L’abolizione della difesa

29 Gennaio 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni alla ricerca del molosso Ettore dentro la meraviglia di Haus Lixl, casa settecentesca che respira l’aria di Trieste, regno di pace sopra il mare dove andò a riposare anche James Joyce che, dovrete ammetterlo, è molto più complicato di chi salta punti, virgole e, magari, lavora per la Lega dove chiedono dati sconosciuti a noi vecchie cariatidi di questo mestiere. Non ci era mai capitato in 50 anni di giornalismo, 10 olimpiadi, mondiali ed europei di quasi tutti gli sport, di dover segnalare il numero di registrazione del Giornale per cui lavoriamo o collaboriamo. Il basket, un altro sport, cantano i legaioli. Hanno ragione. Ma torniamo ad Ettore cane bilingue che non poteva liberarsi dalla scomoda presenza dei viaggiatori viaggianti bolognesi nel nome dell’idea, di un rinnovamento che non comincerà mai perché sapete come hanno reagito molti presidentucoli, tanti dirigentucoli, moltissimi allenatorucoli alla bella idea di convocare ogni mese i “lunghi” delle serie minori per farli lavorare con Gregor Fucka? Be’, quelli illuminati hanno detto che perdevano giorni di riposo, di scuola(?), di meditazione. Quelli che rappresentano il sistema in coro hanno detto: accidenti, questi poi vengono a battere cassa.

Davanti alla cecità di chi scopre le bobbiste giamaicane, di chi si alza ogni mattina sperando che la Befana gli porti lo straniero “della svolta”, ci siamo fermati sul bordo della strada. Vero che avevamo finito la benzina. Vero che i camionisti imprecavano, senza rallentare i malnati, ma era tempo per ammettere di essere dalla parte dei perdenti. Inutile andare a casa Tanjevic, tempo perso raccontarsi quanto possono essere tonti quelli che sognano squadre senza un giocatore della scuola nazionale. In Italia, Spagna, Francia, Germania, Grecia, Turchia e via andando, anche se all’Est resistono. Lo fanno perché non hanno tanti soldi dice il coro, se potessero ne prenderebbero anche loro a vagonate. Vuoi mettere come si mangiano il pallone i migliori interpreti di questo basket impiccato ai rollaggi di coppia. La gente non si innamora? Peggio per loro. Noi presentiamo al meglio, spegniamo le luci, gettiamo gadget, facciamo roteare ballerine giovani e anziane, magre e grasse, facciamo tirare da metà campo. Si cambia perché è bello, meglio se poi te lo chiedono i figli, le mogli. Certo che nessuno ricorda certe facce, certi tiri, cosa importa. Movimento. L’allenatore protesta, un bel calcio alla porta dello spogliatoi e se non gli va bene avanti un altro. La crisi si combatte pagando, magari, due allenatori all’anno. Valli a capire.

Trieste mia grazie dell’ospitalità che ci ha portato verso l’ex macelleria Rocco, avremmo volentieri parlato con Paron Nereo che se ti vedeva bere più di lui urlava alla tavolata: “ciò chi xe sto mato”. Eh sì, ci sarebbe piaciuto sapere come aveva convinto tutti di essere un catenacciaro anche quando presentava fiori di attaccanti illuminati da Rivera. Un maestro dei festeggiamenti che sapeva mandare in mona chi parlava di calcio meravigliao senza pararsi le chiappette, soprattutto se fisicamente sei meno forte, resistente anche se poi non basta come ci diranno quelli del rugby dopo esssere passati sotto il setacciasasi inglese all’Olimpico la prossima settimana. Si può fare tutto, allenando bene, lavorando molto, ma non diteci che siete stregati da squadre dominanti che mai vi divertiranno e la sfida a chi crede di avere di più è già divertimento.

Non poteva esserci che la casa del Paron ad ospitare la banda anarchica che ancora crede che si possa essere grande Milan, grande Juve, grande Olimpia, grande Virtus, ma anche grande Atalanta, grande Padova, grande Brescia, soltanto se si ha il coraggio di presentare al mondo quello che siamo veramente. Se hai i manzi li fai giocare da manzi, se hai i Maldini allora cambia lo spartito.

Cercavamo di spiegarlo al gentile benzinaio che ci ha regalato la tanica della salvezza a Vicenza sulla finta autostrada che da Milano porta verso Est, trappola per topi che paghi come se fosse una carrettera di grande lusso. Questo è il paese che mette zeppe di legno per legare binari che poi saltano, ma intanto si piange dopo, si cercano scuse molto dopo. Ecco, anche nel basket italiano si lavora in questo modo. Zeppe di legno. Sbagli scelta, se il parun dalle braghe bianche ha i soldi si cambia, altrimenti si finge. Questo è il mondo sportivo dove in quasi tutte le discipline ti dicono che si fatica tanto. Molto video, tanto fumo. Se convinci il datore di lavoro che sei sempre disponibile a rispondere, allora ecco nascere la sacra unione, fino al prossimo licenziamento. Questi cambiano allenatore e giocatori come si fa con la biancheria intima. Molto profumo, qualche parrucca.

Dicevamo del santuario dedicato da chi ama le grandi storie di calcio a Rocco come ad Helenio Herrera, le grandi favole del basket a Nikolic e Rubini, perché siamo andati a chiedere se avevano capito dalla nuvola dove si spiano cosa ha influenzato la Regione italiota del basket nella settimana. Tante partite dove il coro dei filistei cantava: difesa mia non ti conosco. Ha cominciato la Milano dei troppi Ercolini pestamusi prendendo una legnata dal Maccabi, ma stupidi noi a non capire che è con partite come queste che si gettano le basi per un futuro luminoso. Come non capire? Dopo tante rivoluzioni da cestello di lavatrice adesso sembra che ci sia questa nuova filosofia: si spende tanto, certo altri con le mance farebbero stagioni intere, ma una volta individuato il giocatore che non funziona si pensa ad un altro. Gli agenti hanno il telefonino sempre acceso, il superstaff tecnico ha una sala video dove capirebbero, soltanto guardandola negli occhi e non quando accavalla le gambe, se Sharon Stone ha dimenticato gli slip, figurarsi se non sgamano il mercenario villano che urla al suo allenatore “Ma tu cosa vuoi da me?” Ce ne sono tanti in questo basket, che è un altro sport.

Dicevamo dell’epidemia che ha fatto diventare ricchi i venditori di piumini per difese dove trionfava lo sguardo accigliato, un po’ come la mano nei capelli dei troppi calciatori brocchi che calciano in tribuna la grande occasione. Festa grande per gli attacchi da Pesaro a Cremona, passando per Avellino. Un gran lavoro stare dietro a tutti, ma, secondo l’agenda di chi deve rendere gloria in cambio di companatico, ci hanno giurato che quasi tutti si sono divertiti. Non certo Sacripanti infilato dal giovane Michele Vitali a casa sua con un tiro cercato da casa sua. Non pensiamo che Sodini e Cantù abbiano portato sul pullman del ritorno il libro di Sacchetti “Il mio basket è di chi lo gioca”. Tanti canestri, tanto divertimento? Difficile da credere se poi in ogni palazzo dall’Italia alla NBA la gente si unisce in coro per chiedere “Difesa, difesa”. Contraddizioni. Certo l’attacco è talento, se hai dei matamoros e gente che li agevola con un blocco solido tutto è risolto, basta che la palla vada dentro. Tiro a segno. Per la difesa, per le trappole bisogna lavorare un po’ di più, per avere gioco bisognerebbe allenarsi tanto, non tirarsela in faccia, con le mani, coi piedi.

Cara gente stiamo per arrivare al primo vero tagliando della stagione, ancora una settimana e poi saremo nel tripudio della Coppa Italia che consentirà alle otto bocciate di rifiatare, cercando di capire dove hanno sbagliato anche se al momento le vere catene della retrocessione sembrano legate ai piedi di Pesaro se Capo d’Orlando dovesse trovare una luce smarrita con troppi viaggi, se Pistoia troverà l’energia che ha questa nuova Brindisi da guardare con sospetto anche per chi ha 6 punti in più nella classifica.

Tanto per non farci mancare un brivido, visto che insieme alla coppa Italia, dopo la fiesta fiorentina, ci sarà l’apertura delle finestre azzurre per le qualificazioni mondiali siamo andati a vedere come stanno i 24 convocati da Romeo, oh perché sei tu Romeo. Qualche infortunato, qualche sfiatato, diciamo Fontecchio dagli occhi tristi, Filloy che certo non si aspettava di vedere Fitipaldo andare per funghi, il Burns che adesso piace a tutti e se fosse piaciuto a Brescia forse le avversarie in testa avrebbero avuto un problema in più. Bel gruppo, ma quello che intriga di più è David Okeke, peccato che sia nell’inferno di una Torino dove ha successo la famosa barzelletta sull’inferno italiano preferito dai peccatori rispetto agli altri. Perché? Be’ una volta mancano i diavoli, un’altra la materia prima da far ingoiare ai penitenti.

Le pagelle seguendo il profumo della cucina di Andrea, cuoco triestino di origini baresi, studi bolognesi, che è venuto a trovarci con gnocco fritto e pesce fresco seguendo le tracce del toscano al caffè rosso del padrone benemerito che era già acceso in piazza dell’Unità fra specchi magici. La strada degli illusi convinti dall’idea carbonara di poter ritrovare l’atmosfera che Varese ha preparato a Masnago per dare la cittadinanza onoraria a due campioni che hanno fatto la storia del basket cittadino e nazionale, il Dino Meneghin e il Gianmarco Pozzecco che ora fa base a Formentera, anche si sono fatti amare in maniera diversa.

10 A Michele VITALI, finalmente inserito nella lista azzurra, che poi girerà con la grolla dell’amicizia in una squadra dove si vogliono davvero bene perché Brescia voleva soprattutto quello quando ha iniziato il viaggio, estendendo i complimenti a Diana, all’assistente Magro che non ha smarrito, come Moss, la strada di contrada dei tempi d’oro, al Landry che sta tornando su altissimi livelli.

9 A Drake DIENER perché nella notte di una partita oltre i 200 punti fra Cremona e Cantù ha ritrovato quella mano che lo ha fatto diventare idolo in tutte le squadre italiane che hanno avuto la fortuna di ingaggiarlo.

8 A Demetrio ALBERTINI, ex grande del calcio, speriamo futuro dirigente di alti livello del pallone, per essere entrato insieme a Manuela RONCHI nel cuore del basket di coppa Italia con l’agenzia di comunicazione che illuminerà, si spera, l’evento al palazzo Mandela.

7 Al Michael BRAMOS che ha ridato i colori giusti allo scudetto di una Reyer che non va al massimo, ma che potrebbe ritrovare la strada giusta se lascerà fuori dalla cittadella del suo basket le finte maschere e andrà a cercare facce vere dietro la cartapesta.

6 A Stefano GENTILE per non aver fatto ricordare a questa Virtus che c’erano dei grandi assenti. Reagire così dà un senso a tutto e speranza a chi lavora per ridarci il molto che manca della Bologna capitale fra i canestri.

5 A FIP e LEGA se dopo aver scatenato la fantasia dei titolisti sulla “pace scoppiata” torneranno a tirarsi colpi bassi, a fare dispetti, litigando davanti alla creatura che in troppi vorrebbero buttare via insieme ai contratti sporchi.

4 Ai PRESIDENTI che si presenteranno alla riunione con arbitri nei saloni di Firenze con la stessa faccia di molti dei loro allenatori che è poi la stessa di molti giocatori quando fingono di capire cosa viene disegnato sulla lavagnetta.

3 A REGGIO EMILIA se non valuteranno bene cosa è successo veramente in una squadra nata sbagliata, con tante cose da mettere a posto. Non capita sempre di poter uscire da una palude anche se i coccodrilli in società e ai bordi erano attaccati alle caviglie.

2 A SARDARA se dovesse arrendersi a chi davvero non capisce la sua Dinamo. Tiri dritto, ha fatto grandi cose, ne può fare altre, insieme a Pasquini, anche se noi non avremmo mai mandato via Sacchetti, perché al momento sembra l’unico in questo basket ad avere qualcosa in cui credere. Resistere, resistere.

1 Alla GIBA se dopo aver vinto la battaglia del sei più sei non terrà un congresso per spiegare agli associati che le regole andranno rispettate, ma tutte, anche quelle di farsi trovare pronti per l’allenamento e per la partita, senza nascondersi dietro al ricatto che dovendone avere sei si dovrà pagare tanto per non essere in difetto.

0 All’EUROLEGA, alle coppe in generale, alle manifestazioni FIBA, dall’europeo alle Olimpiadi, perché l’Italia del basket è sempre presa a calci, non soltanto dagli arbitri. Ci fanno venire il complesso e , purtroppo, non fanno venire il dubbio a chi comanda di aver sbagliato, di avere la vocazione per il grosso sbaglio.

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