Bianchini e quel che resta del giorno

10 Ottobre 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal regno di Alberto Petazzi nell’isola milanese del Leone XIII dove è cambiata la vita di un cestista, frustrato dalle giovanili del Simmenthal, trop piscinin, dopo l’incontro con Mario Borella, la bella vita in Canottieri al servizio di Bruno Sala che adesso meriterebbe di vedere scritta la sua storia che va oltre il l’incipit classico per ogni time out: ”Porca madocina, ad un certo momentino”, perché aveva cose da dire e insegnare, persino la camminata del cestista.

Ritorno all’infanzia, sbagliando anche porta d’entrata perché dove ti aspettavano padre Maestri e padre Salvini era tutto chiuso. Meglio, per chi soffre di nostalgia. Camminata intorno al palazzo nella via per arrivare in tempo, non rispettato da molti altri, per la presentazione del bel tesoretto ( “Bianchini – Le mie bombe” ed. Bradipo libri, 18 euro) che Paolo Viberti, in arte Cirillo il semiologo come direbbero a Bologna, e Valerio Bianchini da Torre Pallavicina rifugio dalle bombe, in arte uno, nessuno, centomila, ma soprattutto il Vate e il vero evangelista del povero basket che oggi ne avrebbe tanto bisogno, hanno scritto per ricordarci, come ha detto Franco Arturi, autore della prefazione, chi eravamo, chi siamo, chi non riusciamo più ad essere.

Non tanta gente, assente ingiustificato il rivale di Bianchini nei tempi d’oro. Nessuna sorpresa. Dovremmo abituarci adesso che in troppi si sforzano di farci sentire davvero dei Nessuno. Frustrazione da vanità. Meritata. Bello ascoltare, bello sentire vibrare le corde che un tempo erano armonia della vita comune in questo sport con la testa confusa da questa caccia alle streghe che ci fa capire quanto diventerà difficile la vita di Tanjevic che, pur sapendo, ha accettato di dare una mano al basket italiano. Petrucci come Malagant per una Camelot che non c’è più e che forse non è mai esistita anche se molti si sentono dei re Artù promossi dal Merlino interiore.

Ci hanno scritto che Petrucci dopo l’elezione bulgara era il padrone di tutto. Non sembra e ne sarà dispiaciuto. Ci hanno detto che Fucka all’under 14 è un errore come se davvero si potesse pensare che la ricostruzione partirà da questo mini Decio Scuri. Non c’è sintonia nel sistema e del domani non abbiamo certezze adesso che la molesta juventute se ne è andata da tempo. Criticare prima di confrontarsi. Tipico. Sapete cosa ricordano della straordinaria carriera di Tanjevic? Il doloroso divorzio fra padre e figlio con Boniciolli a Roma. Ahimè, è così che dovrà lavorare Boscia. Non si fidano. Gli stessi al centro della grande carestia saranno i primi ad alimentare il rogo, quelli che per sminuire la grande impresa del serbo campione d’Europa alla guida della Slovenia, dicono che i time out li dirigeva il Dragic, che per la verità era in panchina al momento delle decisioni storiche. Peccato, ma ce lo sentivamo che sarebbe andata così. La speranza è che Tanjevic incontri più gente possibile, tutti quelli che pensano di essere più bravi di Dalmasson con i giovani, più preparati di Abbio e Fucka.

Siamo depressi ma, per fortuna, grazie all’organizzazione Papetti che tiene in vita il basket over time e il museo del basket a Milano, quando incontri Bianchini ti torna la voglia di combattere dei Dalton Trumbo che beffarono la lista nera di Hollywood con due premi Oscar scrivendo sotto falso nome. Potrebbe essere una strada, tanto, come diceva la Mannoia, il tuo nome non lo ricordano e, se lo fanno, è soltanto per dire che non dovevi essere su quel palco, a quella presentazione, in quella carrellata di fotografie ricordo.

Ma torniamo a Valerio e alla sua ricostruzione del basket che in un mondo calciocentrico ci ha detto dell’Italia più del pallone preso a calci. Dalla fame alla Simmenthal, che nel basket era il Simmenthal di Bogoncelli e Rubini e non certo la carne in scatola. Dai frigoriferi per conservarla quella carne preziosa, alle banche, per finire alla vera fotografia del Paese, magari dimenticata, che è stato il Messaggero, tanti soldi, tanti anche per giovani talenti finiti in pantofole e questo, forse, è stato trascurato. Ma sono i giorni del freddo per chi tenta l’impossibile e allora che siano tagliate le loro teste.

Torniamo al libro, al Vate, perché nel presentarlo, il Bianchini ci ha portato nel mondo dei sogni. Come sempre, come ai tempi dei confronti nelle giovanili, spesso femminili dove la zona vietata era per lui fonte di successo. Bello ascoltarlo e quando ha preso spunto dal neo premio Nobel, il nippo-britannico Ishiguro, per spiegare cosa sta facendo Cappellari, unico assente giustificato, a Cantù ci ha davvero conquistato. Partendo da Caja, uno degli anni ottanta, è arrivato al generale che guidava le armate milanesi senza apparire, cercando di aiutare, capire, sviluppare il progetto poi affidato a veri artisti della panchina, a veri mecenati. Quando ha visto in Cappellari Toni la figura del magnifico Hopkins, il maggiordomo per tutte le stagioni, si è illuminata la scena. Vedremo come andrà a finire nella Cantù russificata e confusa dove chi ha aumentato i prezzi senza senso si chiede ancora perché non c’è più l’amore di un tempo fra società e squadra. Certo valeva la pena stare ad ascoltare gli autori del libro. Una giornata particolare, come avrebbe detto Mastroianni mentre scappava dagli squadristi che oggi hanno piume di cristallo e fingono di essere il futuro.

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