Il lavoro si inventa?

21 Dicembre 2017 di Paolo Morati

Inventati il lavoro è il titolo di un libro da poco pubblicato da Feltrinelli (collana Urra) e firmato da Jacopo Perfetti, trentaseienne imprenditore e insegnante in SDA Bocconi, al motto di “il lavoro non si trova, il lavoro non si perde, il lavoro si inventa”. L’autore ha risposto a una serie di nostre domande per spiegare la sua visione e il contenuto del libro, illustrandone alcune parti, che come sottotitolo riporta: “Sopravvivere alla fine del posto fisso e svegliarsi ogni mattina con il sorriso”. Possibile?

Partiamo dalla copertina. Una fiamma sorridente, con scritto sotto “You’re fired” (Sei licenziato…). Un apparente controsenso… Oppure no? Perché questa scelta?

La copertina che sorride è l’essenza stessa del libro. Mi spiego meglio. Una delle caratteristiche principali per inventarsi il lavoro è riuscire a vedere il negativo come positivo e quindi saper trasformare una crisi (come per esempio essere licenziato, o fare un lavoro che non ti permette di realizzarti) in un’opportunità per credere in se stessi e inventarsi un lavoro che ci realizzi e ci dia la possibilità di valorizzare il nostro talento.

Oggi viviamo all’interno di un mercato del lavoro estremamente dinamico e in forte cambiamento, dove molte delle sicurezze che un tempo erano garantite ai lavoratori potrebbero venire meno. Prima fra queste il concetto di posto fisso. E io penso che questa sia un’opportunità necessaria. È un’opportunità per credere in te stesso e nei tuoi sogni professionali. Per fare qualcosa che ti realizzi. E questa non è un’opportunità da poco. Perché ogni giorno siamo circondati di opportunità. Eppure non le cogliamo. Non perché non vogliamo coglierle o perché non possiamo coglierle. Ma perché non dobbiamo coglierle. Perché non abbiamo la necessità di coglierle. Ci diciamo: “Ma sì dai magari un domani lo farò”, “Magari un domani mollerò tutto e mi lancerò”. Ma poi non lo facciamo. Quando invece sei obbligato ad uscire dalla comfort zone di un lavoro a tempo indeterminato, allora quella possibilità diventa necessaria. Non hai scelta. E quando qualcosa di impossibile è necessario allora diventa possibile.
Nel mio libro racconto decine e decine di storie di persone che in Italia si sono inventate il lavoro proprio perché sono state messe di fronte alla necessità di affrontare una crisi professionale o personale. Ed è stata questa crisi a permettere loro di scoprire un talento che pensavano di non avere.
Quindi, sì avere un posto fisso è più confortevole, sì crea meno inquietudine e sì, probabilmente, un mondo in cui le persone entrano a 20 anni in un’azienda come stagisti e ci escono a 60 come manager con tanto di pensione, sarebbe un mondo più comodo. Ma è un mondo che non esiste più. Quindi possiamo disperarci nell’illusione vana che tutto torni come un tempo. Oppure fare un gran sorriso, cogliere le opportunità che questo nuovo contesto lavorativo ci offre e costruirci un nostro futuro professionale che ci rispecchi e ci realizzi.

Il libro è in effetti pervaso da un grande ottimismo. Vengono citati tantissimi casi di chi è riuscito nell’impresa di creare un’attività di successo. Gli esempi arrivano dal remoto così come dal presente. Più facile riuscire a inventarsi un lavoro in tempi di vacche grasse o vacche magre? Ieri o oggi?

L’intera economia dell’Italia, così come quella di molti altri Paesi, si basa su persone che, indipendentemente da come andassero le cose, si sono sempre inventate il proprio lavoro. Persone che, di fronte a crisi, depressioni e scarsità di risorse, hanno risposto con inventiva, ingegno ed entusiasmo. E, mai come oggi, serve tornare a immaginarsi nuovi lavori ed essere poi in grado di realizzarli.

Quindi la mia risposta è senza alcun dubbio: in tempi di “vacche magre”. Quando hai già tutto quello che ti serve, quando sei immerso nella tua comfort zone, non hai bisogno di inventarti il lavoro. E questo non è positivo, perché la comfort zone uccide la creatività. Non nasciamo creativi, diventiamo creativi e se avessimo sempre tutto ciò che ci serve a portata di mano, la creatività sarebbe inutile. In quest’ottica, un buon esempio di creatività è l’innovazione frugale, conosciuta anche come Jugaad Innovation, ovvero il processo di riduzione della complessità e dei costi di produzione di un bene con il fine di creare prodotti più economici e duraturi. Molti dei prodotti nati come innovazione frugale sono esempi di come la limitatezza di risorse spinge le persone ad essere più creative e ad inventarsi quindi nuovi lavori. Siano essi grandi imprese o nuove attività commerciali

Il mio consiglio, dunque, è di abbandonare sempre la tua comfort zone. Anche a costo di darti apposta delle costrizioni così da stimolare la tua creatività. Per esempio, se hai un budget di 10.000 euro, agisci come se ne avessi solo 5.000. Oppure fai qualcosa di usuale ma fallo in maniera differente. Se sei madrelingua inglese, parla francese. Se di solito scrivi in francese, scrivi in inglese. Lo scrittore irlandese Samuel Beckett era solito scrivere le sue poesie e i suoi testi teatrali in francese così da tenerli più semplici ed essere obbligato ad essere più creativo. O ancora viaggia. Incontra altre persone. Parla con persone che hanno opinioni differenti dalla tua. Guarda la tua quotidianità da una prospettiva differente. Lavora ogni giorno in un posto diverso. Sii curioso. La curiosità è il punto di partenza della creatività. Interessati di argomenti che non c’entrano nulla con il tuo lavoro. Se sei un avvocato, impara a dipingere. Se sei un artista, impara la chimica. Uno dei principali investitori e imprenditori della Silicon Valley, Paul Graham, è anche un appassionato di cultura e pittura che ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Non lasciare che la tua vita sia una lenta ripetizione della solita routine. Perché la comfort zone si trova proprio nella ripetizione.

Dovesse citarne tre tra i tanti presenti nel volume, quali pensa siano gli esempi di maggiore aiuto per chi vuole riuscire in tale impresa?

Come diceva, il libro raccoglie storie di persone che si sono inventate il lavoro in passato e di chi se lo sta inventando ora, tanto in Italia quanto all’estero. Ma visto che siamo in Italia, riporto tre esempi italiani.

Il primo è quello di Cecilia Spanu. Una donna e una professionista straordinaria che ha saputo re-inventarsi e trasformare una crisi professionale in un’occasione per scoprire il proprio talento e inventarsi il lavoro. Quando l’ho intervistata, mi ha raccontato così la sua storia: “Quando Kodak è andata in crisi, la mia situazione era professionalmente drammatica, avevo quasi quarant’anni e quattro figli e non mi ero mai domandata cosa fare domani. Poi da li è iniziato un percorso di ricerca e di scoperta. Ho scoperto di avere dei talenti come imprenditore, non lo sapevo. Ho scoperto di avere competenze e passioni per supportare gli imprenditori e i manager a trasformare le loro aziende e quindi mi sono inventata il mio lavoro.”

Ecco in queste poche parole c’è molto dell’attitudine necessaria per inventarsi il lavoro. Innanzi tutto, quello che vedevamo prima, ovvero avere la capacità di vedere il negativo come positivo e quindi saper trasformare una crisi (in questo caso trovarsi senza lavoro, donna a 38 anni con 4 figli in Italia) in un’opportunità per credere e investire in se stessi. E poi c’è un altro punto fondamentale. Inventarsi il lavoro non cambia la persona che sei. Non ti rende diverso. Ma rivela la persona che sei. Ti permette di scoprire il tuo talento. Un talento che magari neanche pensavi di avere. Ma che quando scopri di avere non sei più disposto a rinunciarci. E quindi ti senti in dovere di fare un lavoro che ti dia la possibilità di realizzare e valorizzare il tuo talento.

Il secondo esempio invece è quella di Fabio Zaffagnini, un ragazzo che una mattina si sveglia con un’idea. Apparentemente folle. O almeno folle fino a quando non ha poi dimostrato al mando che non lo era. L’idea è quella di portare i Foo Fighters, ovvero una delle Rock Band più famose al mondo, a suonare nella città in cui vive, Cesena. All’inizio tutte le persone con cui ne parla gli dicono che è impossibile, ma lui ci crede tantissimo e alla fine ha un’idea: coinvolgere 1000 musicisti a suonare insieme sullo stesso palco un brano dei Foo Fighters. Lavora al progetto per più di un anno, svegliandosi ogni mattina pensando a come trasformarlo in realtà. E così il 26 Luglio 2015, il sogno di Fabio si avvera. E questo (https://www.youtube.com/watch?v=JozAmXo2bDE ) è quello che è successo. La storia poi va avanti. Il video diventa uno dei video più visti di YouTube, i Foo Fighters vengono a suonare a Cesena, Fabio insieme ad altre persone fonda il progetto Rockin1000 e lo trasforma in un lavoro, pubblicano un album, organizzano eventi e non smettono di dar vita ai loro sogni.

E storie come queste ti fanno capire due cose, la prima è che quando ti inventi il lavoro possono accadere cose incredibili che mai avresti pensato poter accadere. La seconda è che si vuoi vederle accadere, devi essere tu in prima persona a farle accadere. Non puoi aspettare che accadono o sperare che qualcuno le faccia accadere per te. Sei solo tu. Dipende solo da quanta fiducia hai in te stesso.

Il terzo esempio invece riguarda uno dei più grandi imprenditori Italiani, Enzo Ferrari. la cui biografia è ricca di spunti e ispirazioni che chiunque voglia inventarsi il lavoro dovrebbe conoscere. Vediamone tre:

1) Enzo Ferrari si è inventato il proprio lavoro: Nel rigidissimo inverno del 1919, Enzo Ferrari fece domanda di assunzione presso la FIAT ma fu rifiutato, all’inizio fu preso da un profondo sconforto ma poi trasformò questo sconforto in uno stimolo per andare avanti e inventarsi una nuova carriera. Se fosse stato assunto in FIAT, oggi probabilmente non avremmo la Ferrari.

2) Enzo Ferrari faceva le cose a modo suo: Enzo Ferrari ha iniziato a costruire automobili perché nessuna di quelle che aveva guidato come pilota rappresentava quell’armonia di suoni e meccanica vivente che soltanto lui aveva in testa.

3) Enzo Ferrari non guardava indietro ma avanti: Quando fu chiesto ad Enzo Ferrari quale fosse il suo modello preferito, lui rispose il prossimo modello. Tutto il suo lavoro era mosso da un’ansia realizzatrice che lo portò a costruire alcuni dei modelli più innovativi di auto da corsa.

Per vincere la sfida proposta, però, bastano solo le idee? Come si può essere certi che siano buone (e originali) e quali sono gli altri fattori in gioco? E, alla fine, ha più successo chi inventa o chi innova?

Questa è una domanda che contiene molte risposte. Partiamo dalla prima:

No, non bastano solo le idee. L’idea è importante ma è solo una parte iniziale del processo per inventarsi il lavoro.

Seconda risposta: Essere certi che la tua idea sia quella giusta è impossibile. Non c’è come testarla sul mercato per saperlo. Però ti consiglio di puntare su un’idea che rispetti queste tre caratteristiche:

1) L’idea soddisfa un bisogno di mercato reale e profittevole. E quindi, esistono persone disposte a comprare il tuo prodotto o servizio e la dimensione del mercato (ovvero il numero di persone) è adeguata all’investimento necessario per produrre la tua idea.

2) L’idea valorizza le tue (e del tuo team) competenze distintive e ti permette di avere un vantaggio competitivo rispetto ai prodotti o servizi che già esistono sul mercato. E quindi, le persone compreranno il tuo prodotto o servizio al posto di quello dei tuoi concorrenti.

3) L’idea è fattibile. E quindi, hai le risorse, sia in termini di tempo da dedicare che di soldi da investire, per lanciare una versione base della tua idea così da fare un test di mercato nel minor tempo possibile.

Terza risposta: Qui c’è da fare una distinzione importante, per quanto spesso vengano usati come sinonimi, invenzione e innovazione sono due concetti tra loro molto differenti. Il primo riguarda il cosa facciamo. Il secondo il come lo facciamo. L’inventore inventa qualcosa di nuovo, che prima non esisteva. L’innovatore invece, innova qualcosa che già esiste e che prima veniva fatto in maniera differente. Il Novecento ci ha regalato moltissime invenzioni, dall’aeroplano ad Internet, oggi tuttavia la tendenza sembra essere quella di innovare ciò che è stato già inventato. Al cinema escono sempre più remake, sequel o prequel di vecchi film, le industrie ripropongono versioni più avanzate di modelli del secolo scorso, la moda riprende stili del passato e così via. Tuttavia, questo non vuol dire che innovare sia meglio di inventare. Entrambe le strade hanno dei vantaggi e degli svantaggi. Quando innovi per esempio, puoi utilizzare elementi già esistenti sul mercato e hai quindi costi di avviamento più bassi così come puoi soddisfare meglio un bisogno di mercato già consolidato e testato. Ma d’altro canto possono esserci barriere all’ingresso che rendono più difficile entrare in un mercato, così come devi riuscire a convincere le persone a cambiare le loro abitudini di consumo e quindi scegliere il tuo prodotto o servizio rispetto a quello che già usano.
Quando inventi invece, se da una parte sei il primo sul mercato e quindi hai un mercato a disposizione potenzialmente più ampio, e puoi brevettare la tua invenzione ed essere quindi l’unico a venderla, dall’altra hai lo svantaggio che un’invenzione richiede generalmente costi di avviamento molto alti e c’è il rischio che il mercato non sia ancora pronto per la tua invenzione.

Sta quindi a te scegliere, ma indipendentemente da quale strada tu decida di intraprendere, la cosa più importante non è tanto innovare o inventare quanto differenziarti. Ovvero che tu costruisca un vantaggio competitivo che ti permetta di distinguerti da tutte le altre realtà presenti sul mercato.

Lei stesso afferma di essersi sempre inventato un lavoro, cambiandolo poi spesso. Può spiegare meglio il suo percorso?
Lavoro da quando ho 18 anni (ora ne ho 36…) e da quando lavoro, mi sono sempre inventato il lavoro. Davvero, non ho mai mandato un curriculum, non ho mai voluto essere una professione. Ho sempre inseguito le mie passioni e ho cercato di metterle a profitto. Non ho mai perso o trovato il lavoro. Ma me lo sono sempre inventato. E so che continuerò ad inventarmelo fino a che vivrò. E, in mezzo all’inquietudine di non avere mai avuto un posto fisso e uno stipendio mensile, questa consapevolezza mi ha sempre confortato. Perché so che qualsiasi cosa accadrà, comunque andrà l’economia o dovunque mi porterà la vita, sono sicuro che mi inventerò un lavoro. E stando ai molti lavori che mi sono inventato fino ad ora, sarà un lavoro entusiasmante che mi farà svegliare ogni mattina con il sorriso.
Nel particolare questo il mio percorso. Nel 1998 inizio a lavorare come webdesigner e programmatore fino al 2001. Nel 2000 fondo l’agenzia web “Arché”. Nel 2001 inizio a lavorare come fotografo fino al 2002 quando lancio l’Happening di Street Art “Illegal Art Show” che curerò fino al 2005 e lancio il movimento artistico “TazMovement”. Nel 2004 co-fondo il locale “S’agapò” a Milano. Mentre nel 2005 inizio a lavorare come curatore d’arte e art dealer. Nel 2006 invece co-fondo presso l’università Milano Bicocca il progetto di ricerca Bi-cromi e per un po’ lavoro come manager di artisti e dj. Nel 2007 co-fondo l’agenzia creativa “Art Kitchen” che gestirò fino al 2014 e con cui ho lavorato per molti brand tra cui Campari, Eni, laRinascente, Moleskine, Lottomatica, 55DSL, Nescafé e Byblos. Nel 2010 co-fondo lo spazio culturale “Superground” a Milano che gestirò fino al 2014. E nel 2011 curo il progetto di Arte Pubblica “Pagina Bianca” per due anni e co-fondo il negozio “Akitique” a Milano. Nel 2014 inizio a lavorare come public speaker e autore, concludo l’MBA e chiudo o cedo le mie attività per prendermi un anno di riflessione professionale. Nel 2015 fondo l’agenzia creativa “ArtLane”, pubblico il mio primo eBook “L’idea vale” per Sperling&Kupfer, lavoro come consulente marketing e strategico fino al 2016, co-fondo l’asilo nido “Nido Natura” a Milano e pubblico il mio primo libro “Fai Fiorire il Cielo” per Sperling&Kupfer. L’anno seguente nel 2016, pubblico il mio secondo libro “L’impresa concentrica” per McGraw-Hill e inizio a insegnare imprenditoria presso gli eMBAs e eMBAwe della SDA BOCCONI. Nel 2017 infine, pubblico il mio terzo libro “Inventati il lavoro” per Feltrinelli, co-fondo il motore di ricerca per lavori indipendenti “IndieJobs” e il progetto “Welivery” che opera nel settore healthy and sustainable food.

Quali sono le differenze, se ci sono, tra manager e imprenditore (di sé stesso)? E perché uno dovrebbe scegliere una strada piuttosto che un’altra? Quali sono i vantaggi o gli svantaggi dei due approcci?

Sono due mentalità completamente diverse, quasi agli opposti. E per risponderle riprendo l’esempio di Enzo Ferrari. Come abbiamo visto, quando al fondatore della Ferrari fu chiesto quale fosse il suo modello preferito, lui rispose il prossimo modello. Quando il giornalista americano Steve Kroft chiese a Sergio Marchionne, attuale AD di Ferrari e FCA, quale fosse la sua sfida più grande, lui rispose non sbagliare il prossimo modello. In queste poche parole è racchiusa tutta la differenza tra un approccio manageriale e uno imprenditoriale. Un manager manages – parola inglese per amministrare – qualcosa che già esiste e la sua attitudine verso il futuro è non fallire. Un imprenditore invece entreprend – parola francese per intraprendere – nuove iniziative e la sua attitudine verso il futuro è non smettere di andare avanti e creare qualcosa di nuovo.
Penso che ogni lavoro, sia esso un lavoro in proprio o una azienda, necessiti di entrambi gli approcci. Apple è una delle più grandi aziende al mondo per capitalizzazione di mercato, grazie tanto all’approccio imprenditoriale di Steve Jobs, quanto a quello manageriale di Tim Cooks. E così molte altre aziende, inclusa FCA che sotto la guida di Sergio Marchionne ha avuto nel 2016 utili da record. Tuttavia, se vuoi inventarti il lavoro ti serve un approccio imprenditoriale. Se hai solo un approccio manageriale puoi lavorare come manager per qualcun altro che, grazie al suo approccio imprenditoriale, si è inventato il lavoro per sé e per te.

Si dice che la prudenza non sia mai troppa. Come si può calare questo concetto nella proposta fatta dal suo libro, e come si trova il giusto equilibrio tra sogno e realtà?

In Italia siamo forse fin troppo prudenti. Abbiamo una propensione al rischio molto bassa. E questo non aiuta ad alimentare il tessuto imprenditoriale italiano. Questo non vuol dire che dobbiamo tutti rischiare tutto quello che abbiamo. Ma che ogni tanto è importarsi buttarsi e seguire il proprio istinto. Se si ha troppa paura di sbagliare si rischia di non fare nulla e in questo momento questa opzione non è possibile. Dobbiamo provare nuove strade. Cadere, sbagliare, ma poi rialzarci e fare meglio.

Alla fine torniamo alla prima domanda. A chi si rivolge in definitiva questo libro? Ai giovani che devono partire per la loro avventura e capire cosa fare di sé stessi oppure a chi ha perso il lavoro e deve trovare una strada alternativa per mantenersi, o finanche realizzarsi? Ci sono differenze in tal senso e quali sono le criticità da risolvere in entrambi i casi? Ed è proprio vero che il concetto di posto fisso è, in definitiva ormai da dimenticare? E perché?

Anche qui una sola domanda che prevede però molte risposte. Partiamo dalla prima:
Questo libro si rivolge a tutte le persone che nella loro vita hanno sentito il bisogno di fare un lavoro che gli permetta di sentirsi gratificati da un punto di vista finanziario, professionale e personale. Se un lavoro ha queste tre caratteristiche posso dirti che è il miglior lavoro che tu possa inventarti. Non importa infatti quanto è grande la tua azienda, o quanto guadagni o quanto il tuo lavoro ti renda famoso. Conta solo come il tuo lavoro ti fa sentire. E, per quella che è la mia esperienza, un lavoro che abbia tutte e tre questa caratteristiche è molto più facile inventarselo che trovarlo.
E quindi, per rispondere alla seconda domanda, questo è un obiettivo che riguarda le persone di ogni età. Viviamo una volta sola e quando comprendi veramente questo concetto, non puoi accettare di passare la gran parte della tua vita facendo qualcosa che ti deprime. Qualcosa che non ami, qualcosa che ti rende infelice, frustrato e brutto per il resto dei tuoi giorni. Dall’altra parte invece, fare un lavoro che ti fa stare bene con te stesso e con gli altri e che valorizza il tuo talento è una delle cose più significative che possano accaderti.
Sull’ultima domanda invece, posso dire che viviamo in un’epoca di grandi trasformazioni e grandi cambiamenti. Tanto da un punto di vista economico quanto da un punto di vista sociale. Oggi le possibilità di entrare in un’azienda come stagista a 20 anni e uscirne come manager a 60 con tanto di pensione è sempre più rara. E in questo contesto il concetto stesso di “posto fisso” potrebbe apparire superato. Anche per il semplice motivo che i lavoratori per primi ricercano sempre più dinamicità e mobilità. Vogliono cambiare e fare sempre nuove esperienze.
Ed è per questo che oggi è sempre più importante inventarsi il proprio lavoro. Perché in un mercato così volatile e dinamico, o sei tu a prendere in mano la tua vita professionale oppure rischi di restare fuori dal mercato in brevissimo tempo. Guarda quello che sta accadendo nel mondo. Magari tra qualche anno l’azienda per cui lavori oggi non esisterà più (pensiamo a BlockBuster o Northern Rock). Magari qualche ragazzino con un computer e un accesso a Internet sta lanciando una start up che cambierà radicalmente l’intero settore in cui lavori (pensiamo a AirBnb). O magari qualche scienziato ha appena inventato una nuova tecnologia che sostituirà tutti quelli che fanno il tuo lavoro con un esercito di robot (pensiamo alle auto che si guidano da sole e l’impatto che queste avranno sul mercato dei trasporti urbani). Sono tutti scenari possibili. E allora tu cosa farai? Cercherai un altro lavoro? E poi un altro ancora? Nella speranza di arrivare il prima possibile a una pensione che tanto non arriverà mai? No. In un’epoca di turbolenza e cambiamento, non ha senso perdere tempo ad inseguire sogni di carriera che non esistono più. Tanto vale abbracciare l’incertezza e trasformala in un’occasione per investire su di te e suoi tuoi sogni, non su quelli di qualcun altro.

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