Le Roi, ascesa e declino di Michel Platini

12 Dicembre 2017 di Stefano Olivari

Forse l’abbiamo già scritto, ma siccome non ci ricordiamo cosa abbiamo scritto due giorni fa lo riscriviamo: Michel Platini è stato il nostro calciatore preferito, a prescindere dalla sua collocazione strettamente sportiva in una classifica all time, dove comunque ha diritto di cittadinanza non troppo distante dalla vetta. Lo abbiamo amato al punto di non tifare contro la sua Juventus, malattia poi passata una volta che partito Michel sono rimasti il mondo FIAT e i suoi leccapiedi, non necessariamente dipendenti (basta un cinque alto o un’auto in uso gratuito), mediatici. Tutto questo per dire che da italiani pensiamo di avere capito il significato di Le Roi – Gloria e onta di Michel Platini, la biografia scritta da Jean-Philppe Leclaire ed in Italia edita da 66thand2nd, almeno quanto un francese. Leclaire è per età il classico ragazzo cresciuto nel mito di Platini e dei suoi tre Mondiali, oltre che del vittorioso Europeo casalingo del 1984, ma è riuscito nell’impresa di scrivere una biografia che potremmo definire adulta, che arriva fino ai giorni nostri: quelli di Platini squalificato e a 62 anni politicamente fatto fuori dalla FIFA, dalla UEFA, da tutto. Con in più qualche problema di salute, già emerso con il collasso durante il Mondiale sudafricano.

Si respira Francia in ogni pagina, ma l’impostazione è molto americana. Poca poesia e tante testimonianze dirette, ricerche, verifiche, riducendo al minimo il già visto e già sentito. In questo Leclaire è stato facilitato dall’avere già trattato abbondantemente il Platini calciatore in un altro libro anche se questo aspetto in Le Roi non manca, in proporzione dando più spazio agli anni francesi che ai cinque nella Juventus, fatta eccezione per il peso avuto dell’Heysel nella prematura fine della sua carriera, a 32 anni. Certo non ci sono le descrizioni delle sue prodezze, ma il racconto della sua formazione e della sua evoluzione umana è avvolgente e coinvolgente. Figlio di un ottimo calciatore dilettante, Aldo, Michel ha una crescita graduale nella Lorena degli anni Sessanta e respira molto di quel calcio operaio, semiprofessionistico di nome e di fatto, che nella provincia francese è arrivato quasi ai giorni nostri. Fin da subito mostra alcune sue caratteristiche eterne: un carisma che mette in soggezione compagni e avversari, un’intelligenza che gli fa ritenere di troppo la cultura, un nobile disinteresse per i soldi che considera più una misura del proprio valore che un qualcosa da accumulare, una grande timidezza che diventa eccesso di sicurezza, un gusto feroce per la battuta per marcare il territorio, che al di fuori della cerchia dei fedelissimi gli procurerà non poche grane.

L’autore di Platoche. Gloire et deboires d’un héros français (è il titolo originale, del resto in Francia Platini è Platoche)giornalista adesso dell’Equipe Magazine, ha parlato con quasi tutti i conoscenti di Platini, ma non con il protagonista pur avendolo intervistato in passato in occasioni extralibro. Lui non ha ritenuto opportuno far conoscere la sua versione dei fatti, ma nemmeno ha ostacolato i testimoni contattati da Leclaire, soprattutto per raccontare la carriera dirigenziale di Platini. E così si può dire che questo libro non è scritto sotto dettatura, ma nemmeno con il gusto di gettare fango su un mito: a provarlo anche la mano leggera nel parlare del rapporto con la moglie Christelle (con poche allusioni sul suo rapporto con Larios, di cui lo stesso Larios ha parlato apertamente nella sua autobiografia) e con i figli, in particolare Laurent. Platini è sempre stato abile nel non schierarsi politicamente e rimbalzare fra amicizie socialiste e golliste: capito subito di non avere la voglia di allenare e quindi farsi mettere in discussione (anche se il suo periodo alla guida della Francia va rivalutato) nei bar, sarebbe diventato ottimo organizzatore del Mondiale 1998 e poi mente calcistica del primo periodo di Blatter presidente FIFA, né più ne meno ciò che Boban è oggi per Infantino. È il periodo della famosa consulenza, regolarmente fatturata e denunciata al fisco, ma pagata con un decennio di ritardo con tempistica sospetta, che avrebbe portato Platini alla fine politica. Anche se il vero sbaglio è stato quello di dar retta alla ragion di Stato (francese) dando ascolto a Sarkozy e sostenendo quindi la candidatura di Qatar 2022, facendo saltare l’idea furba di Blatter (Russia 2018 e poi Usa 2022), scatenando le indagini e la rabbia degli americani contro lo stesso Blatter e le decine di dirigenti che controllava collocandoli in qualcuna delle mille commissioni della FIFA.

La parte politica è decisamente la più interessante del libro, con tutte le contraddizioni di Platini, che da presidente UEFA ha tante buone idee, disinnesca superleghe e G14 vari con la riforma della Champions, allarga l’Europeo facendone un mini mondiale e infine prova a fare il salto alla FIFA senza esserne pienamente convinto. Il pensiero di fare il Blatter, costretto a omaggiare il dittatore di un’isoletta per avere il suo voto, gli dà il voltastomaco: lui è Platini, non uno che deve chiedere. Un gioco troppo grosso, la FIFA, per chi con il denaro ha sempre avuto un rapporto allegro: non tanto per i pagamenti in nero, che il 90% dei calciatori ha percepito (e comunque lo scandalo Saint-Etienne fece epoca, con grane giudiziarie di cui Platini si sarebbe liberato a fatica), quanto per l’amministrazione degli stessi. Dai disastri come imprenditore dell’abbigliamento al quasi totale disinteresse, alla UEFA e alla FIFA, per le questioni di ‘macchina’ che lo annoiavano e probabilmente nemmeno capiva, Platini fino alla fine ha creduto che bastasse il suo nome per mettere soggezione agli avversari. Un meccanismo che ha funzionato finché in qualche modo era la ‘gente’ a giudicare, ma che alla fine ha premiato i migliori conoscitori della macchina. Molto interessanti le pagine su Infantino, che poco a poco diventa non soltanto il suo consulente giuridico ma l’uomo che materialmente tesse le alleanze e fa i viaggi che Platini si annoia a fare: e così da candidato di bandiera si trasforma in un presidente FIFA che non sarà tanto facile rovesciare, visto il confronto con il predecessore, curiosamente (ma nemmeno troppo) nato a 10 chilometri di distanza. La prefazione, davvero strepitosa, è di Giampaolo Ormezzano, ed il finale è giustamente aperto perché gli anni di Platini sono 62 e chi è abituato a vincere vuole in definitiva sempre vincere. Alla fine delle 450 pagine il mito è un po’ meno mito, fra familismo e piccolezze da comuni mortali, ma proprio per questo ne esce rafforzato: il nucleo di base di Platini, quello in cui tutto vogliamo credere anche nella mezza età, è buono. Dal punto di vista storico rimane il fatto che Platini non è stato l’unico campione a diventare un bravo dirigente, ma è senz’altro stato l’unico ad andare vicinissimo al potere vero, quello paragonabile al presidente di una nazione importante.

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