Moro 40 anni dopo e il consenso delle Brigate Rosse

14 Marzo 2018 di Stefano Olivari

Il 16 marzo del 1978 eravamo in classe, quinta elementare, quando il bidello entrò e disse qualcosa alla nostra maestra Fanny. Subito dopo la maestra ci comunicò che poco prima era stato rapito Aldo Moro ed erano stati uccisi gli uomini della sua scorta. Nessuno di noi aveva la minima idea di chi fosse Moro, ma anche il più ottuso intuì che era appena accaduto qualcosa di grave. Fu la spinta per molti di noi a informarsi, presso i genitori e la stessa maestra, senza capire molto ma uscendo per la prima volta dal mondo dei bambini e da una storia studiata ma troppo lontana: cosa ce ne fregava degli Ittiti? Ecco, non è esattamente come il ‘Dove eri quando hanno ucciso Kennedy?’ del 99% dei romanzi americani, ma questi sono i nostri ricordi del marzo 1978 insieme alla figurina di Muraro che nessuno riusciva a trovare.

Fra i tanti programmi in occasione del quarantennale del caso Moro ci ha molto incuriosito Atlantide, condotto da Andrea Purgatori su LaSette: la prima puntata lunedì, la seconda stasera. Ci ha incuriosito per vari motivi, non ultimo l’impostazione decisamente sgradevole: in pratica non si tratta soltanto della storia della strage di via Fani (16 marzo, appunto), dell’uccisione di Moro (9 maggio) e dei mille depistaggi durante quei 55 giorni, ma anche di una storia delle Brigate Rosse raccontata dalle Brigate Rosse, senza contraddittorio. Attraverso interviste ai vari Moretti, Morucci, Fiore e Gallinari, tutta gente che in via Fani c’erarealizzate in tempi diversi (Gallinari è morto nel 2013, gli altri sono liberi o semiliberi), si ricostruisce la storia del gruppo terroristico italiano più famoso e proprio per il suo essere di parte questa impostazione è un punto di partenza migliore rispetto alla rievocazione bolsa (‘Sfida allo Stato’, ‘Servizi deviati’, eccetera) che butta lì ipotesi alla Voyager, ormai impossibili da verificare con i viventi. Anche se una domanda a Prodi sulla seduta spiritica da cui uscì Gradoli andrebbe sempre fatta. Ma quali erano le principali caratteristiche delle Brigate Rosse, almeno secondo quanto ci è arrivato filtrato dagli anni e da testimonianze fuori tempo massimo?

Per prima cosa le Brigate Rosse, diversamente da molti gruppi dell’extrasinistra dell’epoca e delle epoche successive, hanno un’origine piccolo borghese e operaia: con poche eccezioni le storie personali di tutti lo confermano. Gallinari veniva da una famiglia contadina, Morucci figlio di un falegname, Moretti operaio specializzato, Fiore prima fruttivendolo e poi operaio. La loro lotta di classe nasce quindi con un impianto teorico modesto, a parte qualche eccezione, ma con molta concretezza. Secondo: le BR nascono dal clima post Sessantotto, fra università (e in trasmissione Marco Boato lo spiega bene) e movimenti, ma non hanno grandi rapporti con la sinistra parolaia e borghese. Terzo: le Brigate Rosse non sono contro i sindacati in quanto tali, ma come emblemi di una ‘mediazione’ impossibile. Non ci può essere mediazione fra sfruttatori e sfruttati, ma soltanto la vittoria degli uni o degli altri.

Quarto: il consenso nelle fabbriche e in realtà operaie strutturate, quindi più alla Breda e alla Fiat, Milano e Torino, che nella fabbrichetta gestita con paternalismo, non era maggioritario ma esisteva. La retorica dell’Italia compatta che respinse il terrorismo è quindi falsa. Quinto: la strategia mediatica era chiara fin dall’inizio, nonostante per anni i giornalisti progressisti avessero continuato a scrivere di ‘Sedicenti Brigate Rosse’ e ‘Elementi dei servizi infiltrati’. Purgatori prova a riportare la barra su queste tesi complottistiche, ovviamente con l’ausilio di giornalisti (Padellaro e Sandra Bonsanti) di valore, ma a distanza di decenni i brigatisti ancora non si capacitano di come siano stati giudicati in maniera sbagliata. Certo gli americani e i sovietici li osservavano attentamente e cercavano di cavalcare le loro mosse (spesso in chiave anti PCI, per motivi diversi), ma di certo le BR non erano una loro creazione ed è in fondo questo che una certa sinistra non ha mai davvero accettato. Ma come, questi pezzenti vogliono fare la lotta di classe senza farsi guidare da noi? Sesto: evidente il disprezzo di molti brigatisti per il PCI, che in minima parte pescava nello stesso mercato e che era ad un passo dal compromesso storico. Non a caso Berlinguer e i suoi furono l’architrave del cosiddetto partito della fermezza, di cui non facevano parte nemmeno tutti i democristiani e sicuramente quasi nessuno del PSI di Craxi. Settimo: colpisce sempre l’assoluta indifferenza nei confronti delle vittime, anche quelle di estrazione proletaria, unita a una presenza mediatica e reducistica abnorme. I brigatisti viventi sono con rare eccezioni diventati pupazzi del sistema: utili idioti del genere ‘formidabili quegli anni’, impiegati della nostalgia, legittimatori dello Stato che odiavano, ridicoli eroi per chi non ha una vita e rimpiange quella degli altri.

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