Il budget di Danilovic

11 Settembre 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni sull’autoscuola bus blu di Capitan Fantastic perduto fra le strade di Istanbul, sul ponte che dall’Europa porta in Asia e viceversa. Le bocce non sono ancora ferme all’Europeo delle vanità, ma qualcosa va detto pensando al basket intorno ad Azzurra, al Pala Desio che fa acqua dal tetto per un trofeo Lombardia senza campioni, ma già era un delitto che non ci fosse Milano, alla Cantù che parlerà soltanto russo se il manager sarà il figlio dell’allenatore Bolshakov.

Comunque vada contro la Serbia, a sentire lorsignori, non dovrebbe esserci partita se parliamo di soldi, ma poi si dovrebbe parlare anche di tecnica. Il budget della FIP è di 41 milioni, dice Sasha Danilovic, il grande, ora presidente della federbasket serba che in casa non ha più di 2 milioni. Per fortuna non sono soltanto i soldi, penseranno a Belgrado. Tutte balle. I campioni della Serbia dimezzata, senza 7 giocatori che sarebbero stati titolari, vagano nel mondo e prendono parecchio. Per sfortuna, dirà Messina, si fa confusione fra quattrini e lavoro, fra ideali tecnici e tutto il resto. Messina e Djodjevic due capitan Fantastic in singolare tenzone, con il nostro Viggo Mortensen della Trinacria che di certo non avrebbe titolato, come è stato fatto dopo il successo sulla Finlandia, “Vittoria da urlo”.

No meglio tenere la squadra nella foresta, lontano dalla civiltà dove i manager condizionano tutto e tutti (chiedere a quelli del Milan dopo l’ultima stangata con la Lazio e il veleno dell’agente di Donnaruimma), dove i telefonini non si spengono mai, dove te la raccontano fino a convincersi che davvero questa Nazionale ha dietro il popolo del basket, l’uno o, magari, il due per cento di chi guarda SKY. Fiera della vanità dove la tendenza generale è dimostrare di essere qualcosa più degli altri, di capirne di più anche se poi ti rimbalza addosso la soda caustica di Valerio Bianchini, certo più tenero del Taucer che nelle sue telecronache da Capodistria conquistava davvero dicendo pane al pane, perché il Vate ha sintetizzato la cascata di parole: “Si stanno divertendo con la scatola del piccolo coach”.

Vanità che ha fatto andare fuori dai giochi la Lituania stordita dal furore della Grecia senza più niente da perdere. Sabonis monumento al dolore. Figurarsi quelli che da noi erano contenti perché ne avevamo presi pochi ed eravamo stati in partita contro i ragazzi del bosco verde. No, non rispondiamo a chi si domanda se il Kalnietis croce di Milano, delizia lettone, è quello visto contro Azzurra o il disastro che ha finito zoppicando davanti ai greci. La Lituania è stata la nostra bestia nera salvo che ai Giochi di Atene, ma, da sempre, è squadra che almeno una volta nei tornei si ammanetta da sola al ponte dei sospiri. E Kalnietis è figlio di quella scuola, uno che palleggiando così alto non potrà mai essere un portatore di palla affidabile. Sono fuori dalle prime otto, come i francesi di bonbon Collet che doveva capire ad Helsinki di avere una squadra di grandi narcisi, anche se poi a Tolosa ci avevano fatti neri. La Germania che aveva azzerato la salivazione di Azzurra e degli imbonitori che fingono, ancora adesso, di averne capito la buonissima sostanza morale, l’ha buttata fuori dalle prime otto dopo 20 anni. Ghigliottina a colazione. Vanità persino nella super Spagna di Rodolfo Valentino Scariolo. I turchi hanno provato a farla soffrire a far pagare le magate da mago Magò di Marc Gasol, di molti con la maglia dei grandi favoriti. Ma pure loro avevano poco da spendere e alla fine sono stati sommersi.

Ai quarti non ci sarà da scherzare e non potrà farlo con noi neppure la Serbia che è riuscita a soffrire per un po’ anche con l’Ungheria che in qualificazione era rimasta a 48 punti col Montenegro che i lettoni, purtroppo per Tanjevic, non hanno preso sottogamba. Ecco, Lettonia vera rivelazione del torneo, ma l’esame con la Slovenia dirà tutta la verità su Porzingis e l’eccellente Bertans nove dita che vedremo a Milano. Pronostico per le semifinali? No, fatelo fare ai narcisi, ai chi pensa di capirli certi giocatori e te lo svela sussurrando,  a chi è convinto di saper valutare bene cosa capita nella testa e nei muscoli di professionisti, più o meno viziati, costretti a stare insieme tanto tempo: mistero agonistico che rende lo sport diverso da tutti gli altri tipi di spettacolo. Lo sanno anche i bambini che non c’è un finale uguale all’altro.

Su Azzurra non ci rimangiamo niente. Bella squadra, grande allenatore, un gruppo che ama il brutto e il cattivo che ha trovato dentro sé stesso stando insieme da famiglia operaia, che ci sta benissimo nelle prime otto, ma se chiamiamo sogno un risultato del genere allora ci serve pesce per la memoria. Messina è il nostro Viggo, il Capitan Fantastic di cui aveva bisogno una Nazionale da bonificare, un presidente che certo ha ragione quando dice che per la Nazionale si ferma tutto.

Verissimo. Il resto del basket, a parte il caso Cantù che allarma tutti, non soltanto Recalcati o Marzorati, è nelle brevi. Certo in giro per l’Italia si gioca e si ricorda. Avremmo voluto essere al memorial Ninì Ardito perché era un arbitro che magari mandavi in mona, ma poi ci discutevi e parlavi volentieri della sua vita a Napoli, del sodalizio con il gentiluomo Compagnone.

Anche a Brindisi saremmo stati bene per il memorial su Elio Pentassuglia e vedendo giocare partite al Pala Mangano ci siamo anche ricordati di quel “tesoretto”, lo chiamavano così stuzzicando la nostra stupida vanità, fatto insieme all’allenatore che sapeva trovare un regalo giusto per tutti i suoi giocatori. Zio Elio era uno dei grandi personaggi in quel libretto, lui come Guerrieri. Tempi andati.

Peccato non poter andare in Valtellina dove gli eredi del balivo Pini hanno fatto e stanno ancora facendo onore al progetto che per anni fece della valle il laboratorio più intrigante del basket europeo, almeno fino a quando il Trentino non ha trovato fiori più convincenti per le tisane di chi ama estati di lavoro.

Chiudiamo con Gianni Petrucci che non prendendo parte nella disputa Messina-Baumann, o meglio, fingendo di non farlo, dice una cosa che stupisce davvero. Lui è dalla parte FIBA, ovviamente, contro l’ULEB dove gli associati sono vincolati da contratti e non da risultati sportivi. Secondo lui lo sport dovrebbe prevalere sul potere economico. Giusto? Quasi giusto se riuscirà a spiegarci quale eguaglianza competitiva può esserci fra chi ha 40 milioni di budget e chi ne mette insieme appena due? Il nodo sembra questo. Che una federazione privilegi l’aspetto sportivo, lavorando sulla base, il reclutamento è logico, ma poi salendo la scala a chiocciola del movimento si arriva ad un punto dove i valori sono determinati dalla forza economica. Certo esiste anche chi butta via i soldi, chi ha tanto e vince poco, capita la sorpresa hanno detto a calciolandia nel tempo a Cagliari, Verona, Firenze, Genova lato Samp, a Roma, ma poi l’albo d’oro mette sempre gli stessi nomi. Nel basket andate pure a leggere, certo erano grandi squadre, grandi allenatori, ma erano anche i meglio pagati. In bianco e in nero.

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