Chiamami col tuo nome, estetica anche etero

8 Febbraio 2018 di Stefano Olivari

Forse Luca Guadagnino vincerà l’Oscar, ma difficilmente il suo Chiamami col tuo nome sarà un grande successo nelle sale cinematografiche di Riyad o anche solo di Novosibirsk. Uno dei tanti buoni motivi, e nemmeno il più forte, per non vivere a Riyad o a Novosibirsk… Ne parliamo perché in mezzo a tanti piagnistei sulla crisi del cinema e alla retorica sulla bellezza del grande schermo si tratta dell’unico film degli ultimi mesi che non ci abbia fatto pentire di essere usciti di casa. Non spoileriamo scrivendo, visto che lo hanno fatto tutti, che si tratta di una storia d’amore omosessuale, ma anche bisessuale, fra un diciassettenne italiano, Elio (Timothée Chalamet) e un universitario americano, Oliver (Armie Hammer), ospite della famiglia di nell’estate 1983 in un posto imprecisato della Lombardia, quasi certamente nel cremasco.

Guadagnino crea un clima da Finzi Contini, al di là della diversa collocazione storica e geografica: intellettuali poliglotti ed ebrei, che passano da romanzi rigorosamente in lingua originale su vecchie edizioni a scoperte archeologiche (il padre di Elio è anche il professore di Oliver). Oseremmo dire che alcune parti della casa e alcune scene citano chiaramente il film di De Sica, ma forse è una fissazione. Veniamo al punto: se al posto di Elio ci fosse stata una ragazza saremmo qui a parlare di lolitismo, corpo delle donne, stupro, eccetera, visto che nella finzione Oliver dovrebbe avere 23 o 24 anni. Due uomini invece fanno cadere, chissà perché, queste barriere mediatiche. Punto due: non è un film per e sui gay, perché Elio e Oliver sono uomini a cui piacciono altri uomini. La differenza viene chiaramente sottolineata da Guadagnino, mostrando un’altra coppia questa sì gay e anche l’evoluzione di Elio verso il gaysmo, con camicia d’ordinanza. Il tenere il piede (diciamo così) in più scarpe non è piaciuto ai duri e puri, probabilmente gli stessi che si indignavano per la canzone di Povia.

Punto tre: il padre che intuisce tutto prima ancora che nasca e incoraggia il figlio a seguire i propri sentimenti e inclinazioni è fantascienza oltre Asimov. E ancora più fantascientifico è che un figlio, anche etero, parli di questi argomenti con il proprio padre (nel 1983, poi). Punto quattro: non osate dire che le scene di sesso fra due uomini vi infastidiscono. Potreste essere accusati di omofobia, di omosessualità repressa, di fascismo, anche insieme. Nessun critico ammetterebbe mai di avere chiuso gli occhi di fronte a certe scene, ma noi non siamo critici cinematografici, scriviamo quello che vogliamo e su Indiscreto in definitiva non ce ne frega niente se non di rispettare la legge italiana. Detto questo, l’opera ha ingredienti con cui si fallisce raramente: l’età della formazione e delle sue possibilità, il tempo sospeso dell’estate, la casa come luogo dell’anima. Non un capolavoro epocale, ma un film che colpisce e dà ancora un senso al cinema come del resto quasi tutti i precedenti di Guadagnino. Dura mezz’ora di troppo, tassa da pagare alla sceneggiatura di James Ivory, ma la sua estetica ha qualcosa di ipnotico e va al di là dei discorsi omo o etero. È cinema.

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