Il caso Froome fra politica e asma

15 Dicembre 2017 di Simone Basso

Il dispaccio di agenzia sulla non negatività – per eccesso di salbutamolo – di Chris Froome alla Vuelta vinta, si reitera a mo’ di valanga sui media. I tempi digitali (ignoranti) impongono di rincorrere le notizie, eppure – al di là dell’effetto deja vu – il bordone non ci ha colto di sorpresa. L’UCI comunica che l’anomalia è stata riscontrata lo scorso 7 settembre, dalla CADF (Foundation Antidopage du Cyclisme) un organo indipendente francese (…), mentre tutti gli altri controlli (il britannico era stato testato ogni giorno) erano nella norma. Il salbutamolo, ovvero il principio attivo contenuto nel Ventolin, prodotto antiasmatico, non è proibito dalla WADA, l’Agenzia Mondiale dell’AntiDoping, ma ha una restrizione d’uso che arriva a 1600 microgrammi per millimetro nelle ventiquattro ore. Oppure 800 nelle dodici ore: trattasi, più o meno, di sedici puff del prodotto. Froome e il suo organismo lo hanno sforato.

Se l’impatto mediatico è sempre il solito, deflagrante per l’immagine di uno sport relegato a fattoide per la massa, i tempi e le conseguenze del caso sono incalcolabili. La faccenda, assai delicata, passerà alla WADA e a un laboratorio di sua competenza. Laddove testeranno in modo specifico la reazione dell’atleta al salbutamolo: sarà decisiva la concentrazione della sostanza nelle urine dell’esaminato, non la performance in sé. Roba da azzecca-garbugli, ma è contabilità robosportiva: il convento passa questo e noi ci adeguiamo, incuriositi dalle dinamiche complessive. Trattasi del secondo affaire nell’era del (benedetto) Passaporto Biologico: il primo – cinquanta picogrammi al millilitro di clenbuterolo – appartenne ad Alberto Contador nel Tour 2010. Entrambi ci paiono accumunati dall’ombra della politica.

Al netto del risultato finale, che non conta per la platea, il quattro volte vincitore della Grande Boucle potrebbe essere scagionato, multato, se le prove chiariranno una reazione metabolica naturale, o squalificato. Perderebbe il Giro di Spagna e il bronzo iridato a cronometro di Bergen. Nell’ultima circostanza rilevante, cioè Diego Ulissi nel 2014, il toscano venne sospeso nove mesi. Un nome più importante nelle maglie del Ventolin, ma nello sci di fondo, fu Martin Johnsrud Sundby nella stagione 2014-2015: due mesi di sospensione e Coppa del Mondo persa (a vantaggio di Dario Cologna).

Destino curioso quello di Chris Froome, fuoriclasse sgobbone e apolide, diffamato come nessuno in questi anni: vittima, forse, di un puff generoso dell’equipe medica del Team Sky. Uno spruzzo degno di un personaggio di Big Bang Theory, lui che nerd (ma su una bici da corsa) lo è per davvero. Tre anni e mezzo fa, durante una tappa del Critérium du Dauphiné, il keniano bianco usò l’inalatore davanti alle telecamere, in piena mischia agonistica. Il salbutamolo è un beta 2 agonista, broncodilatatore in presenza di un broncospasmo, ed è compagno saltuario di molti sportivi. La lista storica dei cosiddetti asmatici, in una disciplina che si svolge sotto il solleone e la neve, dalla primavera all’autunno, è infinita: Miguel Indurain, Tony Rominger, Franco Ballerini, Jan Ullrich, etc. L’ipocrisia è scandalizzarsi di un puff in più, in un mondo dove – per vent’anni – la regola di vita (e di morte) è stata il rabbocco ematico quotidiano. Preferiamo questo ciclismo, esasperato, un po’ robotico e in riserva, quello del Tramadol e dei TUE, le esenzioni per scopi terapeutici, a quello che – sulla lunga rincorsa degli anni Novanta – di limiti farmacologici non ne contemplava affatto. Rimane un mestiere durissimo, che – al pari di tutti gli altri sport professionistici – non si fa per la salute, ma per denaro e (se resta..) passione.

Punto e a capo. La domanda, che rimarrà inevasa, è se le tempistiche non annuncino un cambio della guardia sulla strada, dopo quello avvenuto nelle stanze. A settembre, strabattendo il presidente in carica Brian Cookson nel ballottaggio, David Lappartient è diventato il nuovo capo dell’Unione Ciclistica Internazionale. Quarantaquattro anni, rampantissimo, il francese succedeva al britannico che rilevò – nel 2013 – una Federazione ai minimi storici in quanto a credibilità e trasparenza. Lappartient, in soldoni, pare il Cavallo di Troia ideale per certificare il dominio di ASO, la società che organizza il Tour e un bel pezzo di calendario (dalla Parigi-Nizza alla Vuelta, passando per la Parigi-Roubaix e la Liegi-Bastogne-Liegi..), sull’universo ciclismo. Che il bubbone scoppi a pochi giorni dalla notizia della partecipazione di Froome stesso al Giro, e che metta in difficoltà la RCS Sport, pensiamo sia una coincidenza.

Lappartient, che ha appena lasciato la poltrona di presidentissimo della federciclismo francese, è un politico di talento: quando parla, manda messaggi non all’interlocutore di turno ma a terzi. In questo evo, più presentabile rispetto al passato ormai remoto, la Francia ha rialzato la cresta e manca solo un tassello al mosaico: lo scalpo giallo. Amaury, con la festa di luglio, ogni anno mette assieme un fatturato di 147 milioni e mezzo di franchi svizzeri: per fare un paragone, il Giro d’Italia chiude a 29 milioni. Ciliegina sulla torta, panem et circenses per tutti, pure per i munifici sponsor ASO, sarebbe un galletto che riporti il movimento all’era (irripetibile, un’illusione ottica) di Hinault e Fignon. Lappartient si spende per una disciplina più umana (sigh), propone dunque l’abolizione in gara del power meter, che misura i wattaggi del corridore, delle radioline, del numero di ciclisti per equipe nelle grandi corse a tappe, nonchè un tetto salariale alle squadre. Pare sempre, senza mai nominarli, puntare il dito contro gli (ex) uomini in nero del Team Sky. Nel bailamme che ha coinvolto Gianni Moscon, nei disegni di Dave Brailsford (il boss della multinazionale inglese) il prossimo mammasantissima da Tour, sulle storie tese – da plotone – con colleghi (francesi), Lappartient ha mantenuto un aplomb imparziale (…): “Moscon non ha niente a che spartire col ciclismo se si comporta in questo modo…”. Non hanno nulla a spartire con Froome e il salbutamolo, ma i piani futuri della nuova UCI – una minaccia o una promessa? – hanno a che fare con la riduzione dei giorni di competizione in due Grandi Giri su tre. Una settimana in meno per Giro e Vuelta, con il Tour che rimarrebbe l’unico baobab intonso: per ridurre le fatiche degli atleti, non per liberare date utili verso corse del mondo nuovo (con dindi freschi).

Il presente, adesso, è una stagione di veleni; aspettando il responso dell’effetto che fa un farmaco da banco, per bambini, su un mostro di resistenza organica e potenza lipidica come il keniano bianco. Uno psicodramma serio ma non troppo, arricchito dalla reazione (imprevedibile) di Sir Dave Brailsford, uno – tostissimo – che potrebbe fare onde (in ogni senso…). La sensazione, sgradevole, è che si sperimenti – per l’ennesima volta – sulla pelle viva di questo sport. Ma ci siamo abituati: la vita è quella cosa che assomiglia maledettamente al ciclismo.

(Pubblicato da Il Giornale del Popolo il 14 dicembre 2017)

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