Dimmi chi era Recoba, storia di uno che non ha voluto

11 Ottobre 2017 di Indiscreto

Nessuno come Alvaro Recoba rappresenta una certa epoca della storia interista: epoca incompiuta un po’ per colpe altrui ma in gran parte proprie, proprio come Recoba. Per questo la biografia del Chino, Dimmi chi era Recoba, scritta da Enzo Palladini per Edizioni in Contropiede, è di molto superiore alla consistenza del personaggio: un sinistro straordinario, ma una voglia così scarsa di allenarsi e in generale un’indolenza che stupivano gli stessi suoi compagni. La frase che meglio lo rappresenta l’ha detta Veron: “Poteva essere il più forte, ma non ha voluto”.

L’autore, che prima da inviato del Corriere dello Sport e poi da giornalista Mediaset ha seguito tutta la parabola del giocatore, non cede alla tentazione di inventarsi un genio maledetto: il Recoba fuori dal campo non aveva né ha alcunché di maledetto, anzi per certi aspetti (stava sempre in casa) era anche uno che faceva più vita d’atleta del Ronaldo o del Bobone della situazione. Pigrizia, per dirlo in una parola, pigrizia che lui era il primo ad ammettere. Il talento dell’uruguaiano sembrava fatto apposta per travolgere Massimo Moratti e così è stato, per il dispiacere sia degli allenatori che hanno creduto in lui sia di quelli che non ci hanno creduto (fra questi Gigi Simoni, il primo ad allenarlo all’Inter: c’era lui in panchina il giorno dei due gol al Brescia o di quello da metà campo all’Empoli). Soltanto Mancini, ma quando il Chino aveva ormai 31 anni, riuscì fra mille difficoltà a farlo mettere alla porta. Questo non toglie che nei suoi dieci anni italiani e ancor di più nel suo ottimo finale di carriera in patria Recoba abbia mostrato colpi incredibili, che probabilmente avrebbero trovato un palcoscenico più giusto in una realtà da media serie A.

Il racconto di ciò che ruota attorno al calciatore è davvero appassionante, anche per noi che l’entourage di Recoba l’abbiamo conosciuto di persona, ma più di tutto e tutti Palladini è capace di spiegare meccanismi del calciomercato che di solito vengono trascurati. Un mondo in cui quasi tutto è scambio di favori e amicizia (o inimicizia), dove non esiste il giusto e lo sbagliato ma solo il conveniente. La storia di Paco Casal, sintetizzata anche in una delle appendici del libro, è illuminante: padrone assoluto del calcio uruguaiano, non sempre porta i suoi assistiti a fare le migliori scelte sportive (nel caso di Recoba è stato così) ma sempre a massimizzare le entrate con l’aiuto di sponde giornalistiche e ovviamente dirigenziali. L’asse con Luciano Moggi era assolutamente granitico, anche se Casal aveva ed ha buoni rapporti con tante persone (fra queste Sandro Mazzola, per ricordare l’Inter in cui arrivò Recoba nell’estate 1997). Certo quando c’era bisogno di un finto interessamento l’ex direttore generale della Juventus era sempre pronto, avendo fra l’altro una scuderia di società satellite buone per tutti gli usi (far maturare un giovane, far sparire un bidone, eccetera).

Così fu nell’occasione del famoso rinnovo del 2001, che nel libro viene raccontato magistralmente. Moggi finse un interessamento della Juve per Recoba, proprio il tipo di giocatore che non avrebbe voluto nemmeno dipinto, e complice il contratto in scadenza Moratti letteralmente non ci dormì la notte arrivando a dare al Chino 15 miliardi di lire l’anno, che all’epoca fecero di Recoba il giocatore più pagato del mondo (era la stagione di Tardelli allenatore). La commissione per Casal? L’acquisto di Antonio Pacheco per 20 miliardi, prima di scoprire che non aveva la milza e che al di là delle discutibili doti tecniche aveva un’autonomia di 5 minuti. Come altri libri di Palladini, anche questo ha il merito di dribblare il tifoso becero (pro o contro l’Inter che sia, tanto in ogni caso non legge: diversamente i libri di calcio venderebbero decine di migliaia di copie) e di andare sui fatti. Non c’è bisogno di fare cattiva poesia o, peggio ancora, storytelling, per evidenziare quanto di romanticamente incompiuto c’era in Recoba. Del resto se fosse stato compiuto non sarebbe stato Recoba e tutti lo ricorderebbero attraverso statistiche, coppe, record. Tutte cose che durano meno delle emozioni.

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