Il braccialetto di Amazon siamo noi

2 Febbraio 2018 di Indiscreto

Negli ultimi giorni si è parlato molto del braccialetto che Amazon potrebbe mettere al polso dei suoi dipendenti nel settore della logistica, per monitorare e per così dire ottimizzare i loro movimenti. A quanto sostiene l’azienda è soltanto una possibilità futura, per quanto resa più credibile dal deposito di un brevetto (da leggere l’articolo originale di GeekWire), uno scenario che in ogni caso nei vari paesi dovrà rispettare la legge locale in materia di privacy. Vedremo, ma il punto non è questo: che si rispetti la legge ci sembra il minimo, soltanto a Cialtronia questo aspetto sembra trattabile.

Il punto è che la reazione mediatica e popolare istintiva, di disgusto e rimpianto per i bei tempi andati, è in direzione esattamente contraria ai nostri comportamenti reali. Come di recente abbiamo ricordato con Roberto Gotta, in questi giorni da seguire obbligatoriamente per i suoi servizi da Minneapolis sul Super Bowl e non solo, abbiamo scritto parole commosse e commoventi per la chiusura di Sportspages ma poi già da anni compravamo su Amazon alcuni di quei libri che dal 1985 fino a fine millennio riuscivamo a trovare soltanto in quella libreria di Charing Cross (biografie di Clive Allen, annuari del West Ham, cose del genere che ancora infestano le nostre case) chiusa nel 2006. E stiamo parlando del 2006, quasi un secolo fa…

In altre parole, l’ottimizzazione dei movimenti ottenuta attraverso il bracciale wireless e altri metodi è volta alla conquista di un consumatore che dà al prezzo un valore superiore a tutti gli altri elementi da prendere in considerazione in un acquisto. Se non diamo valore a quei 3 euro (esempio concretissimo, per l’ultima opera prodotta da Indiscreto sta andando esattamente così: 18,90 contro 16,07 euro) in più che un libro costa in libreria invece che su Amazon allora qualsiasi centesimo risparmiato rendendo più efficiente la distribuzione diventa un fattore determinante di successo. Il servizio, al di là dei consigli del libraio inteso anche come piacere di fare un acquisto in un ambiente gradevole e non davanti a uno schermo, vale 3 euro? Forse sì, forse no: ognuno ha il suo cervello per rispondere. Nel caso dell’edicola, ad esempio, la nostra risposta personale è certamente no (l’edicolante è molto spesso un automa che nemmeno sa cosa vende), mentre per librerie e negozi di dischi la pensiamo all’opposto: il piacere di entrare e di acquistare lì vale il pagamento della relativa inefficienza. Il problema non è quindi Amazon che costringe alla chiusura i nostri amati negozietti, ma siamo noi che compriamo su Amazon. Magari, come fanno in tanti, dopo avere visitato il negozio fisico.

Share this article
TAGS