo scritto e scelto gli autori di conseguenza.

In un paio di brani c’è anche la collaborazione di Fabio Ilacqua, diventato noto grazie a Francesco Gabbani. Cosa mi puoi dire di lui?
Ilacqua è un personaggio che mi ha entusiasmato. Una mattina gli ho dato appuntamento in studio ma mi ha detto che non poteva presentarsi perché doveva piantare dei cavoli… mentre il pomeriggio era libero. Sapevo che faceva il contadino, ma pensavo che fosse una leggenda metropolitana. Sono andato a trovarlo e invece era proprio nel suo campo che piantava, dedicandosi poi a scrivere. Un autore perfetto per un brano profondo come Eterni per un attimo, un episodio in cui ho coinvolto Aldo Tagliapietra non solo al sitar ma anche alla voce.

La citazione di Aldo Tagliapietra, storico membro de Le Orme, ci permette di fare un nuovo balzo nel passato. Una delle tue prime canzoni, Tarzan, cosa ti ricorda?

Mi fa venire in mente una persona, a Londra, ai piedi della scaletta dell’aereo che mi aspettava. Tutto nero: cappello, capelli, mantello, occhiali scuri. Era Franco Battiato, che lo aveva scritto, io lo cantavo da solo come Capsicum Red, una delle mie prime band. Con me in studio lo registrarono gli scozzesi Stone The Crowes. Ai cori c’era Maggie Bell, considerata ai tempi la nuova Janis Joplin. Se penso a quegli inizi e faccio una paragone con i nuovi artisti posso dire che oggi hanno facilmente a disposizione tutti gli strumenti per prepararsi in modo professionale, con la differenza che noi trascorrevamo ore a suonare nelle balere, mentre oggi loro passano giusto qualche mese nei talent. Non li critico, perché danno un’occasione ai ragazzi, ma certamente esiste una completa differenza nell’interpretazione del lavoro e della professione di musicista rispetto al passato.

Hai iniziato come chitarrista per poi passare, proprio nei Pooh sostituendo Riccardo Fogli, al basso… uno strumento che nel nuovo album si sente fortunatamente molto forte e chiaro, uno dei protagonisti. Ancora una volta andando contro ad alcune regole delle produzioni moderne che prediligono le alte frequenze.
È vero che sono nato con la chitarra, tanto che in tour tornerò a suonarla, senza però averla mai abbandonata dietro le quinte, ad esempio in fase di composizione. Tra le altre ho una Martin D28 comprata 50 anni fa da un hippie americano e che oggi ha un grande valore. La tengo in montagna, a temperatura stabile, distesa su un suo lettino a riposare. E di certo non la porterò in concerto. Relativamente al basso, in Italia ho portato il ‘fretless’, il basso senza tasti (di cui Red Canzian ha anche ideato una versione ‘mista’, n.d.r), quando ancora nessuno sapeva cosa fosse tanto che ricevevo lettere da chi si chiedeva quale strumento producesse quei suoni in assolo. Ipotizzando che fosse un Moog o chissà quale altra tastiera (il brano era ‘Ci penserò domani’ nell’album Boomerang, n.d.r.,). Sull’equalizzazione di un certo tipo, credo che dare spazio ai suoni che avvolgono tutto l’insieme non possa che fare del bene al risultato finale, ancor più oggi quando si punta a spingere su decibel e frequenze. Un aneddoto del periodo con i Pooh. Quando suonavamo, Dodi Battaglia faceva la ‘prova cappelliera’ per verificare le vibrazioni prodotte dai bassi attraverso il subwoofer, per cui dovevo limitarmi. Ma non poteva cambiare cappelliera, anziché penalizzarmi? (ride…). Oggi però mi prendo appieno le mie responsabilità e il basso si sente eccome!

Sei anche pittore (il tema ricorrente è l’acqua) e coltivatore di bonsai. Concludiamo con le loro affinità con la musica…
Purtroppo ho poco tempo per dipingere, dico purtroppo perché mi piace moltissimo, ho anche fatto delle mostre e spero di riprendere a produrre. Sui bonsai intanto posso dire che in questo periodo hanno freddo e li stiamo rinvasando. Io li ho tutti da esterno, e non tengo quelli di importazione. Sono tutte piante nostre, che ho fatto io, dai faggi ai pini. Che stanno fuori di inverno, sotto la neve. Dovendo fare dei parallelismi con la musica, in entrambi i casi serve tanto amore e tanta cura. Perché i dischi si possono anche fare in dieci giorni, dando al musicista tre possibilità: una volta lo provi, una volta lo suoni male e una volta lo suoni bene. Stop. Ma quello che conta di più è la fase di preparazione, il prima, al quale devi dedicare, ancora una volta, il tempo giusto e migliore che hai.

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